Vzla: 10 azioni di destabilizzazione contro il rieletto governo

Mentre migliaia di persone giungevano al Palazzo di Miraflores per salutare la rielezione di Nicolás Maduro, l’opposizione, gli USA, l’Unione Europea e la destra latinoamericana hanno posto in marcia un piano di destabilizzazione –preparato da molto tempo- contro il nuovo processo democratico  vissuto domenica in Venezuela.


Il popolo venezuelano, vittima di una delle più dure guerre economiche degli ultimi tempi, paragonabile solo al blocco imposto a Cuba da più di 50 anni, ha riaffermato Nicolás Maduro come Presidente legittimo  con più di sei milioni di voti.

I “portatori della democrazia” della regione e nel mondo intanto hanno attivato la loro agenda di ostilità contro la nazione di Bolívar ed hanno ignorato il chiaro messaggio della cittadinanza nelle urne.

Caracas, abituata a questo tipo di azioni da quando nel 1998 ha intrapreso il suo cammino, differente da quello che dettano i postulati id Washington, si è alzata di nuovo sotto l’assedio di una marea d’ingerenze.

Granma descrive dieci azioni di destabilizzazione rese pubbliche nelle ultime 48 ore-

1 – NUOVE SANZIONI USA

Il presidente USA, Donald Trump, ha annunciato la stessa domenica 18, nuove sanzioni  unilaterali contro il Venezuela, che violano i principi della Carta delle Nazioni Unite e le norme del diritto internazionale.

Con un ordine esecutivo Trump ha proibito a qualsiasi cittadino, istituzione o impresa statunitense di acquistare debiti venezuelani o attivi o proprietà che appartengano all’esecutivo venezuelano, negli Stati Uniti, includendo gli investimenti derivati dall’impresa Petróleos de Venezuela S.A. (Pdvsa).

Le autorità venezuelane condannano queste illecite e illegittime misure, che tentano d’espandere l’assedio economico e finanziario contro la loro Patria, pretendono d’eliminare il diritto alla autodeterminazione del loro popolo, attentando  contro il loro modello di sviluppo socio- economico.

2 – TENTATIVI D’IGNORARE LA VOLONTÀ POPOLARE

Quattordici  governi dell’America Latina,  noti come il Gruppo di Lima, hanno assicurato che non riconosceranno il risultato delle elezioni in Venezuela, si legge in un comunicato emesso lunedì 19.

Tra gli argomenti per sostenere questa posizione aggressiva, c’è una presunta astensione dei venezuelani domenica 18. Indubbiamente i presidenti del Cile e della Colombia, membri del blocco, sono stati eletti con una partecipazione più bassa di quella registrata per Nicolás Maduro e non hanno sofferto alcun tipo di segnalazione per questa causa.

Il Gruppo di Lima include nazioni come il Brasile, dove un colpo di Stato parlamentare ha tolto la presidente  Dilma Rousseff dal potere e mantiene ingiustamente  detenuto  Luiz Inácio Lula Da Silva, il candidato più popolare in vista delle elezioni nel paese.

In Perù il presidente ha dovuto dimettersi per le accuse di corruzione; in Honduras le elezioni del 2017 sono state segnate da scandali di frode e corruzione.

3 – AGGRESSIONI DIPLOMATICHE

I governi di Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costarica, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù e Santa Lucía,  che fanno parte del Gruppo di Lima, hanno accordato di «ridurre» le loro relazioni diplomatiche con il Venezuela per cui hanno chiamato a consultazione i loro ambasciatori in Caracas.

Il gruppo  ha affermato che presenterà una risoluzione nel 48º periodo di Sessioni dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani  – OSA – sulla situazione in Venezuela.

4 – ATTACCHI DALLA OSA

Nel febbraio scorso l’OSA ha approvato una risoluzione che esigeva che il governo del Venezuela cancellasse le elezioni presidenziali del paese. Nell’entità promotrice dell’aggressione internazionale per l’isolamento dei processi di cambio che erano iniziati in tutta la Patria Grande, la cui punta di lancia per questi obiettivi è precisamente  il Venezuela, mantiene una campagna d’ingerenze  contro questa nazione, mentre loda altre situazioni davvero scandalose in altri paesi.

Il Segretario Generale della OSA, Luis Almagro, ha ignorato il mandato di domenica del popolo bolivariano ed ha reiterato che l’organismo non riconosce Nicolás Maduro come presidente legittimo del Venezuela. Inoltre ha assicurato che contineranno a operare per “la fine della dittatura” e nuovamente ha richiesto “un governo di transizione”.

5 – AMPLIAMENTO DELL’ ASSEDIO ECONOMICO

Seguendo gli orientamenti USA, vari paesi latinoamericani hanno affermato anche che coordineranno azioni con organismi finanziari internazionali per non concedere prestiti al Governo del  Venezuela che affronta un’importante crisi economica. Inoltre hanno affermato che intensificheranno e amplieranno lo scambio delle informazioni  finanziarie per perfezionare le sanzioni contro la nazione sudamericana con il fine di chiudere l’assedio economico su Caracas.

6 – INCENTIVARE I CONFLITTI ALLE  FRONTIERE

Come parte delle conseguenze  della guerra economica e della crisi che sta soffrendo il  Venezuela, sostenuta dall’estero, i flussi migratori di questo paese verso le nazioni vicine sono  aumentati. Anche se questo è un fenomeno comune nella storia dl’America Latina e nel passato lo stesso Venezuela  ha ricevuto milioni di colombiani e altri migranti, si vuole manipolare il tema per giustificare un conflitto.

Colombia e Brasile sono due punte di lancia per l’aumento delle truppe degli Stati Uniti,  il cui governo ha assicurato che “non scarta l’opzione militare nel caso del Venezuela”.

7 –  L’UNIONE EUROPEA SI SOMMA AGLI ATTACCHI

Contro i tentativi per mantenere una politica estera indipendente dagli Stati Uniti, l’Unione Europea ha sommato gli attacchi contro il governo venezuelano.

Il blocco ha annunciato che  studia l’adozione di misure per le presunte irregolarità nelle elezioni in Venezuela.

Per la UE e per la Spagna in particolare le elezioni in Venezuela hanno presentato “deficienze democratiche fondamentali” e “gravi irregolarità”, anche se ben 150 osservatori internazionali hanno messo in risalto la validità e la trasparenza dei risultati emanati dalle urne.

8 – BOICOTTAGGIO DELL’ OPPOSIZIONE

Ancor prima di conoscere i risultati ufficiali emessi dal Consiglio Nazionale Elettroale -CNE- l’ex candidato presidenziale  Henri Falcón aveva già dichiarato che non avrebbe riconosciuto il processo elettorale. Falcón, che ha ottenuto un milione 820.552 voti,  il 21,01%,  ha ripreso una formula ampiamente usata dalla destra venezuelana, di non accettare la voce delle urne quando è sfavorevole. Javier Bertucci, portabandiera di  Esperanza para el Cambio,  che ha avuto solo  il  10,82% dei voti, si è sommato a sua volta alla campagna per non riconoscere le elezioni, sostenendo presunte violazioni alla legge elettorale del Venezuela, anche se poi ha accettato il risultato ma criticando il processo.

9 – IL CAMMINO DELLA VIOLENZA

Dopo la sua ratificazione come Capo di Stato, Maduro  ha convocato a un dialogo e alla riconciliazione, proposta immediatamente respinte dalla Mesa de la Unidad Democrática (MUD) e da altri attori dell’opposizione.

La MUD, opposizione che non ha partecipato a queste elezioni presidenziali, ha sacrificato mesi fa il suo spazio politico nel paese e si è unita al richiamo di un’agenda violenta, ha parlato di frodi molto prima che di conoscere il risultato, così come l’opposizione partecipante, che ha scartato  qualsiasi possibilità di sedersi a un tavolo di conversazioni con l’esecutivo di Maduro.

Senza prestigio alcuno e divisa, la MUD, che non ha un’ agenda di governo propria, segue una serie di orientamenti indicati dall’estero e tenta ora di fabbricare uno scenario per togliere legittimità ad elezioni dalle quali loro stessi sono usciti di fronte all’impossibilità di far fronte al chavismo.

10 – MANIPOLAZIONE MEDIATICA

Sia le fotografie usate dai media internazionali  che i titoli  scelti per la copertura della stampa sulle elezioni in Venezuela, sono state disegnate per cercare di minimizzare la partecipazione dei cittadini e il loro appoggio, la maggioranza-  alla Rivoluzione  Bolivariana. Inoltre la maggior parte dei media della stampa dell’occidente continua a fare eco a termini come “prigionieri politici”, quando il governo ha presentato prove decisive su coloro che sono sotto processo della giustizia, perché hanno commesso azioni illegali e  richiami alla violenza, con un saldo di un centinaio di morti.

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