Cento giorni di governo e varie crisi

il governo di Iván Duque traballa

María Fernanda Barreto http://misionverdad.com

La leadership di Iván Duque, in Colombia, continua ad essere messa in discussione coscientemente ed incoscientemente. A quasi quattro mesi da che assumesse l’incarico, nessuno sembra prendere sul serio la sua investitura. La burla di massa che ha prodotto il suo commento presso la sede dell’UNESCO, a Parigi, dove ha relazionato i sette pilastri della sua proposta economica con “i sette nanerottoli” è stato solo un sintomo della debolezza della sua immagine.

Pochi giorni fa la sua vice presidentessa, Marta Lucia Ramirez, ha avuto un lapsus e di fronte ai sindaci di tutto il paese ha dimenticato il cognome di Ivan, riferendosi a lui come “il presidente Uribe” ciò che è già successo almeno due volte in diverse allocuzioni pubbliche della nuova squadra dell’esecutivo e che riafferma che è Uribe che, veramente, dirige la presidenza di quel paese.

La Colombia è un paese in crisi. Mentre il numero di dirigenti popolari uccisi quest’anno già si avvicina a 300 casi totalmente impuniti, le proteste studentesche a causa del basso budget assegnato alle università pubbliche, si estendono a tutto il territorio. Si cominciano a sommare al settore studentesco i principali sindacati e persino artisti internazionali come Residente che ha annunciato che sosterrà queste proteste nelle sue prossime presentazioni a Cali e Bogotá.

Questa situazione, insieme con l’altissima impopolarità che ha, in poco più di 100 giorni di governo, lo potrebbe costringere a rinviare la lotta nel Congresso per la cosiddetta “legge finanziaria” che non è altro che una riforma fiscale che si propone universalizzare il gravame persino per gli alimenti del paniere di base, mentre abbassa le imposte alle grandi società del paese.

Il solo annuncio di questo progetto di legge è stato chiave nella sua discesa di fronte all’opinione pubblica e continua a non incontrare il consenso necessario nel Congresso colombiano, dove ha evidenziato la strategia uribista per aumentare l’immagine dello stesso Alvaro Uribe Velez che, mentre orienta il tuo delfino affinché introduca il detto progetto, lancia critiche populiste sul danneggiamento della tassa al paniere familiare ed alle basse pensioni, ma non dice nulla su come questa legge andrà a beneficio delle grandi imprese con riduzioni fiscali ed esenzioni fino a dieci anni.

Un’altra delle pantomime con cui Duque ed Uribe fingono disaccordo -non strutturale- è stata nel loro appoggio alla consulta anti – corruzione che è stata fatta in agosto di quest’anno e che non ha ottenuto il minimo di voti stabilito per essere vincolante e, semplicemente, non cambiò nulla. Ma lo scandalo della corruzione vincolato a Odebrecht continua a schizzare il presidente del paese vicino. Il sostegno espresso al Procuratore Generale, Nestor Humberto Martinez, che è giudice e parte di questo caso ed è attualmente segnalato dall’opinione pubblica come uno dei sospettati dell’omicidio del principale testimone sui finanziamenti del paramilitarismo e delle campagne elettorali di Odebrecht, danno di lui un’immagine negativa.

Mentre Uribe si limita ad attaccare i media che diffondono i colloqui che compromettono il Procuratore Generale della Colombia con il caso e l’omicidio di Jose Pizano, caso su cui, per certo, indaga la procura che egli dirige.

D’altra parte, i processi di pace sono un clamoroso fallimento. Così come gli accordi firmati con le FARC, a L’Avana, sono inadempiuti, ora si è lasciato raffreddare il tavolo di dialogo con l’ELN ed il paese continua in una franca guerra. Lo stato colombiano che si alimenta di guerra ha trovato, anche nella presunta pace, una fonte di finanziamento e di recente ha iniziato il suo mandato la stessa presidentessa del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, che ha fatto pressione sul nuovo presidente affinché si concreti questo processo che per quanto ha detto darebbe una maggiore tranquillità alle istituzioni e società multinazionali.

La Colombia allora si dibatte tra la destra e l’estrema destra, tra interessi della borghesia nazionale ed il traffico di droga, e gli interessi transnazionali di vario tipo. Non si raggiungono semplici accordi per l’approvazione delle leggi nel Congresso, ma neppure vi sono accordi tra l’oligarchia colombiana per un’azione militare contro il Venezuela. Dove sì c’è consenso è nel continuare la guerra mediatica, il parassitismo economico e, naturalmente, nel fare della migrazione venezuelana un’altra fonte di ottenimento di valuta estera per il suo governo, mentre i rifugi che affollano venezuelani/e sono veramente deplorevoli.

Così come la prima misura diplomatica, del nuovo governo uribista, è stata il ritiro da UNASUR, la prossima mossa annunciata sarà la rottura delle relazioni diplomatiche con il Venezuela, dal 10 gennaio 2019, che genererà un maggior danno economico alla Colombia che al Venezuela ma che, senza dubbio, rafforzerà la strategia di fare del Venezuela un nemico esterno che servirà per continuare a richiedere valuta estera al governo USA ed agli organismi internazionali, come l’UNHCR, e giustificare l’aumento del bilancio militare nel 2019.

La chiusura definitiva dell’ambasciata colombiana in Venezuela e delle sue rappresentanze consolari nel paese, farebbe pressione, soprattutto, sulla grande maggioranza dell’immigrazione colombiana in Venezuela che continua a rifiutarsi di ritornare nel proprio paese di origine per ragioni che il regime colombiano non osa spiegare, ma che potrebbero servire per rafforzare, il prossimo anno, la matrice comunicativa della “crisi dei rifugiati” che non è riuscita a sostenere, fino ad ora, con cifre reali.


Cien días de gobierno y varias crisis: el gobierno de Iván Duque se tambalea

María Fernanda Barreto

El liderazgo de Iván Duque en Colombia sigue siendo cuestionado consciente e inconscientemente. A casi cuatro meses de que asumiera el cargo, nadie parece tomar en serio su investidura. La burla masiva que produjo su comentario en la sede de la UNESCO, en París, donde relacionó los siete pilares de su propuesta económica con “los siete enanitos”, fue solo un síntoma más de la debilidad de su imagen.

Hace algunos días su propia vicepresidenta Marta Lucía Ramírez tuvo un lapsus y delante de las alcaldesas de todo el país olvidó el apellido de Iván, refiriéndose a él como “el presidente Uribe”, lo que ya ha sucedido al menos dos veces más en distintas alocuciones públicas del nuevo tren ejecutivo y que reafirma que es Uribe quien verdaderamente dirige la presidencia de ese país.

Colombia es un país en crisis. Mientras el número de líderes y lideresas populares asesinadas este año ya va acercándose a los trescientos casos totalmente impunes, las protestas estudiantiles por el bajo presupuesto asignado a las universidades públicas, se extienden por todo el territorio. Se comienzan a sumar al sector estudiantil los principales sindicatos y hasta artistas internacionales como Residente, quien anunció que dará su apoyo a estas protestas en sus próximas presentaciones en Cali y Bogotá.

Este ambiente, sumado a la altísima impopularidad que tiene en algo más de cien días de gobierno, le podría obligar a aplazar la pelea en el Congreso por la llamada “ley de financiamiento” que no es más que una reforma tributaria que se plantea universalizar el gravamen incluso a los alimentos de la canasta básica, mientras baja los impuestos a las grandes empresas del país.

El simple anuncio de este proyecto de ley fue clave en su descenso ante la opinión pública y sigue sin encontrar el consenso necesario en el Congreso colombiano, donde evidenció la estrategia uribista para levantar la imagen del propio Álvaro Uribe Vélez, quien mientras orienta a su delfín para que introduzca dicho proyecto, lanza críticas populistas sobre la afectación del impuesto a la canasta familiar y las pensiones bajas, pero nada dice sobre cómo esta ley beneficiará a las grandes empresas con reducciones tributarias y exenciones de hasta diez años.

Otra de las pantomimas con las que Duque y Uribe fingen desacuerdos -no estructurales- fue en su apoyo a la consulta anticorrupción que se hizo en agosto del año en curso y que no logró el mínimo de votos establecido para ser vinculante y, simplemente, no cambió nada. Pero el escándalo de corrupción vinculado a Odebrecht continúa salpicando al presidente del país vecino. Su respaldo expreso al Fiscal General, Néstor Humberto Martínez, quien es juez y parte de este caso y actualmente es señalado por la opinión pública como uno de los sospechosos en el asesinato del testigo principal sobre los financiamientos de Odebrecht al paramilitarismo y las campañas electorales, lo dejan muy mal parado. Mientras Uribe se limita a atacar al medio de comunicación que difundió las conversaciones que comprometen al Fiscal General de Colombia con el caso y con el asesinato de José Pizano, caso que por cierto investiga la fiscalía que él dirige.

Por otra parte, los procesos de paz son un rotundo fracaso. Así como se han ido incumpliendo los acuerdos firmados con las FARC en la Habana, ahora se ha dejado enfriar la mesa de diálogo con el ELN y el país continúa en franca guerra. El Estado colombiano que se alimenta de guerra también encontró en la supuesta paz una fuente de financiamientos y recién iniciado su mandato la propia presidenta del F.M.I., Cristine Lagarde, presionó al nuevo presidente para que se concrete este proceso que según dijo daría mayor tranquilidad a las instituciones y empresas multinacionales.

Colombia entonces se debate entre la derecha y la ultraderecha, entre intereses de la burguesía nacional y el narcotráfico, y los intereses transnacionales de distinta índole. No se logran acuerdos simples para la aprobación de leyes en el Congreso pero tampoco hay acuerdos entre la oligarquía colombiana para una acción militar contra Venezuela. En donde sí hay consenso es en continuar la guerra mediática, el parasitismo económico y, por supuesto, en hacer de la migración venezolana otra fuente de obtención de divisas para su gobierno, mientras los albergues en los que hacinan a venezolanos y venezolanas, son verdaderamente deplorables.

Tal como la primera medida diplomática del nuevo gobierno uribista fue el retiro de UNASUR, la próxima movida anunciada será la ruptura de relaciones diplomáticas con Venezuela a partir del 10 de enero del 2019, lo que le generará más afectación económica a Colombia que a Venezuela pero que, sin duda, reforzará la estrategia de hacer de Venezuela un enemigo externo que le sirva para continuar demandando divisas del gobierno de EE.UU. y organismos internacionales como ACNUR, y justificar el aumento del presupuesto militar en el 2019.

El cierre definitivo de la embajada de Colombia en Venezuela y sus representaciones consulares en el país, presionaría sobre todo a la gran mayoría de la inmigración colombiana en Venezuela que se sigue negando a retornar a su país de origen por razones que el régimen colombiano no se atreve a explicar, pero que podrían servir para fortalecer el año entrante, la matriz comunicacional de “la crisis de refugiados” que no han logrado sustentar hasta ahora con cifras reales.

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