Le basi del nostro patriottismo

Alla fine del  XIX secolo era già inimmaginabile una Rivoluzione sociale autentica che non ubicasse i suoi sogni di redenzione nell’essere umano, una torretta al disopra dei limiti della razza e della nazione.

La democrazia greca escludeva gli schiavi e le donne e senza estendermi in esempi di altre epoche, gli ideologi della Rivoluzione borghese non si occupavano dei popoli colonizzati.

Però né questi, nè gli operai e i contadini della Spagna, potevano emanciparsi senza un concetto umanistico che comprendesse tutti, anche gli sfruttatori e i colonizzatori.

Quando Napoleone Bonaparte accettò, di fronte alla belligeranza degli insorgenti, l’abolizione della schiavitù nella colonia di  Saint Domingue e solo lì, Toussaint Louverture, un negro analfabeta che era stato schiavo protestò:

«Quello che vogliamo non è una libertà di circostanza concessa a solo a noi – disse con sagacia politica, estraneo a qualsiasi posizione pragmatica e  realista” – quello che vogliamo è l’adozione assoluta del principio che ogni uomo nato rosso, negro o bianco non può essere proprietà del suo prossimo. Oggi siamo liberi perché siamo più forti.  Il Console mantiene la schiavitù  in Martinica, nell’Isola Bourbon; per tanto saremo schiavi sino a quando lui sarà il più forte».

Nel 1871 José Martí, a soli 18 anni d’età, denunciava la cecità degli eredi dell’illuminismo che in Spagna difendevano i diritti che negavano nelle sue colonie.

«(…) anche gli uomini che sognano con la federazione universale, con l’atomo libero dentro la molecola libera, con il rispetto dell’indipendenza altrui come base della forza e dell’indipendenza propria, hanno anatemizzato la richiesta dei diritti che chiedono, sanzionato l’oppressione dell’indipendenza che predicano e santificato come rappresentante della pace e la morale la guerra di sterminio, dimenticando il cuore  . (…) Hanno chiesto ieri, chiedono oggi, la libertà più ampia per loro e oggi stesso applaudono la guerra senza condizioni per soffocare le richieste di libertà degli altri».

Lo stesso Martí esprime  nel 1895 un concetto basico per i rivoluzionari cubani: «Patria è umanità, è quella porzione dell’umanità che vediamo più vicina e in cui ci è toccato nascere».

L’indipendenza di Cuba garantiva lo spazio fisico e morale per una repubblica di giustizia e solidarietà con i poveri della Terra, anche se Martí, come Bolívar, sognava una Patria grande che comprendeva tutti i popoli che vivono tra il fiume Bravo alla Patagonia.

Nessun altro marxista latinoamericano è stato più profondamente  martiano di Fidel Castro. Martí e Fidel sono stati i soli leader, nella breve e intensa storia di Cuba, che hanno realizzato l’unità necessaria delle forze rivoluzionarie;  un’unità estranea a patti conciliatori, capace di disarticolare i consensi del dominio  – di quelli che proclamavano l’incapacità del cubano, l’inferiorità del negro e della donna, l’inevitabilità della dipendenza – e fondare quelli dell’emancipazione con uomini e donne virtuosi che hanno superato se stessi.

Fidel, come Martí, aveva fiducia nella vittoria nel suo popolo, nelle ragioni di lotta, nella possibilità di quello che sembrava impossibile.

Ha raccolto le due tradizioni d’emancipazione: quella del mondo coloniale e neo coloniale – una delle cui figure più alte è stato il nostro Martí – e quella degli sfruttati del Capitale, quelli del pensiero marxista e della Rivoluzione d’Ottobre, il cui centenario è stato appena commemorato.

La Rivoluzione Cubana del 1959 non poteva pensare in se stessa se non come parte della ribellione dei colonizzati e degli sfruttati del mondo come un passo della dura lotta verso l’emancipazione degli esseri umani.

È vero che le rivoluzioni non si esportano e nascono da condizioni irripetibili  proprie, ma il concetto di solidarietà, alleato a quello di giustizia è la base nel socialismo e non può essere un bene che obbedisce a limiti: né quello della casa, né del quartiere, né del paese.

La Cuba di Fidel  ha esercitato la solidarietà coi fratelli senza condizioni né calcoli geopolitici e non si è fermata davanti alle convenienze che contravvenivano  i suoi principi; è stato così  in Africa, in Asia e in America Latina.

I cubani abbiamo donato sangue in massa per il Vietnam aggredito, abbiamo ceduto una libbra ( 500 grammi circa) della nostra quota di zucchero per il  Cile di Allende, abbiamo lottato con quelli che lottavano per i loro popoli in altre terre del mondo e  molti sono morti nel cammino ; abbiamo avanzato, gomito a gomito con  sandinisti e  bolivariani vittoriosi nell’edificazione del nuovo paese.

Abbiamo costruito scuole, ospedali , aeroporti, alfabetizzato, assistiamo le comunità povere nello sport e la cultura, salviamo o curiamo centinaia di migliaia d’esseri umani che mancavano d’assistenza medica. L’internazionalismo è stato un principio inviolabile esercitato con un chiaro senso del momento storico.

La Cuba di Fidel non si è fermata di fronte a cospirazioni per distruggerla, ed ha inviato medici. per esempio, nel Nicaragua di Somoza, quando il terremoto del 1972 devastò la capitale di questo paese.

Ha creato un Contingente che porta il nome di un internazionalista di Nuova York, della nostra prima guerra d’indipendenza, per aiutare il popolo  statunitense dopo l’uragano Katrina.

L’unica ideologia che esprimeva non si articolava in parole: era nell’azione, nel disinteresse, nella dedizione.   256 lavoratori della salute cubani hanno assistito i malati di Ebola nella peggiore epidemia di questo virus mortale registrata in Africa occidentale e nel mondo. Lì hanno incontrato medici africani dei paesi colpiti e di altre nazioni del continente che avevano studiato a Cuba – alcuni anche nelle medie e il liceo – come altre migliaia di giovani arabi e latinoamericani.

Quando nel 1998 l’uragano Mitch devastò i Caraibi  centro americani – un altro uragano di carattere ideologico aveva paralizzato  la sinistra  internazionale, dopo il crollo del detto «campo socialista» – Fidel rilanciò l’internazionalismo e  con lui la certezza che un mondo migliore è possibile se esiste la volontà politica.  Ogni  brigata medica che andava in un paese in situazione di disastro e che aveva sollecitato l’aiuto cubano, lui la salutava personalmente, insistendo nel rispetto delle tradizioni, le abitudini e i credo politici dei pazienti che avrebbero assistito.

Fidel in realtà riattivava in quel modo la vocazione solidale di ogni autentica rivoluzione dopo un oscuro e luminoso decennio di resistenza – quella degli anni novanta – la solidarietà della fondazione sostenuta dalla conduzione della crisi che evitò sempre di danneggiare i più poveri e che sopravvisse tra “apagones ( tagli al servizio dell’elettricità) e carenze, con azioni molto semplici e significative come la detta «botella» ( passaggi in auto) per le strade della città, e la esportava con il Piano di Salute in America centrale e in Haiti – poi s’incorporerà il Venezuela – e  verso l’interno con la detta “Battaglia delle Idee” che si proponeva di riscattare i giovani dei segmenti della popolazione meno favoriti.

Le due azioni di solidarietà hanno sempre avuto un impatto all’interno del paese: ogni lavoratore della salute che salvava vite in condizioni precarie, in zone marginali o molto difficili da raggiungere e ogni lavoratore sociale che orientava i suoi simili per il cammino bello e lastricato di superare se stesso, poteva, se portava la semente nel petto “riciclare il suo spirito rivoluzionario”.

Protagonizzare la giustizia era l’unica maniera di riattivare la Rivoluzione.

Fidel trovò un uguale in questo impegno: Hugo Chávez.

Insieme percorsero ogni luogo, ogni fiume, ogni montagna, ogni quartiere urbano di Nuestra America, ogni cuore di latino americano.

Insieme esclamarono : «Unità nella solidarietà».

Il concetto della Rivoluzione fidelista (che è il suo codice morale), acquista  senso nel contesto della vita e l’opera di Fidel.

Se “Patria è Umanità”, Socialismo è Giustizia, è umanesimo rivoluzionario.

Non si può intendere nessuno degli aspetti o del idee che questo concetto espone, se lo si toglie da suo principio rettore. La lotta contro l’ingiustizia dovunque si produce e contro il capitalismo, contro l’imperialismo, che la necessitano.

Chi dice che Fidel già non vive?

Il suo concetto  di Rivoluzione va oltre il concetto, cioè le parole, che lo compongono; interagisce con la storia, quella è stata e quella che sarà; perché senza giustizia non c’è Patria, senza solidarietà –interna ed esterna– non c’è Patria, senza le nostre conquiste realizzate e senza quelle che ci proponiamo, non c’è Patria.

 

 

 

 

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