Battaglia comunicativa: un nuovo scenario nella nostra lunga lotta

P. Santander https://elciervoherido.wordpress.com

Molto si parla, in questi tempi, della “battaglia comunicativa”. Indipendentemente dal fatto che abbiamo una nitida definizione del concetto, è evidente che, in questa fase della dominazione capitalista, la comunicazione svolge un ruolo di prim’ordine.

La destra cerca sempre di cambiare il rapporto di forze tra le classi; un modo è attraverso il campo della comunicazione. Sappiamo che i dispositivi di comunicazione -che includono media tradizionali, reti sociali, comunicatori, giornalisti, corporazioni mediatiche, correnti di opinioni, notizie false, ecc.- sono metodi e scenari di lotta che incidono sulle correlazioni di forza e nella battaglia di idee che si combatte in un contesto della lotta di classe.

In effetti, negli ultimi decenni siamo stati testimoni di come la dinamica mediatico-comunicativa si sia imposta in modo significativo sul politico, influenzando le relazioni di potere e, talvolta, anche determinando il legame tra politica e società. Media e potere oggi sembrano essere lo stesso campo di analisi.

E ora, in un contesto di (re) installazione di governi di destra nei paesi in cui governavano forze che -con sfumature ed accentuazioni diverse- ponevano in discussione il neoliberalismo, possiamo osservare che l’imperialismo ha trovato nell’uso del mediatico-comunicativo un meccanismo di restaurazione conservatrice. Sebbene, per rigore, sia un uso combinato: media e potere giudiziario. Parliamo di un media-lawfare; cioè, di un nuovo meccanismo di intervento golpista attraverso l’uso combinato del 3° e 4° Potere per la guerra sporca.

Si usa il potere giudiziario per perseguire, pregiudicare ed annullare gli oppositori politici, i casi di Lula in Brasile, Jorge Glas in Ecuador e Cristina Fernández in Argentina sono, in tal senso, paradigmatici. In parallelo, si impiegano i media e le reti per legittimare l’azione giudiziaria, per screditare i dirigenti e preparare il terreno alla persecuzione giudiziaria con accuse comunicativamente amplificate, che sono spesso false, ma grazie all’azione mediatica risultano verosimili.

Cosa hanno in comune il Terzo e il Quarto Potere? Sono i sistemi più lontani dal controllo sociale, ancor più dei poteri legislativo ed esecutivo. Il voto, il suffragio, le urne non giocano alcun ruolo nel caso dei tribunali e dei media, a differenza di quanto accade con gli altri poteri istituzionalizzati.

Con l’uso strumentale del sistema legale e mediatico, le forze reazionarie locali, sotto il comando dell’imperialismo, hanno intrapreso una battaglia che ha permesso loro di creare condizioni di possibilità per il loro ritorno all’amministrazione politica dello Stato.

In questo senso, l’ipotesi è che l’imperialismo abbia trovato, nel media-lawfare, un meccanismo di restaurazione. Un meccanismo di periodo. In ciò è la prima caratteristica dell’attuale battaglia comunicativa: dopo lo sgombero, della destra, dal potere esecutivo, grazie alla volontà e all’energia popolare, le forze reazionarie ora usano i due poteri più autonomi rispetto alla cittadinanza per strutturare un meccanismo golpista di ritorno. La battaglia comunicativa ha quindi quelle dimensioni materiali, non solo le simboliche o discorsive.

Ricordiamo che davanti all’avanzata delle opzioni popolari dopo la vittoria del presidente Hugo Chavez, alla fine degli anni ’90, i partiti tradizionali come Alleanza Democratica e COPEI in Venezuela, il Partito Social Cristiano dell’Ecuador, il Movimento Nazionalista Rivoluzionario in Bolivia, il PSDB del Brasile, ecc., hanno sofferto debacle elettorali, riconfigurando il sistema partitico in quei paesi. In questo quadro di sconfitte, il sistema mediatico, consolidato dal neoliberalismo nella decade dell’80, è stata la retroguardia strategica della destra. Ciò è stato possibile perché nonostante i trionfi dei governi popolari (progressisti, di sinistra?), nonostante le nuove costituzioni, nuovi attori sociali, nuovi discorsi, nuove legislazioni, ecc. a malapena sono state cambiate le relazioni media-Stato; e, tranne che in Venezuela e Bolivia, neppure sono state modificate le strutture del Potere Giudiziario (anche in queste dimensioni si sono evidenziati i limiti di progetti che non sapevano o non volevano realizzare cambi strutturali).

Poi, di fronte ad un momento di ripiego della destra, il sistema dei media ha accolto la malconcia struttura politica del blocco reazionario. Dal momento che si inizia a sfidare il modello neoliberale nel nostro continente, sono i media egemoni, e non i partiti, che iniziano ad esercitare la direzione politica ed ideologica della destra latinoamericana. I suoi media diventano il luogo da cui agiscono gli intellettuali organici dell’oligarchia, da cui viene esercitata la guerra di posizioni (minamento attraverso la lotta ideologica), da cui si recupera e si trasferisce alla capacità organizzativa perduta, e da cui si ri-generano i legami con la base sociale (il pubblico).

In questa fase di ripiego, i media egemonici hanno scatenato, giornalmente ed in maniera concertata, dosi di ideologia, menzogne, veleno e attacchi contro le forze progressiste che si sono andate decantando semioticamente e simbolicamente, permeando così una parte importante del pubblico. E’ questa la “fase cronica” della battaglia comunicativa e nella quale i media tradizionali (televisione aperta, a pagamento, radio, stampa) svolgono un ruolo di primo piano. E’ importante sottolineare che la strategia della destra è stata facilitata dagli errori di gestione, corruzione e scollegamento con le basi popolari che in molti casi hanno mostrato i governi anti-neoliberali e che sono serviti al processo di criminalizzazione dei governi popolari. Il minamento della legittimità non solo si spiega con variabili comunicative ed esterne al nostro campo, in questo senso, vale la pena non dimenticare che la prassi politica è una variabile importantissima per la potenziale creazione di immaginari.

In questo contesto, la destra comprende l’importanza vitale di sovrastrutture come il potere giudiziario ed il potere mediatico, e li cura come fortezze che permettono, nei momenti difficili, il ripiego prima e poi la generazione di condizioni di possibilità per l’assalto al potere. Quelle sovrastrutture, appena modificate dai governi progressisti, si curano come si curano le trincee in una guerra, poiché l’offensiva e il rovesciamento di qualsiasi alternativa popolare continua a rappresentare l’aspetto centrale.

Dalla fase cronica alla fase acuta della battaglia comunicativa

 

La tappa del ripiegamento della destra nella struttura mediatica è stata una fase di posizionamento, cioè di raggruppamento, fortificazione e, soprattutto, una fase di sistemazione al nuovo contesto caratterizzato dalla perdita del potere esecutivo e legislativo per mano di forze politiche di sinistra o progressiste.

Ma la destra ha la questione strategica molto chiara, il passaggio all’offensiva è sempre una questione di tempo. E se nella fase di posizionamento l’uso dei media tradizionali è stata fondamentale, nella fase offensiva l’uso delle reti sociali (in intensa combinazione con la lawfare) assume la massima importanza, soprattutto nei contesti di campagna elettorale, come lo abbiamo potuto vedere, quest’anno, in Brasile e, indubbiamente, lo vedremo nel 2019 in Bolivia ed in Argentina (dove già nel 2015 si è potuto vedere la mano di Duran Barba).

Nelle situazioni di campagne elettorali, la destra, in particolare l’estrema destra, ora sta scommettendo sulle reti (internet ndt) per l’offensiva elettorale, piuttosto che sui media tradizionali i cui livelli di discredito sono in aumento e la cui intermediazione ora non sempre è necessaria. Il modello di comunicazione politica punta alla costruzione di comunità, nodi digitali, casse di risonanza, viralizzazione, ecc.

È una tendenza che si inaugura nel 2008 con la campagna di Obama, il cui comando fa un uso politico-elettorale delle reti che segna un precedente. Poi abbiamo visto Trump, nel 2016, scommettere su Facebook (FB) come strumento elettorale prioritario, mettendo in scacco Hillary Clinton che aveva il supporto dei media tradizionali. E quest’anno il team di Bolsonaro ha fatto un uso sorprendente di WhatsApp (wsp) che ha fatto molto parlare.

Quindi dalla cosiddetta “fase cronica” della battaglia comunicativa, prima menzionata, ed in cui i media tradizionali hanno un ruolo centrale nella diffusione prolungata dell’ideologia si passa alla “fase acuta” il cui centro è l’azione delle reti sociale ed in cui si punta sull’effetto ipodermico e diretto della comunicazione. Entrambe le fasi si sommano. In ogni caso, chiariamo che la questione centrale non è che si usino le reti, è evidente che saranno utilizzate, il problema è il modo in cui si opera con esse: diffondendo menzogne, distruggendo simbolicamente la realtà, fabbricando distorsioni e disinformazione sistematicamente, acquistando illegalmente database, ecc.; e anche come la sinistra reagisce e dà battaglia in quel terreno.

Secondo ogni particolare contesto, viene scelta la rete sociale che sarà resa prioritaria. Negli USA è stata Facebook. Ha senso, la penetrazione di FB negli USA è molto più alta di quella di wsp: il 73% degli statunitensi usa quella rete, e questa è la loro più importante fonte di informazione. D’altra parte, con oltre 315 milioni di abitanti, solo 25 milioni utilizzano wsp.

La situazione è diversa in Brasile. Qui 93 milioni di persone -circa il 40% della popolazione- usa FB, mentre l’uso di wsp è molto più intenso ed esteso e raggiunge il 70%. Ci sono già diversi scandali associati a questa rete sociale, la cui efficacia politica era già stata dimostrata in situazioni precedenti. Dei poco più di 208 milioni di abitanti, circa 170 milioni possiedono cellulari, e come sottolinea uno studio di Celag, in Brasile il 90% di quegli utenti fa parte di uno o più gruppi di questa rete sociale, ciò che dinamizza la diffusione elettorale per tramite di questa via. In effetti, la sondaggista Datafolha ha riferito che il 40% degli elettori di Bolsonaro ha dichiarato di aver diffuso materiale di partito in gruppi di WhatsApp.

Con l’uso del wsp nella campagna di Bolsonaro è stato possibile raggiungere direttamente quello che alcuni considerano un’estensione cognitiva del nostro cervello: i cellulari. A poche cose, oggi, prestiamo maggiore attenzione che ai telefoni cellulari, abbiamo cambiato le nostre abitudini e costumi in funzione di questi dispositivi, gran parte della nostra privacy è contenuta in essi e ciò si riflette nella pratica che realizziamo con il suo uso. Così, è stato possibile attirare l’attenzione politica di molti indignati con il sistema e convertire in attivisti della campagna coloro che, in mezzo a loro disagio, condividono la propria disillusione per la democrazia neoliberale, diffidano dei media tradizionali, concordano che questo sistema serve solo alle élite e sono seccati del discorso politicamente corretto.

Sapere generare connessione discorsiva con questo grande esercito di individui irritabili, che sappiamo esistere nelle società neoliberali e saper politicizzare questa rabbia (come lo sta già facendo la destra), è una sfida politico-comunicativa chiave. In tale contesto, la destra ha dato a wsp un uso informativo e di campagna ad hoc. Sono passati così alla “fase acuta”: finanziamento irregolare, uso oscuro di banche dati, distruzione simbolica del reale, acquisto di numeri appartenenti a sistemi ufficiali di telecomunicazione di altri paesi (come Portogallo e USA); creazione ed amministrazione robotica di gruppi originari di wsp, sparate in massa, cavalli di troia, ecc. In questa fase si è concentrata tutta l’artiglieria, non solo quella di wsp (sebbene il suo ruolo sia stato fondamentale); si è anche operato da FB dove Bolsonaro aveva in campagna elettorale 7 milioni di seguaci e Haddad a malapena 1 milione; o Twitter, dove Bolsonaro ha, oggi, più di 2,6 milioni di follower, 5 volte più di Lula ed il doppio di Haddad.

Questa fase acuta dell’uso della comunicazione nel quadro della contro-offensiva reazionaria e delle campagne elettorali pone in sé molte sfide per le forze anti-neoliberali e che devono essere considerate nelle prossime tornate elettorali che vengono. L’elezione brasiliana è stata un laboratorio della destra e l’appreso sarà, indubbiamente,attuato nelle elezioni del prossimo anno.

La necessaria revisione e rielaborazione del pensiero critico che questa fase ci richiede deve includere anche la questione comunicativa. Come dice Araham Aharonian, non possiamo combattere contro l’intelligenza artificiale ed il big data con archi e frecce, né possiamo rifugiarci in discorsi che fanno appello ad una nostalgia immobilizzante ed acritica.

Nel 2019 l’America Latina vivrà elezioni presidenziali in sei paesi: El Salvador, Panama, Guatemala, Argentina, Uruguay e Bolivia. L’urgente necessità di un aggiornamento riguardante le nuove tecniche di comunicazione politica, un’analisi dell’uso politico di internet, delle sue fasi e del margine di manovra che abbiamo lì, le forze anti-neoliberali, nonché la costruzione di un know-how di sinistra sono prioritarie.

* Pedro Santander è Dottore in Linguistica presso la Pontificia Università Cattolica de Valparaíso, dove presiede il suo Capitolo Accademico. Fa parte del movimento Mueve America Latina


BATALLA COMUNICACIONAL: UN NUEVO ESCENARIO EN NUESTRA LARGA LUCHA

Pedro Saantander

Mucho se habla en estos tiempos de “la batalla comunicacional”. Independientemente de si se tenemos una definición nítida del concepto, es evidente que en esta etapa de la dominación capitalista lo comunicacional juega un rol de primer orden.

La derecha siempre intenta cambiar la relación de fuerzas entre las clases, una manera es a través del campo comunicacional. Sabemos que los dispositivos comunicacionales — que incluyen medios tradicionales, redes sociales, comunicadores, periodistas, corporaciones mediáticas, matrices de opinión, fake news, etc. — son métodos y escenarios de lucha que inciden en las correlaciones de fuerza y en la batalla de las ideas que se libra en un contexto de la lucha de clases.

Efectivamente, en las últimas décadas hemos sido testigos de cómo la dinámica de lo mediático-comunicacional se han impuesto de modo significativo sobre lo político, incidiendo en relaciones de poder, y a veces incluso determinando el vínculo entre política y sociedad. Medios y poder parecen hoy ser un mismo campo de análisis.

Y ahora, en un contexto de (re)instalación de gobiernos derechistas en países donde gobernaban fuerzas que — con matices y diferentes énfasis — cuestionaron al neoliberalismo, podemos observar que el imperialismo encontró en el uso de lo mediático-comunicacional un mecanismo de restauración conservadora. Aunque, en estricto rigor, se trata de un uso combinado: medios y poder judicial. Hablamos de un media-lawfare; es decir, de un nuevo mecanismo de intervención golpista mediante uso combinado del 3er y 4º Poder para la guerra sucia.

Se usa el poder judicial para perseguir, perjudicar y anular a los adversarios políticos, los casos de Lula en Brasil, Jorge Glas en Ecuador y Cristina Fernández en Argentina son, en ese sentido, paradigmáticos. En paralelo, se emplea a los medios y las redes para legitimar la acción judicial, para desprestigiar a los/las dirigentes y preparar el terreno de la persecución judicial con acusaciones comunicacionalmente amplificadas, que a menudo son falsas, pero que gracias a la acción mediática resultan verosímiles.

¿Qué tienen en común el Tercer y el Cuarto Poder? Son los sistemas más alejados del control social, más aún que los poderes legislativo y ejecutivo. El voto, el sufragio, las urnas no juegan rol alguno en el caso de los tribunales y de los medios, a diferencia de lo que ocurre con los otros poderes institucionalizados.

Con el uso instrumental del sistema jurídico y del mediático, las fuerzas reaccionarias locales, bajo el mando del imperialismo, han librado una batalla que les ha permitido crear condiciones de posibilidad para su retorno a la administración política del Estado.

En ese sentido, la hipótesis es que el imperialismo encontró en el media-lawfare un mecanismo de restauración. Un mecanismo de época. Es esta la primera característica de la actual batalla comunicacional: tras el desalojo de la derecha del poder Ejecutivo, gracias a la voluntad y energía popular, las fuerzas reaccionarias usan ahora los dos poderes más autónomos respecto de la ciudadanía para estructurar un mecanismo golpista de retorno. La batalla comunicacional tiene pues esas dimensiones materiales, no sólo las simbólicas o discursivas.

Recordemos que ante el avance de las opciones populares a partir del triunfo del Presidente Hugo Chávez a fines de los ’90, partidos tradicionales como Alianza Democrática y Copei en Venezuela, el Partido Social Cristiano de Ecuador, el Movimiento Nacionalista Revolucionario en Bolivia, el PSDB de Brasil, etcétera, sufrieron debacles electorales, reconfigurándose el sistema de partidos en dichos países. En ese marco de derrotas, el sistema de medios, consolidado por el neoliberalismo en la década del ’80 fue la retaguardia estratégica de la derecha. Esto fue posible porque a pesar de los triunfos de gobiernos populares (¿progresistas, de izquierda?), a pesar de nuevas constituciones, nuevos actores sociales, nuevos discursos, nuevas legislaciones, etc. apenas se cambiaron las relaciones medios-Estado; y, salvo en Venezuela y Bolivia, tampoco se modificaron las estructuras del Poder Judicial (también en estas dimensiones se evidenciaron los límites de proyectos que no supieron o no quisieron realizar los cambios estructurales).

Entonces, ante un momento de repliegue derechista, el sistema de medios acogió a la golpeada estructura política del bloque reaccionario. Desde que se comienza a impugnar el modelo neoliberal en nuestro continente, son los medios hegemónicos y no los partidos quienes comienzan a ejercer la dirección política e ideológica de la derecha latinoamericana. Sus medios se convierten en el lugar desde el cual actúan los intelectuales orgánicos de la oligarquía, desde el cual se ejerce la guerra de posiciones (socavamiento mediante lucha ideológica), desde el cual se recupera y transfiere a la capacidad organizativa perdida, y desde el cual se re-generan los vínculos con la base social (la audiencia).

En esa etapa de repliegue, los medios hegemónicos liberaron a diario y concertadamente dosis de ideología, falsedades, veneno y ataques contra las fuerzas progresistas que se fueron asentando semiótica y simbólicamente, permeando así a una parte importante de la audiencia. Es esta la “fase crónica” de la batalla comunicacional y en la cual los medios tradicionales (televisión abierta y de pago, radios, prensa) juegan un papel protagónico. Es importante insistir en que esta estrategia de la derecha se ha visto facilitada por los errores de gestión, corrupción y desconexión con las bases populares que en muchos casos han mostrado los gobiernos anti-neoliberales y que sirvieron para el proceso de criminalización de los gobiernos populares. El socavamiento de la legitimidad no sólo se explica por variables comunicacionales y externas a nuestro campo, en ese sentido, vale la pena no olvidar que la praxis política es una variable importantísima para la potencial creación de imaginarios.

En ese marco, la derecha comprende perfectamente la importancia vital de superestructuras como el poder jurídico y el poder mediático, y las cuida como fortalezas que permiten en tiempos difíciles el repliegue primero y luego la generación de condiciones de posibilidad para el asalto al poder. Esas superestructuras, apenas modificadas por los gobiernos progresistas, se cuidan como se cuidan las trincheras en una guerra, pues la ofensiva y el derrocamiento de cualquier alternativa popular sigue representando el aspecto central.

De la fase crónica a la fase aguda de la batalla comunicacional

La etapa de repliegue derechista en la estructura medial fue una fase de posicionamiento, es decir, de reagrupamiento, de fortificación y, sobre todo, una fase de acomodo al nuevo contexto signado por la pérdida del poder ejecutivo y legislativo a manos de fuerzas políticas de izquierda o progresistas.

Pero la derecha tiene la cuestión estratégica muy clara, el pasaje a la ofensiva siempre es cuestión de tiempo. Y si en la etapa de posicionamiento el uso de los medios tradicionales fue fundamental, en la etapa ofensiva el uso de las redes sociales (en intensa combinación con el lawfare) cobra la mayor importancia, más aún en contextos de campaña, como lo pudimos ver en Brasil este año y, sin duda, lo veremos el 2019 en Bolivia y en Argentina (donde ya el 2015 se pudo ver la mano de Durán Barba).

En situaciones de campaña la derecha, sobre todo la ultraderecha, está apostando hoy por las redes para la ofensiva electoral, más que por los medios tradicionales cuyos niveles de desprestigio han ido en aumento y cuya intermediación ya no siempre es necesaria. El modelo de comunicación política apuesta por la construcción de comunidades, nodos digitales, cajas de resonancia, viralización, etc.

Es una tendencia que se inaugura el 2008 con la campaña de Obama, cuyo comando hace un uso político-electoral de las redes que marca precedente. Luego vimos a Trump en 2016 apostado por Facebook (FB) como instrumento electoral prioritario, jaqueando a Hillary Clinton quien contó con el apoyo de los medios tradicionales. Y este año el equipo de Bolsonaro hizo un sorpresivo uso de WhatsApp (wsp) que ha dado mucho que hablar.

Entonces, de la llamada “fase crónica” de la batalla comunicacional antes mencionada y en la cual los medios tradicionales tienen un papel central en la diseminación prolongada de ideología, se pasa a la “fase aguda”en cuyo centro está la acción de las redes sociales y en la cual se apuesta por el efecto hipodérmico y directo de la comunicación. Ambas fases suman. En todo caso, aclaremos que la cuestión central no es que se usen las redes, es evidente que éstas se emplearán, el problema es el modo en que se opera con ellas: diseminando mentiras, destruyendo simbólicamente la realidad, fabricando distorsiones y desinformación sistemáticamente, comprando ilegalmente bases de datos, etc.; y también cómo la izquierda reacciona y da la batalla en ese terreno.

De acuerdo a cada contexto particular se elige la red social que se priorizará. En EE.UU. ha sido Facebook. Tiene sentido, la penetración de FB en USA es muy superior a la de wsp: el 73% de los estadounidenses usa esa red, y es ésta su fuente de información más importante. En cambio, con más de 315 millones de habitantes, apenas 25 millones usan wsp.

La situación es distinta en Brasil. Aquí 93 millones de personas — cerca de un 40% de la población — usa FB, mientras el uso de wsp es mucho más intenso y extenso y llega al 70%. Hay ya varios escándalos asociados a esta red social, cuya efectividad política ya se había probado en anteriores situaciones. De los poco más de 208 millones de habitantes unos 170 millones poseen celulares, y como señala un estudio de Celag, en Brasil el 90% de esos usuarios son parte de uno o más grupos en esta red social, lo que dinamiza la difusión electoral por medio de esta vía. De hecho, la encuestadora Datafolha dio cuenta que el 40% de los votantes de Bolsonaro declaró haber difundido material partidario por grupos de WhatsApp.

Con el empleo de wsp en la campaña de Bolsonaro se logró llegar directamente a lo que algunos consideran una extensión cognitiva de nuestro cerebro: los celulares. A pocas cosas le prestamos hoy más atención que a los teléfonos celulares, hemos cambiado nuestros hábitos y costumbres en función de esos aparatos, gran parte de nuestra intimidad está en ellos y ésta se refleja en la práctica que desplegamos con su uso. De este modo, se logró atraer la atención política de muchos indignados con el sistema y convertir en activistas de campaña a quienes, en medio de su malestar, comparten su desilusión con la democracia neoliberal, desconfían de los medios tradicionales, concuerdan de que este sistema sólo sirve a las elites y están aburridos del discurso políticamente correcto.

Saber generar conexión discursiva con ese amplio ejército de individuos irritables que sabemos que existen en las sociedades neoliberales y saber politizar esa rabia (como la derecha ya lo está haciendo) es un desafío político-comunicacional clave. En ese marco la derecha le dio a wsp un uso informativo y de campaña ad hoc. Pasaron así a la “fase aguda”:financiamiento irregular, uso opaco de bases de datos, destrucción simbólica de lo real, compra de números pertenecientes a sistemas oficiales de telecomunicaciones de otros países (como Portugal y EE.UU); creación y administración robótica de grupos originarios de wsp, disparos en masa, caballos de troya, etc. En esta fase se concentró toda la artillería, no sólo la de wsp (aunque su rol fue fundamental); también se operó por FB donde Bolsonaro tenía en campaña 7 millones de seguidores y Haddad apenas 1 millón; o Twitter donde Bolsonaro tiene hoy más de 2,6 millones de seguidores, 5 veces más que Lula y el doble que Haddad.

Esta fase aguda del uso de la comunicación en el marco de la contra-ofensiva reaccionaria y de campañas electorales entraña muchos desafíos para las fuerzas anti-neoliberales, y que deben ser considerados en las próximas contiendas electorales que se vienen. La elección brasilera fue un laboratorio de la derecha y lo aprendido será implementado, sin duda, en las elecciones del próximo año.

La necesaria revisión y reelaboración del pensamiento crítico que esta etapa nos demanda debe incluir también la cuestión comunicacional. Como dice Araham Aharonian, no podemos pelear contra la inteligencia artificial y elbig data con arcos y flechas, ni podemos refugiarnos en discursos que apelan a una nostalgia inmovilizadora y acrítica.

El 2019 América Latina vivirá elecciones presidenciales en seis países: El Salvador, Panamá, Guatemala, Argentina, Uruguay y Bolivia. La necesidad urgente de una actualización respecto de las nuevas técnicas de comunicación política, un análisis del uso político de internet, de sus fases y del margen de maniobra que tenemos ahí las fuerzas anti-neoliberales, así como la construcción de un know how de izquierda son prioritarios.

*Pedro Santander es Doctor en Lingüística de la Pontificia Universidad Católica de Valparaíso, donde preside su Capítulo Académico. Integra el movimiento Mueve América Latina

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