Melissa Cardosa: ‘In Honduras, la lotta di Bertha continua’

di Geraldina Colotti

S’intitola I 13 colori della resistenza il libro che Melissa Cardosa è venuta a presentare in Italia, invitata dal Collettivo Italia Centro America (CICA). Una raccolta di racconti, dedicata a Bertha Caceres, l’ambientalista honduregna uccisa nel 2013 e “a tutti i martiri della resistenza in Honduras, ai prigionieri politici”. Femminista lesbica, militante del movimento di resistenza in Honduras, Melissa unisce l’impegno politico alla passione per la scrittura. L’abbiamo incontrata a Roma, al centro sociale occupato e autogestito Ex-Snia Viscosa.

Qual è la situazione del movimento in Honduras dopo l’ultima frode elettorale e la repressione che ne è seguita?

La situazione è grave perché dopo la frode elettorale del novembre scorso, l’appoggio internazionale accordato all’usurpatore Juan Orlando Hernández da parte degli Usa della Ue e di alcuni paesi dell’America Latina, ha nuovamente legittimato i golpisti a scapito della lotta popolare: una lotta che ci ha sorpreso per i caratteri di insurrezione che ha assunto, e che è durata due mesi. Persiste la disobbedienza a un regime capitalista patriarcale tremendamente oppressore, sempre più violento e arrogante. Per l’usurpatore non è facile controllare una popolazione sempre più ingovernabile. C’è molta mobilitazione, non solo da parte dei movimenti organizzati, ma anche nei territori. Le comunità si organizzano per la difesa dell’acqua, dei boschi, della terra, della vita e lo fanno con forza. Mettono a disposizione le loro conoscenze, e questo ci insegna molto, ci insegna ad aver fiducia nel popolo, anche se è un momento per noi molto duro. Nelle carceri di massima sicurezza ci sono prigionieri politici, uno di loro, Edwin Espinal, era molto amico di Bertha Caceres e del Copinh, e anche per questo lo tengono in carcere.

E’ vero che durante le proteste la polizia si è rifiutata di sparare sui manifestanti? Ci sono delle crepe nel fronte governativo?

Non è andata esattamente così. I poliziotti stavano facendo pressione sul governo per un problema sindacale. Appena lo hanno risolto hanno ricominciato a reprimere. Non è vero che stiano dalla parte del popolo, Hernández ha sia l’appoggio della polizia che quello dell’esercito. Ha il monopolio della violenza istituzionale, e non ha nessun problema a reprimere o ad assassinare dentro o fuori una parvenza di leggi. Non ha nessun pudore, incarna il modello di politico cinico, arrogante, ladrone come se ne vedono sempre più anche da voi. Il progetto del regime resta quello di spogliare il paese delle proprie risorse con l’estrattivismo: per metterle al servizio delle grandi transnazionali che hanno i loro rappresentanti in certi settori della classe dominante, a cui erogano molto denaro. I deputati del Partito Nazionale o di quello Liberale sono vera e propria spazzatura.

E come se ne esce? Qual è l’agenda dei movimenti popolari?

Prima di tutto dobbiamo continuare a far crescere la resistenza. Io non ho simpatia per l’istituito, sto nel movimento e sono piuttosto “antipartito”. Penso che eleggendo dei rappresentanti, molte di noi – femministe, lesbiche, indigene – si ritrovano fuori, si creano gerarchie, si finisce per schematizzare la lotta popolare. Non appartengo al partito Libre. Tuttavia, Libre ha molti deputati al congresso, ci aspettiamo che faccia opposizione. Già la sta facendo, a volte in modo efficace, a volte meno. L’agenda dei movimenti che frequento, quella del femminismo lesbico e autonomo che frequento io, è quella di organizzare, mobilitare, proporre contenuti più di genere, con più ascolto per quel che hanno da dire gli indigeni sul progresso, sul modello di sviluppo. La lotta di Bertha sulla privatizzazione dei beni comuni ha saputo parlare all’intera umanità. Guarda quanto abbiamo pagato questa bottiglietta d’acqua, ed è così dappertutto.

In tutto il mondo aumentano i femminicidi, è una guerra mondiale contro le donne. Il patriarcato ha un potere molto grande nell’impedire il processo di emancipazione. Si riducono gli spazi per la dissidenza sessuale. L’Honduras è molto omofobo e lesbofobo. L’oligarchia honduregna, che non ha mai portato avanti interessi nazionali, è sempre stata rapace, serva dei gringos, delle multinazionali e nella gestione economica è forte la presenza delle gerarchie ecchesiastiche. Ci hanno imposto un decreto legislativo che rende obbligatoria la lettura della Bibbia nelle scuole. E’ stata proibita la pillola del giorno dopo e, ovviamente, viene penalizzato e perseguito l’aborto. C’è un progetto neo-evangelico fondamentalista che mette paura.

Che pensi del movimento Ni una menos?

E’ molto interessante, hanno convocato questo sciopero internazionale che ha molte possibilità di unificare i molti aspetti di un femminismo disgregato. Tuttavia, c’è anche il rischio di imbarcare un po’ di tutto, di far spazio a un femminismo liberal che non va oltre il rifiuto della violenza contro le donne, su cui chiunque può convenire: un femminismo bianco, eterosessuale, neocoloniale che si muove negli spazi compatibili, che propone al massimo un cambio di leggi ma non del sistema, e per questo può essere cooptato. Noi proponiamo un femminismo comunitario e decolonizzato che, a partire dai territori, lotti contro una violenza sistemica che colpisce tutti.

Nel tuo libro, attraverso profili di donne che compiono gesti di resistenza, si parla della divisione del lavoro, della guerra, dell’Honduras e dell’America Latina. Uno dei racconti, poetico e fiabesco, è dedicato a Hugo Chavez. Che pensi di quanto accade in Venezuela, in Nicaragua, in Messico?

Chavez è stato in Honduras, e da lì prende spunto il racconto. La rivoluzione bolivariana ha fatto molto per la resistenza popolare e noi l’abbiamo sempre appoggiata, anche se personalmente non gradisco i riferimenti alle religioni nei discorsi presidenziali e per varie ragioni non sono ancora andata in Venezuela. L’amicizia tra Chavez e Zelaya è stata un motivo per demonizzare il movimento di resistenza usando la paura del comunismo. Ma nella memoria del popolo il racconto dominante non ha molta presa, sia per quanto riguarda il Venezuela che per Cuba. Anche perché, con quale coraggio l’Honduras golpista può parlar male del Venezuela? Una donna povera mi ha detto: “per noi, prima viene dio, poi i medici cubani” che hanno curato molta gente. Rispetto al Nicaragua, premetto che mi risulterebbe difficile allearmi con la destra per imporre un cambiamento alla sinistra. Sono contro le aggressioni Usa al continente, noi sappiamo cosa significa. Penso, però, che alcune scelte di Ortega, soprattutto nei confronti delle donne, ma non solo, non siano propriamente di sinistra. Quando Bertha è stata uccisa ha inviato condoglianze… al governo, nelle cui sfere è maturato l’omicidio. E’ stato fra i primi a riconoscere Juan Orlando Hernández mentre noi sfidavamo la repressione in piazza. Lo so che durante il golpe contro Zelaya abbiamo avuto appoggio e che i rapporti fra stati seguono regole proprie, ma… Prima in Nicaragua si poteva entrare liberamente, ora c’è bisogno di un visto. C’è la questione del Canale e le critiche di molti contadini e ambientalisti che non sono pagati dalla Cia. E c’è la repressione, ci sono i morti. Non si può essere indulgenti. Quando i progetti rivoluzionari non convincono, la destra guadagna spazio, lo vedete anche voi in Europa. Riguardo al Messico, come ti dicevo prima, non sono attratta dai partiti e dall’istituito, ma sono molto felice che ci sia stato un cambiamento politico. Ho vissuto in Messico alcuni anni e ho pubblicato due libri, uno di poesie e l’altro per ragazzi, da una prospettiva lesbica. La situazione, in Messico, è diventata insostenibile. Nonostante i giochi e le alleanze, anche con settori evangelici, che non mi hanno certo entusiasmato, penso che la vittoria di Obrador sia positiva per noi in Honduras. Indica che, a dispetto delle frodi, ci può essere un cambio di marcia, si può vincere imponendo un risultato impossibile da negare.

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