Nonostante i fallimenti, gli USA continuano l’offensiva contro il Venezuela

Aram Aharonian, Estrategia – http://aurorasito.altervista.org

Donald Trump, intrappolato nella propria crisi politica causata da molteplici indagini su corruzione, collusione con interessi stranieri ed ‘ostruzione della giustizia che potrebbero metterne in dubbio la legittimità, è intervenuto nella crisi venezuelana attraverso un piano sviluppato nelle ultime settimane con governi alleati ed opposizione venezuelana, coordinata ai massimi livelli a Washington.

Ma mentre il colpo di Stato avanza e Trump doveva abdicare per avere i 5700 milioni di dollari per costruire il “suo” muro sul confine meridionale col Messico per rompere la chiusura amministrativa, Venezuela e Stati Uniti stabiliranno un Ufficio d’interessi in ogni capitale dopo la rottura del relazioni bilaterali, che possono trattare le procedure di immigrazione e altre questioni di interesse bilaterale nel rispetto del diritto internazionale. In vista di questo obiettivo, il Venezuela comunicava di aver autorizzato la permanenza del personale rimanente di ciascuna missione, che durante il periodo concordato (30 giorni) continuerà a essere protetta da prerogative diplomatiche. Come il colpo di Stato, due eventi politici avvenuti quasi simultaneamente, evidentemente concordati coi fattori determinanti, non consentono di sapere quale sarebbe stato il primo, se l’autonomina di Guaidó o le garanzie del riconoscimento immediato offerte dagli Stati Uniti. “Che si tratti di un nuovo tipo di golpe sperimentato dagli Stati Uniti o di uno in corso, ciò che è vero è che c’è un colpo di Stato (monco, incompleto), dato che non sono riusciti a rovesciare il governo legittimo e costituzionale che Maduro presiederà fino al 2025 “, dice il direttore di Últimas Noticias Eleazar Díaz Rangel. Se un accordo non viene raggiunto entro il periodo perentorio di trenta giorni, entrambe le missioni cesseranno le attività ed entrambi gli Stati procederanno a designare l’entità a cui ciascuno sceglierà di affidare i rispettivi interessi, il resto del personale dovrà lasciare il territorio di ciascun Paese entro settantadue ore dopo la scadenza di detto periodo.

Il Venezuela vive momenti di incertezza ma anche di indignazione per quello che è successo. Nonostante appelli e tentativi di dialogo, nel breve termine tale strategia sarà sconfitta. La realtà virtuale mostrata dai grandi media egemonici aziendali (grandi marce, resistenza al governo) è lontana dalla realtà. Lo scontro sembra essere balzato nella delicata fase delle violenze (ancora contenute), sia per ragioni interne che per interferenze estere. In questi momenti così gravi, nessuno può essere indifferente, o praticare l’indignazione passiva da superiorità critica, o sfuggire o negare la propria responsabilità politica, così come le conseguenze delle proprie azioni, afferma la sociologa Maryclean Stelling.

La strategia dei settori politici dell’opposizione che accettano che “non ci sia alternativa”, scommettendo irresponsabilmente su sbocchi violenti promossi dall’estero, è molto seria; sostenendo un colpo di Stato, promuovono la guerra civile e desiderano ardentemente l’invasione. Ma è ugualmente pericoloso ricoverarsi comodamente nella cultura dell’indifferenza nei confronti del pubblico, e banalizzare la politica come legge di vita o di sopravvivenza, basata sul disprezzo dell’altro e dei presunti “perdenti”. Il nemico non è necessariamente estero o è sintetizzato dall’avversario politico. Anche il nemico è in casa e questo ha portato a deterioramento di legittimità, credibilità, speranza e fiducia, aggiungeva la prestigiosa sociologa. Di fronte alla profonda crisi di natura molteplice, sono state imposte la logica economica e la logica transmediale altamente invasiva che ha colonizzato lo spazio pubblico. La crisi attraversa premeditatamente i confini nazionali e raggiunge dimensioni geopolitiche, complicando la situazione interna e la sua soluzione, lasciando la sensazione di essere nelle mani di potenze straniere e non dei venezuelani.

Il piano Pompeo-Abrams
Il regime di Donald Trump, intrappolato nella propria crisi politica causata da molteplici indagini su corruzione, collusione con interessi stranieri ed ostruzione della giustizia che potrebbero metterne in dubbio la legittimità, interveniva nella crisi venezuelana attraverso un piano sviluppato nelle scorse settimane coi governi alleati e l’opposizione venezuelana, coordinati ai vertici di Washington. Per continuare con tale piano contro il governo costituzionale di Caracas, il segretario di Stato Mike Pompeo nominava emissario per ripristinare la democrazia un veterano dell’interventismo: Elliot Abrams, una delle figure centrali dello scandalo noto come Iran-Contra durante la presidenza di Ronald Reagan, ed accusato di nascondere informazioni al Congresso su quell’iniziativa illegale per trasferire fondi dalle vendite di armi segrete ai contras in Nicaragua (ricevendo la grazia presidenziale). Abrams era anche la chiave nella politica interventista a sostegno dei regimi in Salvador e Guatemala e ai loro squadroni della morte, giustificando o negando le gravi violazioni dei diritti umani. Anni dopo ricoprì alte cariche nelle relazioni estere come consigliere di George W. Bush. Durante quel periodo seppe e inviato messaggi di sostegno al tentativo di colpo di stato contro Hugo Chávez nel 2002, secondo The Observer quell’anno. Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov denunciava che la politica degli Stati Uniti nei confronti del Venezuela, così come di altri Paesi, è così distruttiva che non ha bisogno di prove… chiedendo apertamente la rivolta davanti a tutti. Azioni inammissibili che minano i principi della Carta delle Nazioni Unite (ONU). L’agenzia di stampa AP raccontava l’epopea del cowboy Guaidó, che si recò a metà dicembre, di “nascosto” a Washington, Colombia e Brasile, “scivolando illegalmente oltre il confine con la Colombia”, per informare i funzionari sulla strategia dell’opposizione delle manifestazioni di massa in coincidenza col giuramento previsto di Maduro per il secondo mandato, il 10 gennaio, secondo l’ex-sindaco di Caracas (fuggito in esilio) Antonio Ledezma. Le lunghe sessioni dei messaggi crittografati diventavano la norma, aveva detto Ledesma, una routine usata per comunicare con il mentore politico di Guaido e Leopoldo López (agli arresti domiciliari, accusati di essere la mente del terrorismo di strada del 2014). “Questa è la prima volta in almeno cinque anni che l’opposizione dimostrava capacità di unirsi in modo significativo”, aveva detto un alto funzionario canadese all’AP, che ovviamente non rivela la sua fonte (se presente). La decisione di affrontare direttamente Maduro fu possibile solo grazie al forte sostegno dell’amministrazione Trump, che guidava un coro di governi latinoamericani per lo più conservatori che immediatamente riconoscevano Guaido. “Trump personalmente ne è il maggiore colpevole”, aveva detto Frnando Cutz, ex-consigliere della sicurezza nazionale per l’ America Latina del presidente Barack Obama e di Trump e ora del gruppo Cohen, società di consulenza di Washington. “Letteralmente, in ogni interazione che ha avuto coi capi latinoamericani dal suo insediamento, cita il Venezuela. Questo ha forzato molte mani”. Il Ministro della Comunicazione, Jorge Rodríguez, mostrava il 25 gennaio, un video come “prova” dell’incontro tenuto da Juan Guaidó, autoproclamatosi presidente del Venezuela, col Presidente dell’Assemblea nazionale costituente Diosdado Cabellos, e il coordinatore del CLAP Freddy Bernal, all’ingresso dell’Hotel Lido. Disse che l’opposizione “mente” nell’ambito della guerra psicologica. “Tale operazione che ha generato falsi positivi, guerra psicologica, invisibilità non è altro che un’enorme bugia (…) Non possono sostenere la menzogna che hanno presentato al Paese e al mondo”, aveva detto.

Un falco bugiardo e condannato
Il capo della diplomazia nordamericana e ex-direttore della CIA, Mike Pompeo, nominava Elliott Abrams emissario per “ripristinare la democrazia” in Venezuela. Abrams, un diplomatico che lavorò coi presidenti repubblicani Ronald Reagan e George W. Bush, viene ricordato per essere stato condannato nello scandalo Iran-Contra nel 1985-86, mentre serviva Reagan, ma fu graziato da George HW Bush. La nomina di Abrams deprimeva gli analisti a Washington: Trump ne rifiutò la candidatura nel 2017 come sottosegretario di Stato, non a causa del passato criminale, ma dopo aver appreso che l’aveva criticato. È ferocemente filo-israeliano e come assistente consigliere per la sicurezza nazionale nel governo di George W. Bush fu determinante nella politica mediorientale di Washington, compreso il sostegno all’invasione statunitense dell’Iraq. Abrams è uno dei membri del Think Tank neoconservatore Progetto per il nuovo secolo americano, campione della supremazia nordamericana e pianificazione della guerra in Iraq. E se gli mancava qualche macchia, è anche direttore della National Foundation for Democracy (NED), finanziere delle operazioni di destabilizzazione dell’opposizione venezuelana, ma anche nicaraguense, boliviana e cubana. Pompeo aveva detto che il primo compito di Elliot sarà accompagnarlo alla riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU per cercare di ottenerne il riconoscimento dell’autorità di Guaidó. “Non sarei sorpreso se finisse per viaggiare per la regione”, minacciava il segretario di Stato.

*Giornalista e massmediololgo uruguaiano. Master in Integrazione. Fondatore di Telesur. È presidente della Fundación para la Integración Latinoamericana (FILA) e dirige il Centro latinoamericano per l’analisi strategica (CLAE)

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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