Sull’attentato a Maduro, le ‘rivelazioni’ di Patricia Poleo

di Geraldina Colotti

C’è una vulgata mediatica che nega l’autenticità dell’attentato compiuto contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro. I droni carichi di esplosivo, intercettati in volo dai sistemi di sicurezza – si dice – erano parte di un piano architettato dal perfido “dittatore”. E’ una solfa che si ripete da quasi vent’anni, da quando Hugo Chavez ha vinto le elezioni e ha subito fatto capire agli Usa che il Venezuela non sarebbe stato più il loro cortile di casa. Per questo, nel 2002, gli hanno organizzato un colpo di Stato, negando contro ogni evidenza la natura di quel golpe.


Quando il popolo ha riportato in sella il proprio presidente, sono cominciate le indagini sui massacri compiuti allora dai golpisti. Il giudice Danilo Anderson indagava sui morti di Puente Llaguno. Allora, franchi tiratori manovrati dalla CIA spararono su due opposte manifestazioni attribuendo la responsabilità “alla repressione di Chavez”.

Una verità da occultare. Il giudice venne fatto saltare in aria da una potente carica di esplosivo C4, collocato nella sua auto. Come mandante intellettuale di quell’omicidio viene accusata anche Patricia Poleo, figlia di Rafael Poleo, giornalista di opposizione, allora direttrice di El Nuevo Pais, il quotidiano proprietà del padre. I grandi media privati, insieme ad alte gerarchie ecclesiastiche, Confindustria locale e ufficiali fedeli al sistema della IV Repubblica, furono gli organizzatori di quel golpe a guida Cia. Un arco di forze che, per quanto indebolito, non ha mai smesso di agire per rimettere le mani sulle gigantesche risorse del paese (dal petrolio all’oro, passando per il coltan e altri minerali preziosi, ai boschi e alle acque), considerando inaccettabile che quella ricchezza venga utilizzata a vantaggio dei settori popolari. Che poi a guida del Venezuela vi sia un ex autista del metro, risulta doppiamente insopportabile.

Per questo, occorre abolire la costituzione bolivariana, che impedisce alle multinazionali e ai loro derivati locali di appropriarsi nuovamente del paese, riportandolo sotto tutela Usa. E questo cercano di fare le forze avverse, organizzando in salsa golpista il permanente scontro di classe in atto in Venezuela. Dentro e fuori il paese: principalmente da Miami e da Bogotà.

Patricia Poleo è di stanza a Miami. Da lì conduce un programma dal titolo Agárrate, in cui propone pseudo-inchieste basate su aria fritta, che per questo fanno molto fumo.

E’ però molto bene informata sulle vicende dell’area politica a cui appartiene, sempre attenta ad accreditarsi come destinataria di fonti dirette e attendibili.

E’ stata la prima a leggere il comunicato dei Soldados de Franelas che hanno rivendicato l’attentato: lo stesso gruppo a cui apparteneva l’ex poliziotto Oscar Pérez, che ha lanciato bombe da un elicottero militare, e in seguito è stato ucciso dalla polizia. Poleo ha dedicato il suo ultimo programma al fallito attentato contro Maduro, lanciando strali contro chi ha negato ai Soldados de Franelas la paternità del gesto.

Per l’occasione, Poleo si è avvalsa di un altro ricercato venezuelano, in diretta dal Cile, presentato come “esperto” del linguaggio del corpo, il quale ha sciorinato banalità sul “sorriso della Gioconda” sul viso di Cilia Flores e altre corbellerie. Il succo, però, è arrivato con la diffusione in video di alcuni messaggi ricevuti da Poleo a partire da giugno, e poi a ridosso dell’attentato. Messaggi – ha detto la ricercata – provenienti da “militari attivi che non sono mai stati chavisti e che agiscono dall’interno delle Forze Armate”.

I militari le hanno praticamente annunciato l’arrivo di un gesto eclatante per il 4 agosto. D’altro canto, uno dei 6 arrestati aveva già partecipato all’assalto di una guarnigione, ed era stato poi amnistiato recentemente da Maduro. Poleo ha ripercorso la dinamica dei fatti, senza nascondere il suo sostegno ai Soldados de Franelas e a quella parte dell’estrema destra che considera persino Manuel Santos – ex presidente della Colombia – un moderato.

Intanto, un’altra giornalista di opposizione, subito ripresa dai media privati, ha dato conto di una “riunione a porte chiuse” di tutta l’opposizione venezuelana che si sarebbe svolta a Bogotà. Contro la Colombia e contro i golpisti di Miami ha puntato il dito Maduro nel suo discorso alla nazione. Come hanno spiegato, tra gli altri, gli analisti di Mision Verdad, le nuove misure varate dal governo bolivariano per contrastare la guerra economica intaccherebbero fortemente il contrabbando miliardario alla frontiera con la Colombia e l’egemonia del dollaro. Logico che le mafie reagiscano, in un momento per loro favorevole a livello internazionale.

Il congresso del Partito Socialista Unito del Venezuela, la vitalità del potere popolare, evidenziata anche dalla Marcia dei contadini, hanno dimostrato che il processo bolivariano può consolidarsi, liberandosi delle tante scorie accumulate in questi vent’anni. Le forze avverse lo sanno. Chi invece sembra ignorarlo, sono i “critici-critici” della sinistra italiana, troppo impegnati a ripetere il mantra che “Maduro non è Chavez”.

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