Cinque chiavi delle elezioni presidenziali in Messico

Sergio Alejandro Gómez http://www.cubadebate.cu

“Così lontani da Dio e così vicini agli USA” si lamenta, da due secoli, il popolo messicano, lo stesso che è chiamato alle urne domenica prossima in un’elezione segnata dalla convulsa relazione con il vicino settentrionale, la corruzione radicata nel sistema politico, la violenza endemica e la guerra sporca contro il candidato progressista Andrés Manuel López Obrador, che sembra più vicino che mai a giungere alla presidenza.

López Obrador guida i sondaggi alla testa della coalizione “Juntos Haremos Historia” (Insieme Faremo la Storia), guidata dal partito Morena. Seguito dal candidato del partito di destra Partito d’Azione, Nazionale, Ricardo Anaya, della coalizione “Por México al Frente” (Per il Messico per Prima) e José Antonio Meade, rappresentante del gruppo “Todos por México” (Tutti per il Messico), che comprende il governante Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI).

Secondo la legge elettorale messicana, chi ottiene la maggioranza dei voti vince e diventa presidente per un periodo di cinque anni e dieci mesi, senza possibilità di rielezione.

Cubadebate condivide con i suoi lettori cinque chiavi sulle elezioni nella nazione azteca e la sua importanza per la regione.

1. Il ritorno della sinistra

 

Dopo sei anni di governo di Enrique Peña Nieto, in cui è cresciuto il malcontento dei messicani per il sistema di governo ed è aumentato il divario economico tra ricchi e poveri, il voto di protesta contro la classe politica tradizionale è uno dei principali protagonisti.

A pochi giorni dalle elezioni, il candidato di sinistra mantiene un vantaggio a doppia cifra sul suo rivale più vicino, secondo un sondaggio condotto delle società GEA/ISA, divulgato lo scorso lunedì dall’agenzia Notimex.

Lopez Obrador, che ha una intenzione di voto del 35% sembra determinato a rendere vero il detto che “alla terza volta si vince”. All’ottenere la vittoria, stabilirebbe un programma di profondi cambiamenti nella società messicana, con enfasi nei servizi sociali come salute ed istruzione, mentre rivedrebbe le politiche di liberalizzazione economica degli ultimi anni, specialmente quelle dello strategico settore degli idrocarburi.

Nonostante il fatto che l’immensa maggioranza dei partiti messicani e dei media si siano concentrati in attacchi contro il rappresentante di Morena, il discredito della classe politica tradizionale gioca a suo favore.

L’appello alla paura e le denunce di una presunta apocalisse economica nel caso vinca la sinistra calano, sempre meno, in un elettorato deluso dagli ultimi governi e con ben poco da perdere.

La vittoria di López Obrador in Messico, una nazione con una lunga tradizione rivoluzionaria, sarebbe un impulso per la causa progressista in America Latina, che ha subito gravi rovesci negli ultimi anni in paesi come Argentina e Brasile.

2. Il costo di fare politica

 

Un totale di 130 politici sono stati assassinati in Messico nella fase compresa tra l’inizio del processo elettorale, l’8 settembre 2017 ed il 25 giugno, secondo l’ “Indicatore della Violenza Politica in Messico 2018”, preparato dalla società di consulenza Etellekt.

Secondo la stessa fonte, ci sono stati in totale 543 aggressioni contro politici in tutto il paese.

Le aggressioni sono state registrate in 343 comuni della nazione azteca, dove la violenza organizzata è uno dei fattori che limitano la partecipazione dei cittadini e promuove l’astensione alle urne.

I politici non sono gli unici che si espongono al pericolo. Gli omicidi di professionisti della stampa messicana hanno fatto il giro del mondo sotto forma di denunce sulla preoccupante situazione delle libertà civili nel paese.

Con 44 morti registrate, i sei anni di mandato di Peña Nieto sono i più letali per i giornalisti, secondo i dati dall’organizzazione Articolo 19.

La vita può essere il prezzo di fare politica in Messico o scrivere o riferire su di essa: una condizione con la quale difficilmente può coesistere qualsiasi sistema politico.

3. Il cancro della corruzione

 

L’indice di Percezione della Corruzione del 2017, preparato da Transparency International, colloca il Messico al 135° gradino su 180 paesi. È il paese peggiormente valutato tra i membri del G20 e quelli dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OCSE).

La debolezza delle istituzioni della nazione, l’avanzata della criminalità organizzata e il senso di impunità di fronte a crimini così gravi come la scomparsa di 43 studenti, disegnano un panorama desolante per gli elettori messicani.

Questa realtà colpisce soprattutto il 50% degli elettori che hanno meno di 39 anni, di cui quasi un quinto voterà per la prima volta. I sondaggi indicano che la maggioranza punta ad una trasformazione morale del paese e non è favorevole a sostenere le opzioni politiche tradizionali, responsabili dell’attuale situazione.

4. Il divario sociale ed economico

 

Il prossimo presidente messicano dovrà affrontare un paese con quasi la metà della popolazione povera, 53,3 milioni di persone, secondo uno studio dell’agenzia di cooperazione britannica Oxfam.

Inoltre, 10 milioni di persone affrontano condizioni di estrema miseria nel paese del miliardario Carlos Slim, una delle persone più ricche al mondo.

Mentre gli ingressi sono aumentati in maniera sostenuta, negli ultimi due decenni, la povertà è rimasta stagnante e le fortune dei ricchi sono cresciute esponenzialmente.

Secondo lo studio di Oxfam, l’1% dei messicani accumula il 21% della ricchezza del paese.

Questa situazione si perpetua nel tempo ed è ereditata da una generazione all’altra. Un recente studio, finanziato dall’OCSE, rivela che metà dei messicani nati poveri, lo saranno tutta la vita.

5. Il muro a nord

 

La nazione azteca è la prima linea di contatto con gli USA nell’era di Donald Trump, con le sue politiche di costruzione di muri e misure economiche protezionistiche, che minacciano allo stesso modo alleati e rivali.

Lo scandalo scatenato dalla situazione di migliaia di bambini separati dai loro genitori al confine tra i due paesi ha messo in rilievo le conseguenze umanitarie della politica migratoria di Trump, che ha definito “assassini e stupratori” i messicani che sono il sostegno economico di molti settori dell’economia USA.

Sebbene, questa settimana, il presidente abbia firmato un decreto per porre fine alla pratica della separazione, pochi dubitano che le tensioni confinarie stiano sul punto di scomparire.

Durante la campagna elettorale del 2016, il candidato repubblicano ha promesso la creazione di un muro al confine con il Messico ed ha aggiunto che il governo di quel paese sarebbe stato il responsabile del pagamento.

L’idea non è scomparsa con il suo arrivo alla Casa Bianca e rimane ancora un affronto alla sovranità del paese vicino ed un freno ai rapporti bilaterali.

Al di là della migrazione, lo scenario neppure è favorevole. Le misure protezionistiche di Washington sono iniziate dall’acciaio ed alluminio ed ora minacciano di diffondersi ad altri settori come la fabbricazione di auto e di beni ad alto valore aggiunto.

Allo stesso modo, l’amministrazione Trump ha messo sotto esame l’Accordo di Libero Commercio Nordamericano (NAFTA) ed ha fatto forti pressioni per ottenere migliori condizioni per gli USA, che è la principale economia dell’alleanza che comprende anche il Canada.

Un movimento in questo senso avrà un impatto sull’economia messicana, che dipende in larga misura dalle sue esportazioni verso i paesi NAFTA.

In ogni caso, il prossimo presidente messicano sarà costretto a lottare con il suo vicino del nord, difendere i propri interessi e mantenere almeno una posizione sovrana, che non tradisca il voto di coloro che lo sosterranno, domenica prossima, né offenda la dignità del popolo messicano.


Cinco claves de las elecciones presidenciales en México

Por: Sergio Alejandro Gómez

“Tan lejos de Dios y tan cerca de los Estados Unidos”, se lamenta desde hace dos siglos el pueblo mexicano, el mismo que está llamado a las urnas el próximo domingo en unos comicios marcados por la convulsa relación con el vecino del norte, la corrupción enquistada en el sistema político, la violencia endémica y la guerra sucia contra el candidato progresista Andrés Manuel López Obrador, quien parece más cerca que nunca de llegar a la presidencia.

López Obrador lidera las encuestas al frente de la coalición “Juntos Haremos Historia”, liderada por el partido Morena. Le siguen el candidato del derechista Partido Acción Nacional, Ricardo Anaya, de la coalición “Por México al Frente”, y José Antonio Meade, representante de la agrupación “Todos por México”, que incluye al gobernante Partido Revolucionario Institucional (PRI).

De acuerdo con la ley electoral mexicana, quien obtenga la mayoría de los votos se lleva la victoria y se convierte en presidente por un periodo de cinco años y diez meses, sin posibilidad de reelección.

Cubadebate comparte con sus lectores cinco claves sobre los comicios en la nación azteca y su importancia para la región.

  1. El regreso de la izquierda

Tras seis años de gobierno de Enrique Peña Nieta, en los que creció el descontento de los mexicanos con el sistema de gobierno y aumentó la brecha económica entre ricos y pobres, el voto protesta contra la clase política tradicional es uno de los grandes protagonistas.

A escasos días de las elecciones, el candidato de la izquierda mantiene una ventaja de dos dígitos frente a su rival más cercano, de acuerdo con un sondeo de las firmas GEA/ISA divulgado el lunes último por la agencia Notimex.

López Obrador, que cuenta con un 35 por ciento de intención del sufragio, parece decidido a hacer valer el dicho de que “a la tercera va la vencida”. De lograr la victoria, establecería un programa de cambios profundos en la sociedad mexicana, con énfasis en los servicios sociales como salud y educación, al tiempo que revisaría las políticas de liberalización económica de los últimos años, en especial las del estratégico sector de los hidrocarburos.

A pesar de que la inmensa mayoría de los partidos mexicanos y los medios se han concentrado en ataques contra el representante de Morena, el descrédito de la clase política tradicional juega en su favor.

La apelación al miedo y las denuncias de un supuesto apocalipsis económico en caso de que gane la izquierda, calan cada vez menos en un electorado decepcionado por los últimos gobiernos y con muy poco que perder.

La victoria de López Obrador en México, una nación con larga tradición revolucionaria, supondría un impulso para la causa progresista en América Latina, que registró duros reveses en los últimos años en países como Argentina y Brasil.

  1. El costo de hacer política

Un total de 130 políticos fueron asesinados en México en la etapa comprendida entre el comienzo del proceso electoral, el 8 de septiembre del 2017, y el 25 de junio último, según el “Indicador de Violencia Política en México 2018”, elaborado por la consultora Etellekt.

De acuerdo con la misma fuente, se registraron un total de 543 agresiones en contra de políticos en todo el país.

Las agresiones se registraron en 343 municipios de la nación azteca, donde la violencia organizada es uno de los factores que limita la participación ciudadana y promueve la abstención en las urnas.

Los políticos no son los únicos que se exponen al peligro. Los asesinatos de profesionales de la prensa mexicanos han dado la vuelta al mundo en forma de denuncias sobre la preocupante situación de las libertades civiles en el país.

Con 44 muertes registradas, el sexenio de Peña Nieto es el más letal para los periodistas, de acuerdo con datos de la organización Artículo 19.

La vida puede ser el precio de hacer política en México o escribir o reportar sobre ella, una condición con la cual difícilmente puede convivir cualquier sistema político.

3. El cáncer de la corrupción

El Índice de Percepción de la Corrupción del 2017, que elabora el organismo Transparencia Internacional, ubica a México en el escalón 135 de 180 países. Es el país peor evaluado entre los miembros del G20 y los de la Organización para la Cooperación y el Desarrollo (OCDE).

La debilidad de las instituciones de la nación, el avance del crimen organizado y la sensación de impunidad ante sonados crímenes como la desaparición de 43 estudiantes, dibujan un panorama desolador para los electores mexicanos.

Esa realidad cala en especial entre el 50 por ciento del padrón que tiene menos de 39 años, del cual casi un quinto votará por primera vez. Las encuestas indican que la mayoría apuesta por una transformación moral del país y no es favorable a apoyar las opciones políticas tradicionales, responsables del estado actual de cosas.

  1. La brecha social y económica

El próximo presidente mexicano tendrá que hacer frente a un país con cerca de la mitad de la población en la pobreza, 53,3 millones de personas, según un estudio de la agencia de cooperación británica Oxfam.

Además, 10 millones personas enfrentan condiciones de extrema miseria en el país del multimillonario Carlos Slim, una de las personas más ricas del mundo.

Mientras los ingresos aumentaron de manera sostenida en las últimas dos décadas, la pobreza se ha mantenido estancada y las fortunas de los ricos han crecido exponencialmente.

Según el estudio de Oxfam, el 1% de los mexicanos acumula el 21% de la riqueza del país.

Esta situación se perpetúa en el tiempo y se hereda de una generación a otra. Un estudio reciente financiado por la OCDE revela que la mitad de los mexicanos que nacen pobres, lo serán toda su vida.

5. El muro en el norte

La nación azteca es la primera línea de contacto con los Estados Unidos en la era de Donald Trump, con sus políticas de construcción de muros y medidas económicas proteccionistas, que amenazan a aliados y rivales por igual.

El escándalo desatado por la situación de miles de infantes separados de sus padres en la frontera entre ambos países puso de relieve las consecuencias humanitarias de la política migratoria de Trump, quien llamó “asesinos y violadores” a los mexicanos que son el sostén económico de muchos sectores de la economía norteamericano.

Aunque el presidente firmó esta semana un decreto para poner fin a la práctica de la separacón, pocos dudan de que las tensiones fronterizas estén cerca desaparecer.

Durante la campaña electoral en el 2016, el candidato republicano prometió la creación de un muro en la frontera con México y añadió que el gobierno de ese país sería el responsable de pagarlo.

Le idea no desapareció con su llegada a la Casa Blanca y aún se mantiene como una afrenta a la soberanía del país vecino y un freno a las relaciones bilaterales.

Más allá de la migración, el escenario tampoco es favorable. Las medidas proteccionistas de Washington empezaron por el acero y el aluminio y ahora amenazan con extenderse a otros sectores como la fabricación de autos y mercancías con alto valor añadido.

Asimismo, la administración Trump puso a revisión el Tratado de Libre Comercio de América del Norte (TLCAN) y presiona con fuerza por mejores condiciones para Estados Unidos, que es la principal economía de la alianza que incluye también a Canadá.

Un movimiento en ese sentido tendrá un impacto en la economía mexicana, que depende en gran medida de sus exportaciones a los países del TLCAN.

En cualquier caso, el próximo presidente mexicano estará obligado a lidiar con su vecino del norte, defender sus interesas y mantener al menos una posición soberana, que no traicione el voto de quienes lo apoyarán el próximo domingo ni ofenda la dignidad del pueblo mexicano.

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