Fidel: un grande intellettuale ed un umanista

Intervista di Noel Alonso a Iroel Sanchez 

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Il giovane Noel Alonso mi ha intervistato per il portale Cubaliteraria sulla relazione di Fidel con la letteratura ed i libri.

Le emozioni sono istanze dell’uomo in cui, con grande difficoltà, la freddezza della lettera scritta tende a catturare: parlare di Fidel al passato è ancora un fatto amaro per tutti i cubani. Il modo migliore per mantenerlo vivo è nella memoria dei milioni di isolani, negli atti quotidiani per il superamento dell’uomo, nei nostri modi sicuri e fiduciosi per la costruzione del socialismo.

Fidel era un uomo interessato alla letteratura. Lo dimostrano la sua partecipazione attiva alle faccende letterarie dell’isola. Iroel Sánchez, ex direttore dell’Istituto Cubano del Libro (ICL), è uno di quei cubani che portano il Comandante in Capo come paradigma, come talismano per essere un essere umano migliore. A proposito della relazione di Fidel con la letteratura, con l’attività letteraria nazionale e le sue impressionanti misure per la trasformazione del libro, a Cuba, come un fatto di riconoscimento, Iroel ci concede questa emotiva intervista.

Da quando lei dirigeva l’Istituto Cubano del Libro (ICL), come è stata la presenza di Fidel nelle attività letterarie?

Fidel è un intellettuale, un grande intellettuale ed un umanista, oltre ad essere un lettore straordinario. Il libro occupa un posto centrale nella sua formazione, se intendiamo per formazione non il momento in cui stava studiando formalmente in un’istituzione ma in tutta la sua vita. Sono sempre stato colpito dal suo interesse e dal suo totale sostegno per due cose: una, mettere la maggior quantità di persone del popolo in contatto con la letteratura, il pensiero, con l’informazione scientifica, quello che potremmo chiamare democratizzare l’accesso al libro. Il paese, dopo il trionfo della Rivoluzione, ha realizzato un’intera epopea con la campagna di alfabetizzazione e la creazione della Stamperia Nazionale, la cui prima azione è la pubblicazione di centomila copie del Don Chisciotte, perché non si faceva nulla insegnando a leggere e scrivere se non si avevano libri. Ed entrambe le cose furono in parallelo. Due, democratizzare l’accesso all’edizione dei libri di autori cubani. Un progetto, ad esempio, che fu iniziativa di Fidel, fu la creazione delle case editrici territoriali e della Fiera del Libro nelle province, che fino al 2000 si realizzava solo all’Avana.

Grazie a Fidel, l’evento che è la Fiera del libro ha ora portata nazionale. Lui ha trasformato la lettura in un fenomeno di massa e ha fatto affidamento sulle forze economiche affinché questo fosse possibile. Il libro, per Fidel, sempre fu un diritto, non una mercanzia. Tutto il periodo speciale porta ad una brusca caduta nelle edizioni, praticamente si sostennero le pubblicazioni per l’educazione con soli 2 milioni di libri l’anno, ma appena si ebbe un po’ di risorse ciò, con il suo supporto, si moltiplicò varie volte. Una volta gli abbiamo detto che stavamo facendo mezzo milione di libri per la Fiera del Libro, lui ci ha detto: “facciamo cinque milioni”; qualcuno ricordava quella frase di García Márquez su di lui, che diceva: “non concepisce alcuna idea che non sia fuori dal comune” e questo è vero anche nel campo del libro.

Che ricordi ha di Fidel alla Fiera del Libro?

Fu una presenza costante nella Fiera. Non solo lo ricordo durante la cerimonia di inaugurazione, dove venne varie volte, ma anche nei suoi incontri con gli scrittori e le presentazioni di libri: era un grande conversatore, ma gli piaceva anche ascoltare. Ricordo le sue conversazioni con diversi scrittori e sempre mostrava l’ansia di conoscere ogni spiraglio, ogni dettaglio, per quanto minimo fosse. Era un uomo che era immerso in tante problematiche, nazionali o del mondo in generale, attento ad ogni evento, e voleva conoscere tutti gli aspetti interessanti delle storie degli evvenimenti passati o attuali. Fidel ha avuto un rapporto cordiale con gli autori cubani. Ricordo quella volta in cui disse che la Cabaña sarebbe stata “la fortezza dei libri” perché per lui questo è un momento di idee, non di armi.

Quando era con Chávez firmarono l’accordo dell’ALBA culturale; dietro a ciò c’era l’idea dell’integrazione culturale, e la fiera è uno scenario di integrazione culturale dei nostri popoli per la crescita spirituale dei cubani. Vedeva nella cultura in generale uno spazio per la realizzazione e la crescita della società. Credo che tale interesse che aveva nella Fiera e nelle attività letterarie formano anche parte del valore dei suoi ideali.

Secondo la tua esperienza, che importanza ha avuto per la storia della letteratura cubana e della letteratura in America Latina il lato di Fidel scrittore?

Il primo è ‘La Storia mi assolverà’, che è un classico, non solo cubano, ma anche della letteratura e del pensiero universale. Penso che sia un libro ineludibile. ‘La storia mi assolverà’ è uno dei libri più acquistati di tutti i tempi da cubani e stranieri; è un best seller che non passa di moda, oltre al fatto che il titolo ha una grande efficacia comunicativa (Fidel era un comunicatore straordinario). Alla fine della sua vita, con le Riflessioni, si percepisce che non solo ha un’intenzione politica, ma che è portatore di un pensiero umanista, di una cultura, gestisce le risorse della letteratura. Non ha mai preteso esibirsi come un letterato, ma senza dubbio dominava il linguaggio e nei suoi discorsi uno si accorge che c’è una quantità enorme di letture. Il suo impulso a progetti come l’Università per tutti, che è iniziato con la diffusione di un corso sulle Tecniche narrative, è un’altra prova della sua sensibilità ed interesse per la letteratura.

Nell’ultima Fiera, è stata fatta un’esposizione dei libri che Fidel leggeva in carcere, qualcosa che mostra le sue inquietudini letterarie da sempre. Direi che Fidel è uno scrittore e lettore “onnivoro”, per tale amplissimo diapason, per tali ansie di conoscere. Nel linguaggio nulla gli era estraneo: l’uso dell’ironia, ricordo sempre quell’articolo chiamato “Il fratello Obama“, dove è evidente l’uso demolitore dell’ironia.

Cosa ne pensi della validità delle opere di Fidel?

Fidel è un referente ineludibile a Cuba e nel mondo, il suo impatto trasformatore sulla realtà è enorme per essere l’uomo della Rivoluzione, per ciò che ha fatto, e come Marti, è un uomo che ha segnato un’epoca e continuerà oltre. Anche quelli che hanno voluto attaccarlo hanno dovuto riconoscere la forza del pensiero e dell’azione di Fidel. Se Cuba non fosse stato questo paese ribelle, indomabile, e Fidel non avesse capeggiato tale resistenza, alcune di queste persone non sarebbero diventati celebri scrittori né avrebbero un mercato editoriale grazie alla macchina della propaganda dedicata a denigrare la Rivoluzione. In un sondaggio condotto dal quotidiano spagnolo El Pais, che avversa Fidel e la Rivoluzione, nel 2010, per celebrare il 200esimo anniversario dell’inizio delle guerre di indipendenza in America Latina, ad un certo numero di scrittori ed intellettuali del continente, molti di destra, hanno chiesto di mettere insieme una lista delle personalità più rilevanti in quei due secoli, e le risposte hanno posto in primis Simón Bolívar, poi Fidel, poi José Martí ed il quarto era il Che. I quattro erano personalità che la Rivoluzione cubana ha proiettato su scala mondiale, di cui tre cubani, perché il Ché era un cubano grazie a Fidel. Questo dice molto della cultura latinoamericana e dell’impatto di Fidel su di essa.

Come vede la politica di apertura delle case editrici e delle pubblicazioni a Cuba con Fidel oramai leader indiscutibile della Rivoluzione?

Bisogna vedere quello che era uno scrittore a Cuba prima del 1959. C’è una lettera di Virgilio Piñera a Fidel, nei primi mesi del 1959, in cui si dice, “lo scrittore a Cuba è l’ultima carta del mazzo”, e reclama che la Rivoluzione trasformi questo. A volte parliamo dei grandi monumenti letterari cubani, ma si dimentica in quale contesto e chi aveva accesso. I grandi romanzi cubani come ‘El reino de este mundo’, di Carpentier, o ‘La carne di René’, di Virgilio, erano pubblicati non a Cuba ma all’estero, prima del 1959. Molti poeti autofinanziavano le loro edizioni. Ancor meno questi scrittori potevano pensare che i loro compatrioti li leggessero. La Rivoluzione di Fidel diede dignità a questo e moltiplicò le capacità intellettuali per lo sviluppo massiccio dell’educazione. Le case editrici in tutte le province furono il risultato di quella crescita delle capacità intellettuali e la sua contraddizione con il fatto che esistessero solo poche case editoriali nella capitale; lo sviluppo culturale ha messo in crisi questo. Questo sviluppo editoriale è opera di Fidel e della Rivoluzione, oltre al senso di renderlo partecipativo, inclusivo, in cui le decisioni vengono prese in un Comitato Editoriale con la partecipazione dei creatori. Non è stato un letto di rose, senza contraddizioni, ma tale opera è lì, sollevata in mezzo ad una tremenda aggressione contro il paese e una guerra di informazione con i media più potenti per cercare di screditarla.

L’ultima domanda, questa volta più personale, è costata, ad Iroel Sánchez, l’assenza di Fidel?

È molto difficile. Tutti i giorni mi ricordo di lui … è difficile abituarsi all’idea che se ne sia andato. Era come un talismano, nonostante fosse malato, tu sapevi che era lì. Un guardiano del paese e di quello che amiamo. E’ molto difficile sapere che ora non è così, ma sento anche che il nostro modo in cui assumiamo l’assenza, cioè, il modo in cui molti giovani sono presenti, in cui il popolo si mantiene unito, è molto gratificante. È difficile parlare di lui senza emozionarsi. Ma ci ha insegnato a continuare, ad avanzare nell’opera che ci ha lasciato.


Fidel, un gran intelectual y un humanista, un extraordinario lector”.

Entrevista con Noel Alonso

El joven Noel Alonso me realizó esta entrevista para el portal Cubaliteraria sobre la relación de Fidel con la literatura y los libros. 

Las emociones son instancias del hombre en que, a duras penas, la frialdad de la letra escrita suele captar: hablar de Fidel en pasado es un hecho amargo aún para todos los cubanos. La mejor manera de mantenerlo vivo es en la memoria de los millones de isleños, en los actos cotidianos para la superación del hombre, en nuestras maneras seguras y confiadas para la construcción del socialismo.

Fidel fue un hombre interesado en la literatura. Su participación activa en los quehaceres literarios de la Isla así lo demuestran. Iroel Sánchez, antiguo director del Instituto Cubano del Libro (ICL), es uno de esos cubanos que llevan al Comandante en Jefe como paradigma, como talismán para ser mejor ser humano. A propósito de la relación de Fidel con la literatura, con el quehacer literario nacional y sus impactantes medidas para la transformación del libro en Cuba como un hecho de reconocimiento, Iroel nos concede esta emotiva entrevista.

¿Desde que usted dirigía el Instituto Cubano del Libro (ICL), cómo fue la presencia de Fidel en las actividades literarias?

Fidel es un intelectual, un gran intelectual y un humanista, aparte de ser un extraordinario lector. El libro ocupa un lugar central en su formación, si entendemos por formación no el momento en que estuvo estudiando de manera formal en una institución sino en toda su vida. Siempre me llamó la atención su interés y su apoyo total por dos cosas: una, poner a la mayor cantidad de personas del pueblo en contacto con la literatura, el pensamiento, con la información científica, lo que podríamos llamar democratizar el acceso al libro. El país, después del triunfo de la Revolución, hizo toda una epopeya con la campaña de alfabetización y la creación de la Imprenta Nacional cuya primera acción es la publicación de cien mil ejemplares de El Quijote, porque no se hacía nada enseñando a leer y a escribir si no se tenían libros. Y ambas cosas fueron en paralelo. Dos, democratizar el acceso a la edición de los libros de los autores cubanos. Un proyecto, por ejemplo, que fue iniciativa de Fidel, fue la creación de las editoriales territoriales y la Feria del Libro en las provincias, que hasta el año 2000 se realizaba solo en La Habana.

Gracias a Fidel, el evento que es la Feria del Libro tiene ahora alcance nacional. Él convirtió la lectura en un fenómeno de masas y se apoyó en las fuerzas económicas para que eso fuera posible. El libro, para Fidel, siempre fue un derecho, no una mercancía. Todo el periodo especial trae un bajón en las editoriales, prácticamente se sostuvieron las publicaciones para la educación con solo 2 millones de libros al año, pero en cuanto hubo un poco de recursos eso, con su apoyo, se multiplicó varias veces. Una vez le dijimos estamos haciendo medio millón de libros para la Feria del Libro, él nos dijo: “vamos a hacer cinco millones”; uno recordaba aquella frase de García Márquez sobre él, quien decía: “no concibe ninguna idea que no sea descomunal” y eso también se cumple en el campo del libro.

¿Qué recuerdos tiene de Fidel en la Feria del Libro?

Fue una presencia contante en la Feria. No solo lo recuerdo en la ceremonia de inauguración, adonde acudió varias veces, sino también en sus encuentros con los escritores y presentaciones de libros: era un gran conversador, pero también le gustaba escuchar. Yo recuerdo conversaciones suyas con varios escritores y siempre mostraba ese afán por saber cada resquicio, cada detalle, por mínimo que fuera. Era un hombre que estaba inmerso en tantas problemáticas, nacionales o del mundo en general, atento a cada acontecimiento, y quería saber todo aspecto interesante de las historias del pasado o de los acontecimientos actuales. Fidel tenía una relación cordial con los autores cubanos. Recuerdo aquella vez que dijo que la Cabaña iba a ser “la fortaleza de los libros” porque para él este es un momento de ideas, no de armas.

Cuando estuvo con Chávez firmaron el convenio del ALBA cultural; detrás de eso estaba la idea de integración cultural, y la feria es un escenario de integración cultural de nuestros pueblos para el crecimiento espiritual de los cubanos. El veía en la cultura en general un espacio de realización y crecimiento de la sociedad. Yo creo que ese interés que se tomaba en la Feria y las actividades literarias forman parte también del valor de sus ideales.

¿Según su experiencia, que importancia ha tenido para la historia de la literatura cubana y de la literatura en Latinoamérica la faceta de Fidel escritor?

Lo primero es La historia me absolverá, que es un clásico, no solo cubano, sino también de la literatura y del pensamiento universal. Yo creo que es un libro ineludible. La historia me absolverá es uno de los libros más comprados de todos los tiempos por cubanos y extranjeros; es un best seller que no pasa de moda, además de que el título tiene una gran eficacia comunicacional (Fidel fue un comunicador extraordinario). Al final de su vida, con las Reflexiones, uno percibe que no solo tiene una intención política, sino que es portador de un pensamiento humanista, de una cultura, maneja los recursos la literatura. Él nunca pretendió exhibirse como un hombre de letras, pero sin dudas dominaba el lenguaje, y en sus discursos uno se da cuenta que hay una cantidad de lecturas tremenda. Su impulso a proyectos como Universidad para todos, que se inició con la difusión de un curso sobre Técnicas narrativas, es otra prueba de su sensiblidad e interés por la literatura.

En la Feria pasada se hizo una exposición de los libros que Fidel leía en la cárcel, algo que muestra sus inquietudes literarias desde siempre. Yo diría que Fidel es un escritor y lector “omnívoro”, por ese diapasón amplísimo, por esas ansias de conocer. En el lenguaje nada le era ajeno: el uso de la ironía, siempre recuerdo ese artículo que se llama “El hermano Obama”, donde es evidente la utilización demoledora de la ironía.

¿Qué cree de la vigencia de las obras de Fidel?

Fidel es un referente ineludible en Cuba y en el mundo, su impacto transformador en la realidad es enorme por ser el hombre de la Revolución, por lo que hizo, y como Martí, es un hombre que ha marcado una época y continuará más allá. Incluso quienes han querido atacarlo, han tenido que reconocer la fuerza del pensamiento y la acción de Fidel. Si Cuba no hubiera sido ese país rebelde, indoblegable, y Fidel no hubiese encabezado esa resistencia, algunas de esas personas no se hubieran hecho escritores célebres ni tuvieran un mercado editorial gracias a la maquinaria de propaganda dedicada a denigrar la Revolución. En una encuesta realizada por el diario español El País, que adversa a Fidel y la Revolución, en el 2010 con motivo de los 200 años del inicio de las guerras de independencia en Latinoamérica, a una serie de escritores e intelectuales del continente, muchos de derecha, les pidieron armar una lista de las personalidades más relevantes en esos dos siglos, y las respuestas colocaron en primer lugar a Simón Bolívar, luego Fidel, luego José Martí y el cuarto era el Ché. Los cuatro eran personalidades que la Revolución Cubana ha proyectado a escala mundial, de ellos tres eran cubanos, porque el Ché era un cubano gracias a Fidel. Eso dice mucho de la cultura latinoamericana y del impacto de Fidel en ella.

¿Cómo ve la política de apertura de las editoriales y las publicaciones en Cuba con Fidel siendo ya el líder indiscutible de la Revolución?

Hay que ver lo que era un escritor en Cuba antes de 1959. Hay una carta de Virgilio Piñera a Fidel a principios de 1959 donde dice: “el escritor en Cuba es la última carta de la baraja”, y reclama que la Revolución transforme eso. A veces hablamos de los grandes monumentos literarios cubanos, pero se olvida en qué contexto y quiénes tenían acceso. Las grandes novelas cubanas como El reino de este mundo, de Carpentier, o La carne de René, de Virgilio, eran publicadas no en Cuba sino en el exterior antes del 1959. Muchos poetas autofinanciaban sus ediciones. Mucho menos esos escritores podían pensar en que sus compatriotas los leyeran. La Revolución de Fidel dignificó eso y multiplicó las capacidades intelectuales por el desarrollo masivo de la educación. Las editoriales en todas las provincias fueron resultado de ese crecimiento de las capacidades intelectuales y su contradicción con que solo existieran unas pocas editoriales en la capital, el desarrollo cultural puso en crisis eso. Ese desarrollo editorial es obra de Fidel y la Revolución, además con el sentido de hacerlo participativo, inclusivo, donde las decisiones se toman en un Consejo Editorial con participación de los creadores. No ha sido un lecho de rosas, sin contradicciones, pero esa obra está ahí, levantada en medio de una agresión tremenda contra el país y una guerra de información con los medios más poderosos para tratar de desacreditarla.

La última pregunta, esta vez más personal, ¿le ha costado a Iroel Sánchez la ausencia de Fidel?

Es muy difícil. Todos los días me acuerdo de él… es difícil acostumbrarse a la idea de que ya no está. Él era como un talismán, a pesar de estar enfermo, sabías que estaba ahí. Un guardián del país y de lo que queremos. Es muy difícil saber que ya no es así, pero también siento que la manera en que asumimos la ausencia, o sea, la manera en la que muchos jóvenes lo tienen presente, en que el pueblo se mantiene unido, es muy gratificante. Es difícil hablar de él sin emocionarse. Pero nos enseñó a continuar, a seguir adelante con la obra que nos legó.

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