Campagne mediatiche contro i processi progressisti latinoamericani
Randy Alonso Falcón http://www.cubadebate.cu
I parte
Viviamo tempi d’intensa battaglia di idee, come, già da tempo, Fidel ci ha indicato (1). Se alla fine del secolo scorso ci hanno venduto la ricetta del postmodernismo, come un appello al quietismo, al feroce individualismo, alla fine delle utopie; ora, convertono in termine alla moda la post-verità* (2). I media lo usano ripetutamente e un gruppo di teorici ne discute, ardentemente, il significato e la portata. Il dizionario di Oxford lo ha proclamato come il termine inglese (post-truth) più utilizzato nel 2016. La Reale Accademia di Spagna lo ha santificato nel 2017. Dietro la valanga, si pretende sequestrare, ancora una volta, la vittima più frequente di tutti i conflitti: LA VERITÀ.
Per il filosofo britannico A. C. Grayling (3) il mondo della post-verità influisce negativamente sulla “conversazione pubblica” e sulla democrazia. “È una cultura in cui pochi appelli su Twitter hanno lo stesso peso di una biblioteca piena di ricerche. Tutto è relativo. Si inventano storie tutto il tempo”
Si cerca di scorrere la frontiera delle menzogne, invertire i campi della moralità, allargare la prevalenza dell’individualismo. Si apre la strada all’egemonia di ciò che il noto intellettuale polacco Zygmunt Bauman (4) ha denominato, alla fine del secolo scorso, come la “modernità liquida” (5), in cui nulla è solido: né lo Stato – Nazione; né la famiglia né il lavoro. “È il momento della deregolamentazione, della flessibilizzazione, della liberalizzazione di tutti i mercati”, ha segnalato. “Non ci sono linee guida stabili né predeterminate in questa versione privatizzata della modernità. E quando il pubblico non esiste più come solido, il peso della costruzione di linee guida e la responsabilità del fallimento cadono totalmente e fatalmente sulle spalle dell’individuo”.
Con la post-verità siamo indotti ad accettare che la verità sia stata superata, che l’abbiamo lasciata alle spalle. Ci si vende l’idea dell’impossibilità dell’emancipazione, del trionfo delle apparenze sul certo, dell’inesorabile obsolescenza dell’etica.
Ma viviamo realmente nell’era della post-verità? O è semplicemente il tempo della moltiplicazione delle stesse menzogne di un tempo, grazie all’esistenza e all’interazione delle moderne infrastrutture tecnologiche, delle attuali pratiche comunicative, compresi i social network digitali, ed i predominanti comportamenti sociali?
Cuba: assedio mediatico permanente
Guardandolo da Cuba, le qualificazioni non valgono molto. La traiettoria dei grandi media e le campagne mediatiche dell’impero e dei suoi alleati contro questo paese, sono sempre state, invariabilmente, le stesse dallo stesso trionfo rivoluzionario nel 1959. Manipolazioni, grossolane menzogne, mezze verità, immagini scattate come in un Jurassic Park, si sono continuamente ripetute per quasi 60 anni.
Si demonizzò l’esecuzione dei criminali batistiani, che assassinarono migliaia di figli di Cuba; si manipolò la legale e giusta nazionalizzazione delle società USA che dominavano la maggior parte dell’economia del paese; si propagò l’immagine di Cuba come obbediente satellite sovietica; si distorse lo scopo della presenza internazionalista cubana in Africa (che preservò l’indipendenza dell’Angola, contribuì alla liberazione e all’indipendenza della Namibia ed aiutò alla sconfitta dell’ignominioso apartheid in Sud Africa); e si raccontò, più e più volte, l’Ora Finale di Castro (6), o del socialismo a Cuba.
I grandi mezzi stampa o i libelli locali a Miami, le agenzie di notizie e la radio ad onde corte, sono serviti, nei primi decenni della Rivoluzione, come principali e quasi quotidiani veicoli delle campagne contro Cuba. Più che spazi di comunicazione erano servili strumenti di propaganda ed aggressione. Vale ricordare come il New York Times abbia censurato un ampio reportage sul reclutamento della forza mercenaria che avrebbe invaso Cuba nel 1961 (7), al fine di non rivelare il coinvolgimento del governo USA in quel piano, o quello scandaloso e risibile dispaccio dell’agenzia UPI, degno per lo studio della beffa nelle scuole di giornalismo, in cui si parlava del riuscito sbarco di quella forza mercenaria nell’inesistente Porto di Bayamo.
Simbolico per questi tempi è che la prima offensiva mediatica della Rivoluzione cubana, dal 21 al 19 gennaio 1959, si chiamò OPERAZIONE VERITA’; quando Fidel convocò più di trecento giornalisti provenienti da diverse parti del mondo per chiarire la giustezza dei processi intrapresi contro i criminali batistiani ed esporre con fermezza i principi del nascente processo rivoluzionario.
Da quei giorni sarebbe nata l’idea di creare i primi media internazionali della Rivoluzione: l’agenzia di notizie Prensa Latina e la stazione radio ad onde corte Radio Habana Cuba.
A capo di Prensa Latina, ci sarebbe stato il giornalista e rivoluzionario argentino Jorge Ricardo Massetti (8), amico e discepolo del Che, che nel processo di fondazione dell’Agenzia avrebbe lascito tracciato, con cristallina chiarezza, il suo principio d’azione: “Noi siamo obiettivi ma non imparziali. Consideriamo una codardia essere imparziale, perché non si può essere imparziale tra il bene ed il male”. (9)
Nuovi tempi, nuove tecnologie: il monopolio di sempre
L’era dell’informazione o la Società Informatizzata in cui viviamo – come indistintamente la chiamano gli studiosi – è stata teatro di cambi sostanziali nei modi e nella velocità di far comunicazione. Internet ha esteso la portata dei media, ha convertito in fatto istantaneo la notizia, ha ampliato le fonti di emissione e moltiplicato il volume di informazioni circolanti. Ma ci sono cose che non sono cambiate: il potere mediatico rimane nelle mani di pochi, la manipolazione e la menzogna continuano ad essere le armi preferite contro coloro che si propongono far fronte al dominio egemonico del capitale e del mercato; si continua imponendo e standardizzando idee, simboli, culture.
Un pugno di oligarchi della finanza e dell’industria, appartenenti a quell’élite transnazionale dell’1% che di solito s’incontra a Davos o in Bilderberg, controlla sempre più i mezzi di comunicazione ed i messaggi che vengono emessi. Lì si sono anche installati i magnati delle nuove tecnologie e delle reti sociali online, come l’uomo più ricco del mondo di oggi, Jeff Bezos (10), padrone di Amazon, della società di turismo spaziale Blue Origin e ora anche del Washington Post, il secondo media meglio classificato nel Ranking de Alexa per gli USA.
Pochi empori sono i padroni dei grandi giornali e televisioni nell’abbondante selva mediatica USA (11); solo cinque gruppi controllano la stampa francese di gran pubblico. Non pochi media latinoamericani sono sotto il controllo di gruppi USA e spagnoli.
Già nel 1843, nella sua Monografia della Stampa Parigina, Honoré de Balzac avvertiva che, quando un uomo d’affari compra un giornale (un mezzo di comunicazione diremmo oggi) lo fa “… o per difendere un sistema politico il cui trionfo gli interessa, o per convertirsi lui stesso in politico, facendosi temere”.
Le insidie, le falsità, il maneggio mediatico, che in precedenza si esercitava dalle agenzie, dalla radio o dalle pubblicazioni stampate, ormai sono ampiamente trasmesse dalla televisione satellitare, siti digitali provenienti da varie fonti, o attraverso i miliardi di utenti delle reti sociali.
I poteri mediatici globali gestiscono anche i fili dei media locali. I messaggi e le opinioni che vengono emessi a Washington, New York, Miami e Madrid sono riprodotti, con immediatezza e profusione, nei media dominanti in America Latina, gran parte delle cui azioni sono nelle mani di gruppi aziendali, finanzieri o mediatici di USA o Spagna.
I media come partiti politici. Strumenti di guerra
Nello scontro ideologico e militare della globalizzazione, i media ed i social network digitali agiscono come una forza politica e un’arma da combattimento. Sono convenientemente utilizzati per la provocazione, l’esaltazione e l’ammorbidimento nelle situazioni di conflitto.
Bisogna ricordare il ruolo delle TV e dei giornali dell’oligarchia venezuelana nel coordinamento ed esecuzione del golpe contro il Presidente Hugo Chávez, nell’aprile 2002.
Né dimenticare come il New York Times ed il Washington Post siano stati convenientemente usati per giustificare l’invasione dell’Iraq, nel marzo 2003. Nel giornale della città di New York, a quei tempi, si potevano leggere titoli come: “Arsenale segreto: alla ricerca dei batteri di guerra” o “Un iracheno parla dei nuovi siti di armi chimiche e nucleari”. Quegli articoli furono firmati dalla giornalista di punta del Times, Judith Miller, che ha riconosciuto ricevere le informazioni dal cosiddetto Iraqi National Congress, un’organizzazione con sede a Washington e finanziata dalla CIA. I servizi segreti intossicavano l’ informazione per spaventare il pubblico USA e propiziare lo scenario di guerra.
In modo simile l’hanno fatto nelle guerre di Libia e Siria o nella frenetica offensiva totale contro la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela: inventare lo scenario, generare incertezza, promuovere l’odio, attizzare la violenza.
Nel Manuale dell’Esercito USA per la Guerra Non Convenzionale del 2010 (12), si definisce chiaramente la connessione media-guerra: “L’aspetto più importante di un’insurrezione di successo è la fattibilità del messaggio. È essenziale che il messaggio raggiunga le persone e abbia un significato per il loro modo di vita. L’insurrezione non può ottenere un sostegno passivo o attivo senza raggiungere questi obiettivi. Ciò fa che il linguaggio, la cultura e la geografia delle masse siano particolarmente importanti”.
Riafferma inoltre che “… l’ideologia come insieme interrelato di credenze, valori e norme, è usata per manipolare e influire sul comportamento degli individui all’interno del gruppo”.
Il Manuale definisce un’escalation di azioni che portano alla frattura morale, alla resa o alla sconfitta per le armi del governo nemico. Tra loro segnala in ordine di escalation:
– Creazione di un’atmosfera di diffuso malcontento attraverso la propaganda e gli sforzi politici e psicologici per screditare il governo.
– Agitazione, creare un’opinione pubblica favorevole (evocando la causa nazionale), creare sfiducia nelle istituzioni stabilite.
– Intensificazione della propaganda, preparazione psicologica della popolazione per la ribellione.
Non vi sembra questo troppo simile a quello che è successo in Venezuela e a quello che sta succedendo adesso in Nicaragua?
Ed a proposito, nello stesso Manuale dell’Esercito USA si stabilisce che uno dei primi obiettivi da annientare dall’insurrezione (leggasi gli alleati di Washington) sono i mezzi di comunicazione dell’avversario. La fase 6 della strategia include una delle operazioni da eseguire: “Selezionare come obiettivi l’infrastruttura dell’area di retroguardia, come depositi di carburante e munizioni, cantieri ferroviari, aeroporti, vie fluviali, impianti di generazione di energia elettrica, nonché installazioni radio, TV ed altri mezzi di comunicazione di massa”.
- Il termine post–verità, traduzione dell’inglese post-truth, indica quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza.
¿La era de la posverdad o de la multiplicación de las mismas mentiras?: Campañas mediáticas contra los procesos progresistas latinoamericanos
Por: Randy Alonso Falcón
Vivimos tiempos de intensa batalla de ideas, como hace ya tiempo nos convocara Fidel(1). Si en los finales del pasado siglo nos vendieron la receta del posmodernismo, como un llamado al quietismo, al individualismo feroz, al fin de las utopías; ahora, convierten en término de moda a la posverdad (2). Los medios de comunicación lo utilizan repetidamente y un grupo de teóricos debate ardientemente su significado y alcance. El diccionario de Oxford lo proclamó como el término en inglés (post-truth) más usado en el 2016. La Real Academia Española lo santificó en el 2017. Detrás de la avalancha, se pretende secuestrar, una vez más, a la víctima más frecuente de todos los conflictos: LA VERDAD.
Para el filósofo británico A. C. Grayling (3) el mundo de la posverdad afecta negativamente la “conversación pública” y la democracia. “Es una cultura en donde unos pocos reclamos de Twitter tienen el mismo peso que una biblioteca llena de investigaciones. Todo es relativo. Se inventan historias todo el tiempo”
Se intenta correr la frontera de las mentiras, invertir los campos de la moralidad, agrandar la prevalencia del individualismo. Se abre paso a la hegemonía de lo que el reconocido intelectual polaco Zygmunt Bauman(4) denominó, a fines del siglo pasado, como la “modernidad líquida” (5), donde nada es sólido: ni el Estado – Nación; ni la familia, ni el empleo. “Es el momento de la desregulación, de la flexibilización, de la liberalización de todos los mercados” – señalaba. “No hay pautas estables, ni predeterminadas en esta versión privatizada de la modernidad. Y cuando lo público ya no existe como sólido, el peso de la construcción de pautas y la responsabilidad del fracaso caen total y fatalmente sobre los hombros del individuo”.
Con la Posverdad se nos induce a aceptar que la verdad ha sido superada, que la hemos dejado atrás. Se nos vende la idea de la imposibilidad de la emancipación, del triunfo de las apariencias sobre lo cierto, de la inexorable obsolescencia de la ética.
¿Pero vivimos realmente la era de la Posverdad?¿O es simplemente el tiempo de la multiplicación de las mismas mentiras de antaño, gracias a la existencia e interacción de las modernas infraestructuras tecnológicas, las prácticas comunicativas actuales, incluídas las redes sociales digitales, y los comportamientos sociales predominantes?
Cuba: Asedio mediático permanente
Mirándolo desde Cuba, no valen de mucho los calificativos. La trayectoria de los grandes medios y las campañas mediáticas desde el imperio y sus aliados contra este país, han sido invariablemente las mismas desde el triunfo revolucionario mismo en 1959. Manipulaciones, groseras mentiras, medias verdades, imágenes sacadas como de un Parque Jurásico, se han repetido una y otra vez por casi 60 años.
Se demonizó el ajusticiamiento de los criminales batistianos que asesinaron a miles de hijos de Cuba; se manipuló la nacionalización legal y justa de empresas norteamericanas que dominaban la mayor parte de la economía del país; se propagó la imagen de Cuba como obediente satélite soviético; se tergiversó el propósito de la presencia internacionalista cubana en África (que preservó la independencia de Angola, contribuyó a la liberación e independencia de Namibia y ayudó a la derrota del oprobioso Apartheid en Sudáfrica); y se contó una y otra vez las Horas Finales de Castro (6), o del socialismo en Cuba
Los grandes medios impresos o los libelos locales en Miami, las agencias noticiosas y la radio de onda corta, sirvieron en las primeras décadas de la Revolución como vehículos principales y casi diarios de las campañas contra Cuba. Más que espacios de comunicación eran instrumentos serviles de propaganda y agresión. Vale recordar como The New York Times censuró un amplio reportaje sobre el reclutamiento de la fuerza mercenaria que habría de invadir Cuba en 1961(7), para no revelar el involucramiento del Gobierno de EE.UU en ese plan, o aquel escandaloso y risible despacho de la agencia UPI, digno para el estudio de la mofa en las escuelas de periodismo, en el que se hablaba del desembarco exitoso de aquella fuerza mercenaria en el inexistente Puerto de Bayamo.
Simbólico para estos tiempos es que la primera ofensiva mediática de la Revolución Cubana, tan temprana como el 21 y 22 de enero de 1959, se llamó OPERACIÓN VERDAD; cuando Fidel convocó a más de tres centenares de periodistas de diversas partes del mundo para esclarecer la justeza de los procesos emprendidos contra los criminales batistianos y exponer con firmeza los principios del naciente proceso revolucionario.
De aquellas jornadas, saldría la idea de crear los primeros medios internacionales de la Revolución: la agencia de noticias Prensa Latina y la emisora de onda corta Radio Habana Cuba.
Al frente de Prensa Latina estaría el periodista y revolucionario argentino Jorge Ricardo Massetti (8), amigo y discípulo del Che, quien en el proceso fundador de la Agencia dejaría trazado, con claridad meridiana, su principio de actuación: “Nosotros somos objetivos pero no imparciales. Consideramos que es una cobardía ser imparcial, porque no se puede ser imparcial entre el bien y el mal”. (9)
Nuevos Tiempos, nuevas Tecnologías: el monopolio de siempre
La era de la información o la Sociedad Informacional en que vivimos – como indistintamente la denominan los estudiosos – ha sido escenario para cambios sustanciales en los modos y la velocidad de hacer la comunicación. La Internet ha extendido el alcance de los medios, ha convertido en hecho instantáneo a la noticia, ha ampliado las fuentes de emisión y multiplicado el volumen de la información que circula. Pero hay cosas que no han cambiado: el poder mediático sigue en manos de unos pocos, la manipulación y la mentira continúan siendo armas de uso predilecto contra quienes se plantean enfrentar el dominio hegemónico del capital y el mercado; se prosigue imponiendo y estandarizando ideas, símbolos, culturas.
Un puñado de oligarcas de la finanza y la industria, pertenecientes a esa élite transnacional del 1% que suele reunirse en Davos o en Bilderberg, controla cada vez más los medios de comunicación y los mensajes que se emiten. Allí se han instalado también los magnates de las nuevas tecnologías y las redes sociales digitales, como el hombre más rico del mundo en la actualidad, Jeff Bezos (10), dueño de Amazon, de la compañía de turismo espacial Blue Origin y también ahora del Washington Post, el segundo medio mejor posicionado en el Ranking de Alexa para EE.UU.
Unos pocos emporios son los dueños de los grandes periódicos y televisoras en la abundante selva mediática estadounidense (11); tan sólo cinco grupos controlan la prensa francesa de gran público. No pocos medios latinoamericanos están bajo el control de grupos estadounidenses y españoles.
Ya en 1843, en su Monografía de la Prensa Parisina, Honoré de Balzac advertía que cuando un hombre de negocios compra un periódico (un medio de comunicación diríamos hoy) lo hace “… o para defender un sistema político cuyo triunfo le interesa, o para convertirse él mismo en político, haciéndose temer”.
Las insidias, las falsedades, el manejo mediático, que antes se ejercía desde las agencias, la radio o las publicaciones impresas, ahora se difunden ampliamente desde televisoras satelitales, sitios digitales de origen diverso, o a través de las multimillonarias audiencias de las redes sociales.
Los poderes mediáticos globales manejan también los hilos de los medios de comunicación locales. Los mensajes y opiniones que se emiten en Washington, Nueva York, Miami o Madrid se reproducen con inmediatez y profusión en los medios dominantes en Latinoamérica, buena parte de cuyas acciones están en manos de grupos empresariales, financieros o mediáticos de Estados Unidos o España.
Los medios como Partidos políticos_Instrumentos de Guerra
En la confrontación ideológica y militar de la globalización, los medios de comunicación y las redes sociales digitales actúan como fuerza política y arma de combate. Se utilizan convenientemente para la provocación, la exaltación y el ablandamiento en las situaciones de conflicto.
Hay que recordar el papel de las televisoras y periódicos de la oligarquía venezolana en la coordinación y la ejecución del Golpe de Estado contra el Presidente Hugo Chávez en abril 2002.
Tampoco olvidar como The New York Times y The Washington Post fueron utilizados convenientemente para justificar la invasión a Irak en marzo de 2003. En el diario de la urbe neoyorkina, por aquellos días, podían leerse titulares como: “Arsenal secreto: en busca de las bacterias de guerra” o “Un iraquí habla de los nuevos emplazamientos de armas químicas y nucleares”. Aquellos artículos los firmaba la periodista estrella del Times Judith Miller, quien reconoció que recibía la información del llamado Congreso Nacional Iraquí, organización con sede en Washington y financiada por la CIA. Los servicios secretos intoxicaban la información para atemorizar al público estadounidense y propiciar el escenario de guerra.
De manera similar lo han hecho en las guerras de Libia y Siria o en la frenética ofensiva total contra la Revolución Bolivariana en Venezuela: inventar el escenario, generar la incertidumbre, promover el odio, atizar la violencia.
En el Manual del Ejército de EE.UU para la Guerra No Convencional de 2010(12) se define claramente la conexión medios – guerras: “El aspecto más importante de una insurgencia exitosa es la viabilidad del mensaje. Es esencial que el mensaje llegue a las personas y tenga un significado para su modo de vida. La insurgencia no puede ganar apoyo pasivo o activo sin alcanzar estas metas. Esto hace que el lenguaje, la cultura y la geografía de las masas sean particularmente importantes”.
También reafirma que “… la ideología como conjunto interrelacionado de creencias, valores y normas, es utilizada para manipular e influir en el comportamiento de los individuos dentro del grupo”.
El Manual define un escalamiento de acciones para llevar al quebrantamiento moral, la rendición o la derrota por las armas del gobierno enemigo. Entre ellas señala por orden de escalada:
– Creación de una atmósfera de amplio descontento mediante la propaganda y los esfuerzos políticos y sicológicos para desacreditar al gobierno.
– Agitación, crear opinión púbica favorable (evocando causa nacional), crear desconfianza en las instituciones establecidas.
– Intensificación de la propaganda, preparación sicológica de la población para la rebelión.
¿No se les parece esto demasiado a lo que ha ocurrido en Venezuela y a lo que ahora ocurre en Nicaragua?
Y por cierto, en el propio Manual del Ejército estadounidense se establece que uno de los primeros objetivos a aniquilar por la insurgencia (léase los aliados de Washington) son los medios de comunicación del adversario. En la Fase 6 de la estrategia se incluye como una de las operaciones a ejecutar: “Seleccionar como blancos la infraestructura del área de retaguardia, tales como almacenes de combustibles y municiones, patios de ferrocarriles, aeródromos, vías fluviales, plantas de generación de energía eléctrica, así como las instalaciones de radio, televisión y de otros medios masivos de comunicación”.
NOTAS:
(1) “…tiempo tendrán para comprender y reconocer la importancia de esta batalla de ideas. Pudiéramos llamarla hasta de un modo más sencillo, la batalla de la verdad contra la mentira (Aplausos); la batalla del humanismo contra la deshumanización; la batalla de la hermandad y la fraternidad contra el más grosero egoísmo; la batalla de la libertad contra la tiranía; la batalla de la cultura contra la ignorancia; la batalla de la igualdad contra la más infame desigualdad; la batalla de la justicia contra la más brutal injusticia; la batalla por nuestro pueblo y la batalla por otros pueblos…” en Castro Ruz, Fidel: Discurso en la clausura del Tercer Congreso Pioneril, efectuada en el Palacio de las Convenciones, el 9 de julio del 2001. Consultado enhttp://www.fidelcastro.cu/es/discursos/discurso-en-la-clausura-del-iii-congreso-pioneril-efectuada-en-el-palacio-de-convenciones
(2) Para la Real Academia Española la Posverdad es una “Distorsión deliberada de una realidad, que manipula creencias y emociones con el fin de influir en la opinión pública y en actitudes sociales”, enhttp://dle.rae.es/srv/search?m=30&w=posverdad.
(3) Ver su biografía enhttps://es.wikipedia.org/wiki/Anthony_C._Grayling
(4) Bauman tuvo notable influencia en el movimiento altermundista en la década de los 90. Ver su biografía enhttps://es.wikipedia.org/wiki/Zygmunt_Bauman
(5) Vea una explicación en video sobre el concepto baumiano de Modernidad Líquida enhttps://www.youtube.com/watch?v=aWOGAnxPmy0
(6) En 1992, el periodista argentino radicado en EE.UU Andrés Oppenhaimer publicó el libro ‘La hora final de Castro. La historia secreta detrás de la inminente caída del comunismo en Cuba”. Han pasado 26 años, otras ediciones del libro, falleció Fidel con 90 años, y la Revolución Cubana sigue.
(7) Verhttp://www.asisucedio.co/1961-bahia-de-cochinos-o-la-invasion-de-playa-giron/yhttp://www.rebelion.org/noticia.php?id=126455
(8) Verhttps://www.ecured.cu/Jorge_Ricardo_Masetti
(9) Ver Artículo de Massetti del 12 de enero de 1960, recogido enhttp://bohemia.cu/historia/2017/05/masseti-no-se-puede-ser-imparcial-entre-el-bien-y-el-mal/
(10) Verhttps://es.wikipedia.org/wiki/Jeff_Bezos
(11) En Estados Unidos hay 6 grandes grupos mediáticos, que controlan el 90% de los medios: Disney (incluye American Broadcasting Company -ABC-, Marvel, Lucasfilm, Disney Channel, etc.), Comcast (vinculada a la familia Roberts;21 posee entre otros NBC -antes controlado por General Electric-, Telemundo y Universal Pictures), News Corporation (anglo-australiano-estadounidense, vinculado a Rupert Murdoch), dividido actualmente en FOX (21st Century Fox, National Geographic Channel, STAR TV -STAR India, STAR Greater China y Fox International Channels Asia-,22 LAP TV, Sky plc, Endemol) y News Corp (HarperCollins, Dow Jones -edita The Wall Street Journal-, New York Post, y las divisiones británica -News UK-23 y australiana -News Corp Australia-24), Time Warner (vinculada a Turner Broadcasting System -Ted Turner-: Warner Bros., Time, AOL, CNN, Cartoon Network, HBO, etc.), National Amusements (posee CBS Corporation y Viacom -que a su vez posee Paramount Pictures, DreamWorks, MTV, Nickelodeon, etc.-); vinculado a la familia Redstone
(12) Ver Manual de Campaña de las Fuerzas de Operaciones Especiales norteamericanas sobre la Guerra No Convencional (FM 3-05.130) en http://www.cubadefensa.cu/sites/default/files/circular_TC1801.pdf