L’era della post-verità o della moltiplicazione delle stesse menzogne?

Campagne mediatiche contro i processi progressisti latinoamericani

Randy Alonso Falcón http://www.cubadebate.cu

II parte

Demonizza, che dà frutti

 

La nuova strategia imperiale per contrastare l’avanzata dei processi progressisti nella regione ed impedire la proiezione politica ed elettorale dei leader popolari, è l’uso delle categorie giudiziarie preparate e modellate con il finanziamento e le università e seminari dell’impero per indirizzare quelli che possono essere un freno alla restaurazione conservatrice e neoliberale in America Latina ed all’ingerenza USA nella regione. In questo perverso cammino, hanno come principali alleati i gruppi mediatici della destra latinoamericana.

Il potere giudiziario, sotto il presunto manto di affrontare la corruzione, si è convertito, negli ultimi anni, in un potente spazio in cui si dispiegano, quasi senza limite, le strategie di destabilizzazione e persecuzione politica. Sfrutta il fatto che questo è l’unico potere che non deriva dalla volontà popolare, ma da complessi e manipolati processi di concorsi o designazioni politiche, e che hanno privilegi esclusivi ed aberranti. Non per nulla, le manovre della destra boliviana per abortire il processo di elezione popolare dei giudici promosso, in quel paese, dal governo del presidente Evo Morales.

La giudizializzazione della politica, come è stata chiamata questa strategia di manipolazione della giustizia, è accompagnata dal ruolo attivo dei media nel diffamare i processi popolari e screditare i loro leader. Si cerca il disprezzo e la distruzione dell’immagine pubblica, per facilitare l’ambiente in cui ottenere l’inabilitazione politica dei più riconosciuti avversari della furibonda destra della regione.

Così hanno attaccato Lula, Dilma, Cristina, Correa, Lugo, Milagros Salas. Come punta di diamante, le intense campagne mediatiche di Globo, Clarín, Grupo El Comercio. Ad esempio, la sceneggiata armata da TV Globo, pochi giorni fa, quando un giudice brasiliano ha accettato la petizione Habeas Corpus per Lula. L’onnipotente impero della comunicazione, in Brasile, si è scandalizzato per la decisione e quasi chiede il linciaggio dell’autorità giudiziaria (13).

Agiscono, inoltre, in crescente articolazione con le reti sociali digitali, per lo più sbandate verso la destra, i cui dati sono monitorati dalle agenzie di intelligence e laboratori mediatici, come evidenziato nello scandalo di Cambridge Analytica e la sua raccolta di milioni di dati di Facebook.

Le Reti Sociali Digitali come ecosistema informativo e ghetto ideologico

 

All’egemonia analogica e digitale dei media tradizionali, ora si somma l’accelerato processo di accaparramento del mondo dell’informazione, dell’intrattenimento e della pubblicità da parte dei monopoli tecnologici come Facebook, Google (e la sua matrice Alphabet), Apple, Amazon e pochi altri.

Facebook, ad esempio, si è praticamente eretto in uno stato virtuale con proprie leggi e senza confini. Oltre 2260 milioni di utenti mensili attivi hanno la propria rete sociale di riferimento; equivalente a quasi un terzo della popolazione mondiale ed a più persone rispetto a quelle che vivono negli USA, Cina e Russia insieme.

Al giorno d’oggi, queste reti sociali, nello spazio pubblico digitale, sono fondamentali canali di distribuzione dell’informazione su scala globale, benché sia calato, rispetto agli anni precedenti, dato i nuovi algoritmi di Facebook ed altri fattori, come rivelato da studi di Reuters del Digital New Report (15).

Ma sono anche ricchissime fonti di raccolta di dati sui gusti, preferenze, attitudini e stati d’animo dei suoi milioni di utenti. Un Big Data che aziende, politici e agenzie di intelligence utilizzano a proprio vantaggio.

Nel loro travolgente divenire, queste reti sociali agiscono come grandi editori di contenuto, che decidono quali saranno privilegiati e coloro che saranno esposti ad essi; manipolanoalgoritmi per sospingere determinate informazioni; distribuiscono e servono per distribuire premi e punizioni (in un vergognoso gioco di censura – autocensura).

Come sottolineato dal Pew Research Center, “… le società tecnologiche come Facebook e Apple sono diventate attori integrali, ma determinanti, in tutti gli ambiti, soppiantando le selezioni e gli scopi dei media di notizie, con proprie decisioni ed obiettivi”.

Si arrogano il diritto di censurare, per nudità, l’iconica foto della bambina bruciata dal napalm gettato dai bombardieri USA in Vietnam, pur consentendo la viralità dei video dell’opposizione venezuelana, pieni di violenza fino al parossismo di bruciare vive decine di persone. Riprodurre, apertamente, le campagne di finanziamento dell’opposizione golpista, mentre bloccano temporaneamente l’account Facebook della Dr. Mariela Castro, per considerare inappropriato che diffonda il conto bancario aperto a Cuba per ricevere donazioni finanziarie per aiutare le centinaia di migliaia di cubani vittime, settimane addietro, del passaggio del più potente uragano mai registrato nella zona dell’Atlantico.

Allo stesso tempo servono da veicolo per spingere l’auto-censura. Non di rado, quelli che manifestano al di fuori delle tesi dominanti, ricevono squalifiche offensive che agiscono come avvertimento o tentativo di intimidire, per altri. Così, la censura ora non la esercitano solo i governi, poteri economici, politici o mediatici, ma anche gruppi di cittadini (generalmente di destra o con posizioni estreme) che agiscono come repressori di idee, che non tollerano opinioni dissenzienti, si ri-alimentano tra loro, e sono capaci di linciare coloro, che a loro giudizio, attentano contro ciò che essi considerano incontrovertibile.

L’uso manipolativo e violento delle reti sociali è stato convenientemente implementato nell’ambito delle strategie imperiali e della destra continentale contro Venezuela, Cuba, Bolivia e altri processi progressisti della regione. Ciò non preoccupa, affatto, Zuckecberg, Page ed altri gerarchi delle TIC che vanno, in fretta, cercando di ricostruire la propria immagine, negli USA ed in Europa, dopo le numerose denunce circa il ruolo che hanno giocato nei risultati della disputa elettorale USA, il referendum Brexit e altri rilevanti processi.

Strategie di Laboratorio

 

Laboratori mediatici, ancorati in università o aziende private, lavorano instancabilmente per costruire immaginari e fabbricare “realtà”. Così lo hanno fatto contro i processi a Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Brasile, Argentina. Usano gli strumenti della psicometria, i favolosi elementi forniti dall’utilizzo di Big Data, appellano alla crescente connettività per raggiungere più pubblico e segmentare questi con messaggi particolarizzati, ben studiati, che manipolano le emozioni e le leve soggettive degli individui in una sorta di “divide et impera” a banda larga.

Multimilionarie cifre sono investite in questi centri di ricerca, da dove si organizzano campagne politiche e mediatiche. A questo si aggiunge l’agire dei servizi d’intelligence dell’impero ed altre potenze, il Comando Cyberspaziale del Pentagono e gli stessi empori delle telecomunicazioni tanto vincolati alle strategie ed agli interessi del governo USA.

Quanto successo in Venezuela, dal 2017, ed in Nicaragua, negli ultimi mesi, riflette le varie tecniche e le sofisticate metodologie che oggi si usano per intervenire contro i processi progressisti della regione, basati principalmente sull’uso intensivo di piattaforme sociali, insieme con l’agire manipolatore e perverso dei tradizionali polipi mediatici.

Contro Cuba si esercitano le stesse strategie sovversive, forse su diversa scala. Un’altissima percentuale dei non meno di 20 milioni di dollari che gli USA destinano, ogni anno, per i programmi d’ingerenza e sovversivi a Cuba hanno come componente principale e/o obiettivo le tecnologie delle telecomunicazioni e lo spazio pubblico digitale cubano. Sono stati conosciuti i programmi ZunZuneo e Piramideo, guidati dall’USAID (una sorta di CIA civile) ed altre agenzie governative USA, con l’aiuto di imprese contractor e presunte ONG.

Ora, con il supporto di diversi governi europei – in una terziarizzazione della sovversione – finanziano media digitali privati ed organizzazioni politiche con ingannevoli piattaforme ideologiche, organizzano corsi di formazione e seduzione per giovani giornalisti cubani ed offrono loro generose borse di studio universitarie, strutturano programmi destinati alla comunicazione con il segmento più giovane della popolazione cubana.

Insieme a ciò, persistono nel sostenere i mostri anti-cubani mal chiamati Radio e TV Martí, per cui spendono più di 30 milioni di dollari l’anno; di cui una parte utilizzata per strategie di comunicazione sul web.

Che fare? La nostra capacità di risposta

 

In un messaggio ai giornalisti cubani, il 2 luglio 2008, il Comandante in Capo Fidel Castro segnalava, con chiarezza, la principale sfida dei nostri tempi per noi che esercitiamo la comunicazione: “La verità nel nostro tempo naviga in mari tempestosi (…) Questa è la sfida dei giornalisti cubani!”. E lo è anche per i giornalisti onesti e gli intellettuali impegnati della nostra regione.

Alla monopolizzazione informativa, alle notevoli risorse finanziarie, scientifiche e tecnologiche, all’ampiezza e portata della strategia dell’avversario, si uniscono le nostre difficoltà ad espandere il nostro messaggio, connettersi comunicativamente con i vari settori, assumere gli sviluppi raggiunti dalla comunicazione contemporanea. Sono parte delle varie e profonde sfide che abbiamo dalla sinistra e dal campo progressista, nella strategica battaglia mediatica, come parte della lotta ideologica, combattuta palmo a palmo nella Nostra America.

Nell’ottima analisi dell’attuale situazione latinoamericana che fa nel suo articolo. “Fine del ciclo progressivo o processo per ondate rivoluzionarie” il vicepresidente boliviano Alvaro Garcia Linera allerta i nostri processi su una delle loro principali sfide: “Nella gestione di governo a volte diamo la priorità dell’azione politica contro le forze di opposizione, la mera gestione amministrativa o anche la ricerca di successi economici per i processi. Ma se tutto ciò lo facciamo, senza una battaglia culturale, politicizzazione sociale o slancio in un significanza logica e morale del mondo che si sta costruendo, la buona gestione politica, amministrativa ed anche economica si tradurrà in un indebolimento del governo, un allontanamento dei settori popolari ed una crescita della rassegnazione conservatrice nelle spiegazioni del mondo, nella percezione popolare”.

“Proprio questo è uno dei problemi più importanti che stanno attraversando i governi progressisti e rivoluzionari. ridistribuzione della ricchezza senza politicizzazione sociale.”

[…]” … se questa espansione della capacità di consumo, della capacità di giustizia sociale, non viene accompagnata dalla politicizzazione sociale rivoluzionaria, con il consolidamento di una narrazione culturale, con la vittoria di un ordine logico e morale del mondo, prodotto dallo stesso processo rivoluzionario, non si sta vincendo il senso comune dominante. Ciò che si sarà raggiunto è creare una nuova classe media con capacità di consumo, con capacità di soddisfazione, ma portatrice del vecchio senso comune conservatore”.

“La grande sfida che qualsiasi duraturo processo rivoluzionario ha, è accompagnare la redistribuzione della ricchezza, l’espansione della capacità di consumo, l’espansione della soddisfazione materiale dei lavoratori con un nuovo senso comune e con una nuova maniera quotidiana di rappresentare, orientare ed agire nel mondo, che rinnovi i valori della lotta collettiva, della solidarietà e del comune come patrimonio morale.”

Di fronte a tale scenario della battaglia mediatica urge ripensare le nostre strategie comunicative, coordinare gli sforzi tra i mezzi di comunicazione (tradizionali, comunitari ed alternativi) che optiamo per un’America Latina più giusta e unita, rafforzare i media pubblici e dei movimenti sociali, innovare e rendere la nostra comunicazione più creativa ma che sia più efficace, dare voce ai comunicatori popolari, rafforzare la nostra presenza nello spazio pubblico digitale per democratizzarlo e diffondere le nostre idee, con l’accento sulla lotta nei social network.

I governi progressisti della regione hanno bisogno di una chiara strategia comunicativa ed all’offensiva, che si converta in una fortezza della sua gestione ed in magnifica via per l’intensa battaglia di idee che ci si prospetta.

Abbiamo dimostrato di avere capacità e modo di essere efficaci. Lì c’è Telesur, La Jornada, Page 12, le radio comunitaria, siti digitali come Alainet, Red58, Brasil de Fato o Cubadebate, da dove, modestamente, diamo la nostra battaglia.

Il Venezuela ha dimostrato che si possono anche svolgere battaglie vittoriose nei social network, nonostante il loro evidente tendere a destra e manipolazione. La Rivoluzione Bolivariana ha tenuto testa, nelle reti digitali, con la sua militanza popolare, attiva, preparata, organizzata. Accanto a ciascuna etichetta che la controrivoluzione ha convertito in trending topic (argomento di tendenza) durante questi mesi di guerra totale, le forze rivoluzionarie hanno posto una o più etichette di risposta.

Consiglio di leggere l’articolo di Red58: Perché il Venezuela è emerso vittorioso nella più recente guerra di IV generazione? che abbiamo anche riprodotto in Cubadebate.

È stata una battaglia che Chávez ha promosso dal suo account Twitter @Chavezcanganga, e che ora Maduro continua. O come fa, brillantemente, il presidente Evo Morales con i suoi messaggi, saggi e diretti, dal suo account Twitter @Evoespueblo.

Ma abbiamo bisogno che in questi spazi stia anche la nostra gente umile, la più impegnata, la più combattiva, la più esclusa incluso nelle reti. I nostri popoli devono assumere questi spazi virtuali non come semplici spettatori, ma come attivi partecipanti che apportino idee. Comprendere le loro pratiche, sfruttare i loro algoritmi, socializzare le migliori esperienze, addentrarci nei labirinti del big data, sono parte delle nostre sfide.

Seminare idee! Seminare idee!Seminare idee! Come, un giorno, ci ha invitato Fidel.

link I parte


¿La era de la posverdad o de la multiplicación de las mismas mentiras?: Campañas mediáticas contra los procesos progresistas latinoamericanos

Por: Randy Alonso Falcón

II parte

Sataniza, que da frutos

La nueva estrategia imperial para coartar el avance los procesos progresistas de la región e impedir la proyección política y electoral de los líderes populares, es el uso de los estamentos judiciales, preparados y moldeados con el financiamiento y las academias y talleres del imperio, para encauzar a aquellos que pueden ser un freno a la restauración conservadora y neoliberal en Latinoamérica y a la injerencia estadounidense en la región. En ese perverso camino, tienen como aliados principales a los grupos mediáticos de la derecha latinoamericana.

El Poder Judicial, bajo el supuesto manto del enfrentamiento a la corrupción, se han convertido en los últimos años es poderoso espacio donde se despliegan, casi sin límites, estrategias de desestabilización y persecución política. Se aprovecha el hecho de que es este el único poder que no se deriva de la voluntad popular, sino de complejos y amañados procesos de concursos o designaciones políticas, y que posee privilegios exclusivos y aberrantes. No por gusto, las maniobras de la derecha boliviana para abortar el proceso de elección popular de los jueces impulsado en ese país por el gobierno del presidente Evo Morales.

La judicialización de la política, como se le ha denominado a esta estrategia de manipulación de la justicia, viene acompañada del activo papel de los medios de comunicación para denostar a los procesos populares y desprestigiar a sus líderes. Se busca el escarnio y la destrucción de la imagen pública, para facilitar el ambiente en que lograr la inhabilitación política de los adversarios más reconocidos de la derecha furibunda de la región.

Así han arremetido contra Lula, Dilma, Cristina, Correa, Lugo, Milagros Salas. Como punta de lanza, las intensas campañas mediáticas de Globo, Clarín, el Grupo El Comercio. Para ejemplo, la alharaca armada por TV Globo hace unos días, cuando un juez brasileño aceptó la petición de Habeas Corpus para Lula. El todopoderoso imperio de la comunicación en Brasil se escandalizó por la decisión y casi llama al linchamiento de la autoridad judicial.(13)

Actúan además, en creciente articulación con las redes sociales digitales, mayoritariamente escoriadas hacia la derecha, cuyos datos son monitoreados por los órganos de inteligencia y laboratorios mediáticos, como quedó evidenciado en el escándalo de Cambridge Analytica y su recopilación de millones de datos de Facebook.

Las Redes Sociales Digitales como ecosistema informativo y ghetto ideológico

A la hegemonía analógica y digital de los medios tradicionales, se suma ahora el acelerado proceso de acaparamiento del mundo de la información, el entretenimiento y la publicidad por parte de monopolios tecnológicos como Facebook, Google (y su matriz Alphabet), Apple, Amazon y otros pocos.

Facebook, por ejemplo, se ha erigido prácticamente en un estado virtual con leyes propias y sin fronteras. Más de 2 260 millones de usuarios activos mensuales tiene su red social estrella; equivalente a casi un tercio de la población mundial y a más personas que las que habitan en EE.UU, China y Rusia juntos.

En los días que corren, estas redes sociales en el espacio público digital son canales fundamentales de distribución de la información a escala global, aunque ha disminuido respecto a años anteriores dado los nuevos algoritmos de Facebook y otros factores, según revelan los estudios de Reuters del Digital News Report (15).

Pero también son fuentes riquísimas de recolección de datos sobre los gustos, preferencias, aptitudes y estados de ánimo de sus millones de usuarios. Una Big Data que después usan en su provecho empresas, políticos y agencias de Inteligencia.

En su arrollador devenir, estas redes sociales actúan como grandes editores de contenido, que deciden cuáles serán privilegiados y quienes serán expuestos a ellos; manipulan algoritmos para empujar determinadas informaciones; reparten y sirven para repartir premios y castigos (en un bochornoso juego de censura – autocensura).

Como apunta el Pew Research Center, las “…compañías tecnológicas como Facebook y Apple han devenido en actores integrales, sino determinantes, en todos los ámbitos, suplantando las selecciones y propósitos de los medios noticiosos, con sus propias decisiones y objetivos”.

Se arrogan el derecho de censurar, por desnudo, la icónica foto de la niña quemada por el napalm arrojado por bombarderos yanquis en Viet Nam, mientras permiten la viralidad de los videos de la oposición venezolana, llenos de violencia hasta el paroxismo de quemar vivos a decenas de personas. Reproducen abiertamente las campañas de financiamiento de esa oposición golpista, mientras bloquean temporalmente la cuenta en Facebook de la Dra. Mariela Castro, por considerar inapropiado que difundiera la cuenta bancaria abierta en Cuba para recibir donaciones financieras para ayudar a los cientos de miles de cubanos damnificados por el paso hace unas semanas del más poderosos huracán que se haya registrado en la zona del Atlántico.

Sirven a la vez de vehículo para empujar la autocensura. No pocas veces, quienes se manifiestan al margen de las tesis dominantes, reciben ofensivas descalificaciones que actúan como aviso o intento de intimidación para otros. Así, la censura ya no la ejercen sólo gobiernos, poderes económicos, políticos o mediáticos, sino que también grupos de ciudadanos (generalmente de derecha o con posiciones extremas) actúan como represores de ideas, que no toleran opiniones discrepantes, se realimentan entre sí, y son capaces de linchar a quienes a su juicio atentan contra lo que ellos consideran incontrovertible.

El uso manipulador y violento de las redes sociales ha sido convenientemente ejecutado dentro de las estrategias imperiales y de la derecha continental contra Venezuela, Cuba, Bolivia y otros procesos progresistas de la región. Ello no preocupa, para nada, a los Zuckecberg, Page y otros jerarcas de los TICs, que sí andan presurosos tratando de recomponer su imagen en EE.UU y Europa, después de las numerosas denuncias sobre el papel que tuvieron en los resultados de la contienda electoral estadounidense, el referéndum del Brexit y otros relevantes procesos.

Estrategias de Laboratorio

Laboratorios mediáticos, ancladas en universidades o empresas privadas, trabajan incesantemente para construir imaginarios y fabricar “realidades”. Así lo han hecho contra los procesos en Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Brasil, Argentina. Usan las herramientas de la psicometría, los fabulosos elementos que aporta el uso de la Big Data, apelan a la creciente conectividad para llegar a más audiencias y segmentar estas con mensajes particularizados, bien estudiados, que manipulan las emociones y los resortes subjetivos de los individuos, en una suerte de “Divide y Vencerás” con banda ancha.

Multimillonarias cifras se invierten en estos centros de investigación, desde donde se organizan campañas políticas y mediáticas. A ello se une la actuación de los servicios de inteligencia del imperio y otras potencias, el Comando Ciberespacial del Pentágono y los propios emporios de las telecomunicaciones, tan vinculados a las estrategias e intereses del gobierno estadounidense.

Lo ocurrido en Venezuela desde 2017 y en Nicaragua en lo últimos meses, refleja las técnicas diversas y las sofisticadas metodologías que hoy se usan para intervenir contra los procesos progresistas de la región, basados fundamentalmente en el uso intensivo de las plataformas sociales, junto a la actuación manipuladora y perversa de los pulpos mediáticos tradicionales.

Contra Cuba se ejercen iguales estrategias subversivas, quizás con escala diferente. Un altísimo por ciento de los no menos de 20 millones de dólares que EE.UU destina cada año para programas injerencistas y subversivos en Cuba tienen como componente principal y/o objetivo las tecnologías de las telecomunicaciones y el espacio público digital cubano. Conocidos fueron los programas Zunzuneo y Piramideo, conducidos por la USAID (una suerte de CIA de civil) y otras agencias del gobierno estadounidense, con el auxilio de empresas contratistas y supuestas ONG.

Ahora, con el apoyo de varios gobiernos europeos, – en una tercerización de la subversión -, financian medios digitales privados y organizaciones políticas con engañosas plataformas ideológicas, organizan cursos de instrucción y seducción para jóvenes periodistas cubanos y les otorgan generosas becas universitarias, estructuran programas destinados a la comunicación con el segmento más joven de la población cubana.

Junto a ello, persisten en sostener los engendros anticubanos mal llamados Radio y TV Martí, para los que destinan más de 30 millones de dólares anuales; parte de los cuales usan para estrategias de comunicación en la web.

¿Qué hacer? Nuestra capacidad de respuesta

En un mensaje a los periodistas cubanos, el 2 de julio de 2008, el Comandante en Jefe Fidel Castro señalaba con claridad el principal desafío de nuestros tiempos para quienes ejercemos la comunicaciòn: “La verdad en nuestros tiempos navega por mares tempestuosos (…) ¡Ese es el desafío de los periodistas cubanos!”. Y lo es también para los periodistas honestos y los intelectuales comprometidos de nuestra región.

A la monopolización informativa, los cuantiosos recursos financieros, científicos y tecnológicos, la amplitud y alcance de la estrategia del adversario, se une nuestras dificultades para expandir nuestro mensaje, conectar comunicativamente con los diversos sectores, asumir los desarrollos que ha alcanzado la comunicación contemporánea. Son parte de los varios y profundos retos que tenemos desde la izquierda y el campo progresista en la estratégica batalla mediática, que como parte de la lucha ideológica, se libra palmo a palmo en Nuestra América.

En el excelente análisis de la situación latinoamericana actual que hace en su artículo. “¿Fin del ciclo progresista o proceso por oleadas revolucionarias?”, el Vicepresidente boliviano Álvaro García Linera previene a nuestros procesos de uno de sus principales desafíos: “En gestión de gobierno a veces priorizamos la acción política contra las fuerzas opositoras, la mera gestión administrativa o incluso la búsqueda de éxitos económicos para los procesos. Pero si todo ello lo hacemos sin una batalla cultural, politización social o impulso de una significación lógica y moral del mundo que se está construyendo, la buena gestión política, administrativa e incluso económica se traducirá en un debilitamiento del gobierno, un alejamiento de los sectores populares y un crecimiento de la resignificación conservadora en las explicaciones del mundo, en la precepción popular”.

“Precisamente ese es uno de los problemas más importantes por los que están atravesando los gobiernos progresistas y revolucionarios: redistribución de la riqueza sin politización social.”

[…] “…si esta ampliación de la capacidad de consumo, de la capacidad de justicia social, no viene acompañada con la politización social revolucionaria, con la consolidación de una narrativa cultural, con la victoria de un orden lógico y moral del mundo, producidos por el propio proceso revolucionario, no se está ganando el sentido común dominante. Lo que se habrá logrado es crear una nueva clase media con capacidad de consumo, con capacidad de satisfacción, pero portadora del viejo sentido común conservador.”

“El gran reto que todo proceso revolucionario duradero tiene, es acompañar la redistribución de la riqueza, la ampliación de la capacidad de consumo, la ampliación de la satisfacción material de los trabajadores, con un nuevo sentido común y con una nueva manera cotidiana de representar, orientar y actuar en el mundo, que renueve los valores de la lucha colectiva, la solidaridad y lo común como patrimonio moral.”

Frente a tal escenario de la batalla mediática urge repensar nuestras estrategias comunicativas, coordinar esfuerzos entre los medios de comunicación (tradicionales, comunitarios y alternativos) que apostamos por una América Latina más justa y unida, fortalecer los medios públicos y de los movimientos sociales, innovar y hacer más creativa nuestra comunicación pero que sea más efectiva, dar voz a los comunicadores populares, fortalecer nuestra presencia en el espacio público digital para democratizarlo y difundir nuestras ideas, haciendo énfasis en el combate en las redes sociales.

Los gobiernos progresistas de la región necesitan de una estrategia comunicacional clara y a la ofensiva, que se convierta en una fortaleza de su gestión y en magnífica vía para la batalla de ideas intensa que se nos plantea.

Hemos mostrado que tenemos capacidad y manera de hacer efectivas. Ahí está TeleSur, La Jornada, Página 12, las radios comunitarias, sitios digitales como el de Alainet, Red58, Brasil de Fato o Cubadebate, desde donde modestamente damos nuestra batalla.

Venezuela mostró que también se pueden dar batallas victoriosas en las redes sociales, pese a su evidente derechización y manipulación. La Revolución bolivariana plantó cara en las redes digitales con su militancia popular, activa, preparada, organizada. Al lado de cada etiqueta que la contrarrevolución convirtió en trending topic durante estos meses de guerra total, las fuerzas revolucionarias pusieron una o más etiquetas de respuesta.

Recomiendo leer el artículo de Red58: ¿Por qué Venezuela salió victoriosa en la más reciente guerra de cuarta generación?, que reprodujimos también en Cubadebate.

Fue una batalla que Chávez impulsó desde su cuenta en Twitter de @Chavezcanganga, y que ahora sigue Maduro. O como lo hace brillantemente el presidente Evo Morales, con sus sabios y directos mensajes en su cuenta de Twitter @Evoespueblo.

Pero necesitamos que en esos espacios estén también nuestra gente humilde, la más comprometida, la más combativa, los más preteridos, incluso en las redes. Nuestros pueblos deben asumir esos espacios virtuales no como meros espectadores, sino como activos participantes desde las ideas. Entender sus prácticas, aprovechar sus algoritmos, socializar las mejores experiencias, adentrarnos en los laberintos del big data, son parte de nuestros desafíos.

¡Sembrar ideas!¡Sembrar ideas!¡Sembrar ideas!, como un día nos convocó Fidel.

(13) Cuenta Emir Sader: “TV Globo suspendió la cobertura al detalle que hacía del rescate de los niños en Tailandia, para noticiar, con pánico, que Lula sería liberado de inmediato. Pasaron entonces a deducir las consecuencias de que Lula fuera liberado, de que aun así no podría ser candidato, pero que saldría a hacer campaña por todo el país por su candidato y que ello cambiaría totalmente el escenario electoral..
Llamaron a sus juristas, para alegar de la supuesta ilegalidad de la medida del juez, aguardando una reacción de Sergio Moro, quien, sin poder para ello y disfrutando de sus vacaciones en Portugal, mandó instrucciones al delegado y difundió su opinión de que la decisión no debiera ser cumplida. Empezó en ese momento una escalada de escaramuzas entre el juez que reiteró la decisión de liberación de Lula, puso plazo –las 17:30 horas– para que se cumpliera, y jueces contrarios a liberación de Lula. Jueces de vacaciones, medios de comunicación, movilizaciones populares en todas las grandes ciudades de Brasil, incluso en Curitiba, aguardando la liberación y en Sao Bernardo do Campo, cerca de la casa de Lula.” Verhttps://www.alainet.org/es/articulo/193970
(14) Ver estadísticas actuales en tiempo real enhttp://www.internetlivestats.com/watch/facebook-users/
(15) Ver http://www.digitalnewsreport.org/

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