America Latina: lezioni che si dimenticano?

Marina Menéndez http://www.cubadebate.cu/opinion

È difficile capire che a meno di 20 anni dal marasma, l’America Latina debba ancora toccare il fondo. Che ancora una volta avremmo attraversato un altro decennio perduto, quando si suppone che i meccanismi della più recente si imparassero.

Ma il più incomprensibile ad alcuni di coloro che osserviamo l’evoluzione della regione può essere che non siano i desideri dei vinti di ieri d’imporre le stesse ricette, ma che fossero i vincitori ad abbassare la bandiera non per stanchezza, credo, ma per confusione; o perché nella ricerca dell’ideale lasciassero sola la forza politica fattibile ora solo per salvare quello vinto ed impedire che il nemico possa avanzare.

Nemico! È persino probabile che in alcuni ambienti questionino il vocabolo. Così avvantaggiata va avanti anche la de-ideologizzazione, estesa dalla destra nel bel mezzo di questo che gli analisti hanno identificato come restaurazione conservatrice segnata da un’offensiva imperiale, proprio per questo, affinché gli uomini e le donne non pensino più.

Il doloroso, dico, non è che gli altri vogliano far valere le stesse misure degli anni ’80 e ’90, che in molti luoghi hanno impoverito i vicini e resero qualcosa di usuale la “salvezza” della pentola comune. Che unirono nelle rivendicazioni, per le strade, tante persone … A volte, anche, senza motore politico e saranno la scintilla per i cambiamenti e l’emergere di nuovi leader.

La cosa difficile da capire non è che gli altri vogliano, ripeto: è che possano.

Tornano, in più di un luogo, le promesse di crescita economica appese agli aggiustamenti, che ancora una volta si fa “incidendo” il consumo della gente grazie al rialzo dei prezzi, come in Argentina, e -un’altra volta- troneggia la privatizzazione, che apre la porta al potere transnazionale dove si consolidano, proprio, gli interessi di coloro che sono stati riportati al governo con il voto di questi stessi che soffrono.

E si pone, ogni volta più, l’uso delle truculenze di sistemi giudiziari dubbi che persino permettono colpi di stato senza armi, come è accaduto in Brasile, dove la corruzione, tuttavia, continua pianificando oltre ed intorno alla presidenza, mentre la lotta contro questo flagello, utilizzata alla fine del secolo scorso dagli organismi finanziari internazionali per condizionare i prestiti, oggi è usata per decapitare i leader politici e sociali.

Manipolazione mediatica è un altro termine coniato che alcuni rifiutano, ma imprescindibile per capire cosa succede; e necessita la coscienza, se no, che lo dicano i bolivariani in Venezuela.

In questo contesto sembrerebbe che ci siano organizzazioni sociali e popolari incentrate unicamente sulla loro richiesta settoriale; disincantata alcuna, forse, dal compito non sufficientemente spiegato o semplicemente sbagliato di un governo di nuovo conio. Ma forse senza le lettere ideologiche che gli permettono di leggere dove sia la verità.

Ci sarebbero molti elementi per spiegare come le destre, sulla scia delle forze imperiali del Nord, materializzano la torsione che vuole espandere, non per caso, in America Latina: la prima regione che ha iniziato una reale integrazione basata sulla complementarità economica e commerciale, sulla sovranità e sulla sensata ed entusiastica convalida delle nostre stesse forze, che hanno mostrato le potenzialità del Sud.

Necessita articolazione tra tutti i soggetti sociali e politici opposti al modello neoliberale e una memoria a prova del più potente e sostenuto bombardamento mediatico.

Mancano le campagne continentali che tanto cammino agevolarono. Sì, perché la lotta di classe sopravvive e anche l’ideologia, anche se la realtà forza ad un pragmatismo che non la eluda.

(Tratto da Juventud Rebelde)


América Latina: ¿Lecciones que se olvidan?

Por: Marina Menéndez

Cuesta trabajo entender que a menos de 20 años del marasmo, a América Latina se le fuera a hacer tocar otra vez el fondo. Que de nuevo transitáramos por otra década perdida, cuando se supone que los resortes de la más reciente se aprendieran.

Pero lo más ininteligible para algunos de quienes observamos el devenir de la región puede que no sean los deseos de los ayer vencidos de imponer las mismas recetas, sino que los vencedores fueran a arriar bandera no por cansados, pienso, sino por confundidos; o porque en la búsqueda del ideal dejaran sola a la fuerza política factible ahora apenas para salvar lo ganado e impedir que el enemigo pueda avanzar.

¡Enemigo! Hasta es probable que en algunos círculos cuestionen el vocablo. Así de avanzada anda también la desideologización, extendida por la derecha en medio de esto que analistas han identificado como restauración conservadora jalonada por una ofensiva imperial, justamente para eso, para que los hombres y las mujeres no piensen más.

Lo doloroso, digo, no es solo que los otros quieran hacer valer las mismas medidas de los 80 y los 90, que en tantos lugares empobrecieron a los vecinos y convirtieron en algo usual la “salvación” de la olla común. Que unieron en el reclamo en las calles a tanta gente… A veces, incluso, sin motor político, y resultaran la chispa para los cambios y la emergencia de nuevos líderes.

Lo difícil de comprender no es que los otros quieran, repito: es que puedan.

Vuelven en más de un lugar las promesas de crecimiento económico colgadas del ajuste, que nuevamente se hace “entallándole” el consumo a la gente gracias a la elevación de los precios, como en Argentina, y —¡otra vez!— se entroniza la privatización, que abre la puerta al poder transnacional donde se asientan, precisamente, los intereses de quienes fueron llevados de vuelta al gobierno por el voto de estos mismos que sufren.

Y se ponen cada vez más al uso las truculencias de sistemas judiciales dudosos que hasta golpes de Estado sin armas permiten, como ha sido el caso de Brasil, donde la corrupción, sin embargo, sigue planeando sobre y alrededor de la presidencia, en tanto la lucha contra este flagelo, usada a fines del siglo pasado por los organismos financieros internacionales para condicionar los préstamos, hoy se utiliza para descabezar a líderes políticos y sociales.

Manipulación mediática es otro término acuñado que algunos rechazan, pero imprescindible para entender lo que pasa; y hace falta la conciencia, si no, que lo digan los bolivarianos en Venezuela.

En ese entorno pareciera que hay organizaciones sociales y populares centradas únicamente en su reclamo sectorial; desencantada alguna, tal vez, por el quehacer insuficientemente explicado o sencillamente errado de un gobierno de nuevo cuño. Pero quizá sin las letras ideológicas que les permitan leer dónde está la verdad.

Habría muchos elementos para explicar cómo las derechas, al socaire de las fuerzas imperiales del Norte, materializan la vuelta de tuerca que se quiere extender, no por gusto, en Latinoamérica: la primera región que inició una integración real basada en la complementariedad económica y comercial, en la soberanía, y en la sensata y entusiasta validación de nuestras propias fuerzas, que mostró las potencialidades del Sur.

Hace falta articulación entre todos los sujetos sociales y políticos opuestos al modelo neoliberal, y una memoria a prueba del más potente y sostenido bombardeo mediático.

Se extrañan las campañas continentales que tanto camino desbrozaron. Sí, porque la lucha de clases pervive y también la ideología, por más que la realidad obligue a un pragmatismo que no la soslaye.

(Tomado de Juventud Rebelde)

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