Chi pensa (e cosa) nel complesso industriale militare?

Michel Collon http://www.cubadebate.cu/opinion

“Spendere il massimo possibile nell’esercito è in contraddizione con le grandi promesse di riattivare l’economia USA all’interno del paese. A meno che Trump non abbia deciso, nella sua coscienza, che questa ripresa si farà massacrando i salari e le condizioni di lavoro della manodopera USA. Una cosa è certa: Trump non potrà soddisfare tutti i suoi elettori o tutti i suoi sponsor. Si annuncia un risveglio molto brusco”.

Legga questo estratto dall’ultimo libro di Michel Collon, “Il mondo secondo Trump”

Chi pensa (e cosa) nel complesso industriale militare?

Siamo alla presenza di tre teorie che mirano a rafforzare gli USA:

-la teoria di Chalmers Johnson: un capitalismo senza imperialismo

-la teoria di Brzezinski: attaccare Russia e Cina

-la teoria Mearsheimer e Walt: unirsi alla Russia contro la Cina

La prima ci sembra idealista nel senso brutto del termine. Irrealista. Perché “il capitalismo porta con sé la guerra come le nuvole portano la tempesta”, come diceva Jean Jaurès, nel 1914, alla vigilia della I Guerra Mondiale. Per dominare e dividersi il mondo, i capitalisti hanno un bisogno assoluto della guerra: in questo sistema è un’esigenza ineludibile.

La seconda teoria, effettivamente, ha incontrato grandi difficoltà: porsi troppi nemici quando già non si hanno più mezzi, significa diluire i propri sforzi e perdere efficacia, come espresso dallo storico Paul Kennedy.

La terza teoria cerca quindi di adattare gli impegni USA alle loro attuali capacità. E soprattutto a meglio applicare il motto coloniale “Dividi e vincerai”. Avrà l’opportunità di essere applicata?

All’inizio sembrava così, con la propaganda elettorale di Trump e le sue prime misure alla Casa Bianca. Tuttavia, il dibattito tra gli strateghi è influenzato dagli interessi del complesso industriale militare. Quando i suoi benefici e privilegi sono basati sulle spese militari e dispongono dei meccanismi per determinare l’elezione dei candidati, come i commercianti di bombardieri, missili e molteplici servizi per l’esercito potrebbero accettare un bilancio militare “ragionevole”?

E cosa succede se il vincitore non fosse il candidato prescelto? Faranno tutto il possibile per posizionarlo nel percorso che gli convenga.

La guerra: un buon affare

Nel sistema capitalista, la guerra è un buon affare, come qualsiasi altro. No, è molto meglio degli altri. Infatti, chi paga – il contribuente – non ha alcun controllo né sull’utilità del prodotto, né sul prezzo. Le marche degli armamenti gli fanno pagare per lo meno due volte più caro a causa della situazione di monopolio ed al sistema di corruzione generalizzato in questo settore.

Poiché i valori azionari di queste società d’armamenti sono raddoppiati dal 2014, la direttrice esecutiva della Lockheed Martin ha espresso la sua soddisfazione per l’ ” instabilità”[in Medio Oriente] “e per le opportunità per gli affari corrispondenti”. Poco importa che Daesh sia un “nemico” o un “fattore strategico” per Washington. In ogni caso, è un buon stratagemma per gli azionisti.

A proposito, vale la pena ascoltare un poco del discorso della direttrice esecutiva della Lockheed Martin: “Siamo molto entusiasti del modo in cui abbiamo rimodellato il nostro catalogo di prodotti e competenze. Dal punto di vista finanziario, abbiamo superato tutte le nostre previsioni per il 2015 e ottenuto livelli record di ordini e vendite internazionali. (…) Il mese scorso, al presentare al Senato il suo Rapporto sulla minaccia globale, James Clapper, il direttore del servizio di informazione, ha detto che “l’instabilità imprevedibile” si era trasformata in una nuova norma in ciò che si riferisce alle minacce in tutto il pianeta, una tendenza che persisterà per il futuro prevedibile. L’estremismo violento continua a diffondersi. L’ascesa senza precedenti di ISIS, Boko Haram e altri gruppi militanti non sembra diminuire. Gli attacchi terroristici continuano a verificarsi con frequenza allarmante in Europa, Asia ed Africa”.

In breve, per questi azionisti è viva il terrorismo!

Differenze tra Clinton e Trump

Clinton aveva promesso di continuare con la stessa politica che favoriva i settori legati alla guerra. Come Bush, pensava che il bottino catturato nei paesi conquistati avrebbe permesso la rivitalizzazione dell’economia USA. Credeva anche che fosse necessario indebolire sia la Russia che la Cina allo stesso tempo e attivamente. Affinché gli USA potessero ricolonizzare quelle aree che commercializzavano con queste potenze rivali.

Trump faceva affidamento su altre analisi, secondo le quali l’estensione dell’impero USA costa troppo caro poiché un interventismo sistematico moltiplica le resistenze e tutto ciò danneggia l’economia, privando le multinazionali USA del necessario supporto per la loro competitività (…)

“Spendere il massimo possibile nell’esercito è in contraddizione con le grandi promesse di riattivare l’economia USA all’interno del paese. A meno che Trump non abbia deciso nella sua coscienza che questa ripresa si farà massacrando i salari e le condizioni di lavoro della manodopera USA. Riprenderemo questo tema. In qualsiasi modo una cosa è certa: Trump non potrà soddisfare tutti i suoi elettori o tutti i suoi sponsor. Si annuncia un risveglio molto brusco”.

Fonte: frammento del libro di Michel Collon (Ediciones Investig’Action/Viejo Topo, Barcellona, 2018)

(Tratto da Rebelion)


¿Quién piensa (y qué) en el complejo industrial militar?

Por: Michel Collon

Gastar lo máximo posible en el ejército está en contradicción con las grandes promesas de reactivar la economía estadounidense al interior del país. Salvo que Trump haya decidido en su fuero interno que esa recuperación se hará masacrando los salarios y las condiciones de trabajo de la mano de obra estadounidense. Una cosa es segura: Trump no podrá satisfacer a todos sus electores ni a todos sus patrocinadores. Se anuncia un despertar muy brusco”.

Lea este extracto del último libro de Michel Collon, “El mundo según Trump”

¿Quién piensa (y qué) en el complejo industrial militar?

Estamos en presencia de tres teorías que pretenden fortalecer a Estados Unidos:

la teoría Chalmers Johnson: un capitalismo sin imperialismo

la teoría Brzezinski: atacar a Rusia y a China

la teoría Mearsheimer y Walt: unirse a Rusia contra China

La primera nos parece idealista en el mal sentido del término. Irrealista. Porque “el capitalismo trae consigo la guerra como las nubes traen la tormenta”, como decía Jean Jaurès en 1914, en vísperas de la Primera Guerra Mundial. Para dominar y repartirse el mundo, los capitalistas tienen una necesidad absoluta de la guerra, en este sistema es una necesidad ineludible.

La segunda teoría, efectivamente, ha encontrado grandes dificultades: plantearse demasiados enemigos cuando ya no se tienen medios, significa diluir sus esfuerzos y perder eficacidad, como lo expresaba el historiador Paul Kennedy.

La tercera teoría pretende pues adaptar los compromisos de Estados Unidos a sus capacidades actuales. Y sobre todo a aplicar mejor la divisa colonial “Divide y vencerás”. ¿Tendrá la oportunidad de ser aplicada?

Al principio parecía que sí, con la propaganda electoral de Trump y sus primeras medidas en la Casa Blanca. Sin embargo, el debate entre los estrategas está sesgado por los intereses del complejo industrial militar. Cuando sus beneficios y sus privilegios están basados en los gastos militares y disponen de los mecanismos para determinar la elección de los candidatos, ¿cómo los comerciantes de bombarderos, de misiles y de múltiples servicios para el ejército podrían aceptar un presupuesto militar “razonable”?

¿Y si ocurre que el ganador no sea el candidato escogido? Harán todo lo posible para ubicarlo en el camino que les convenga.

La guerra: un buen negocio

En el sistema capitalista la guerra es un buen negocio, como cualquier otro. No, más bien es mucho mejor que los otros. De hecho, el que paga – el contribuyente – no tiene ningún control ni sobre la utilidad del producto, ni sobre el precio. Las marcas de los armamentos le hacen pagar por lo menos dos veces más caro debido a la situación de monopolio y al sistema de corrupción generalizado en este sector.

Dado que los valores bursátiles de estas sociedades de armamentos han doblado desde el 2014, la directora ejecutiva de Lockheed Martin ha mostrado su satisfacción por “la “inestabilidad” [en el Medio Oriente] “y por las oportunidades para los asuntos correspondientes”. Poco importa que Daesh sea un “enemigo” o un “factor estratégico” para Washington. En cualquier caso, es una buena estratagema para los accionistas.

Por cierto, vale la pena escuchar un poco el discurso de la directora ejecutiva de Lockheed Martin: “Estamos muy entusiasmados por la manera como hemos remodelado nuestro catálogo de productos y de competencias. Financieramente, hemos superado todas nuestras previsiones para el 2015 y obtenido niveles récords de pedidos y de ventas internacionales. (…) El mes pasado, al presentar en el Senado su Informe sobre la amenaza global, James Clapper, el director del servicio de información dijo que “la inestabilidad imprevisible” se había transformado en una nueva norma en lo que se refiere a las amenazas alrededor del planeta, una tendencia que va a persistir en el futuro previsible. El extremismo violento continúa extendiéndose. El ascenso sin precedentes de ISIS, de Boko Haram y de otros grupos militantes no parece menguar. Los ataques terroristas continúan produciéndose con una frecuencia alarmante en Europa, en Asia y en África”.

En resumen, para estos accionarios es ¡viva el terrorismo!

Diferencias entre Clinton y Trump

Clinton había prometido continuar con la misma política que favorecía a los sectores vinculados a la guerra. Como Bush, pensaba que el botín capturado en los países conquistados permitiría la revitalización de la economía estadounidense. También creía que era necesario debilitar, a la vez y activamente, tanto a Rusia como a China. Para que Estados Unidos pudiera recolonizar aquellas zonas que comercializaban con estas potencias rivales.

Trump se apoyaba en otros análisis, según los cuales la extensión del imperio estadounidense cuesta demasiado cara ya que un intervencionismo sistemático multiplica las resistencias y todo eso perjudica la economía, privando a las multinacionales estadounidenses del apoyo necesario para su competitividad (…)

Gastar lo máximo posible en el ejército está en contradicción con las grandes promesas de reactivar la economía estadounidense al interior del país. Salvo que Trump haya decidido en su fuero interno que esa recuperación se hará masacrando los salarios y las condiciones de trabajo de la mano de obra estadounidense. Retomaremos este tema. De cualquier manera, una cosa es segura : Trump no podrá satisfacer a todos sus electores ni a todos sus patrocinadores. Se anuncia un despertar muy brusco.

Fuente: fragmento del libro de Michel Collon (Ediciones Investig’Action/Viejo Topo, Barcelona, 2018)

(Tomado de Rebelión)

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