Jesus Faria: “L’attacco imperialista all’economia del Venezuela”

di Geraldina Colotti

Jesus Farias è un quadro politico di lungo corso, proveniente dal Partito Comunista venezuelano. E’ stato tra i fondatori del PSUV e oggi fa parte della direzione del partito. Economista di formazione, ha ricoperto numerosi incarichi di governo ed è stato eletto nell’Assemblea Nazionale Costituente. Nel suo libro La economia politica de la transición al socialismo analizza in una prospettiva marxista-leninista le principali sfide di un cambiamento che ha messo al centro “il popolo lavoratore” come principale soggetto della transizione.

Un libro del 2014, che indica la porta stretta per cui deve passare la ricerca di un’alternativa al capitalismo in assenza di una rivoluzione di stampo novecentesco (la quale, ovviamente, ha consegnato a questo secolo molte altre questioni aperte). Questa intervista è stata realizzata in parte a Caracas e in parte per telefono, dopo il precipitare degli accadimenti e il colpo di stato in corso in Venezuela.

Gli USA di Trump sono scesi in campo apertamente contro il governo bolivariano. Come si è arrivati a questo attacco frontale?

E’ in marcia un nuovo golpe e il Venezuela è di nuovo la vittima. In questi venti anni abbiamo subito un’aggressione costante, che per momenti ha raggiunto picchi molto critici all’interno di uno scontro sistemico, tipico di tutte le rivoluzioni di liberazione nazionale contro l’imperialismo. Questo nuovo tentativo in cui si pretende usurpare la presidenza della repubblica per ordine e finanziamento diretto di Washington, aumenta di peso in un contesto latinoamericano nel quale si sono modificati i rapporti di forza a favore dell’imperialismo e nel quale esiste anche un forte appoggio di molti paesi europei all’aggressione contro di noi: anche se sappiamo che alcuni governi, come la Grecia per ora non si sono piegati e che anche in Italia vi sono resistenze. Un attacco in crescendo dispiegato su molteplici fronti: sul piano diplomatico, con l’uso di organismi internazionali creati apposta, come il Gruppo di Lima o attraverso L’OSA e con i tentativi di attivare anche l’ONU contro la sovranità del nostro paese; sul piano comunicativo, attraverso una feroce offensiva dei media internazionali e di quelli privati sul piano interno; sul fronte economico-finanziario con le sanzioni, il bloqueo e la speculazione dei grandi gruppi economici; sul piano ideologico mediante una battaglia colossale per distorcere la realtà e proiettare del nostro paese e del governo l’immagine di una tirannia che opprime il popolo e lo castiga duramente con misure economiche fallimentari. Per dividere e sfiancare la lotta del nostro popolo si è imposta una durissima guerra economica che ha provocato un pesante impatto sulla qualità della vita della popolazione. Condizioni di cui l’imperialismo vuole approfittare per far cadere il governo, sconfiggere le forze chaviste e rimettere la mano sulle risorse del paese.

Che cosa può accadere?

Nella situazione attuale, le forze imperialiste stanno cercando di spostare sempre più in alto la barra, alzando il tono e il livello del conflitto attraverso ulteriori sanzioni e ricatti e minacce sempre più dirette di un intervento militare Usa. E possono metterle in pratica. Nel frattempo, stanno cercando di acuire le divisioni interne al chavismo, per spostare i rapporti di forza a loro favore e creare sfiducia mediante la diserzione interna di importanti leader della rivoluzione bolivariana. Puntano anche a dividere la Forza Armata Nazionale Bolivariana per rendere effettivo il golpe. Tutto questo avviene sotto una enorme, gigantesca, pressione mediatica, diplomatica, finanziaria, psicologica organizzata dagli Stati Uniti. Se questo piano fallisce o viene ritardato, manterranno quella pressione a livello internazionale e la eserciteranno al massimo a livello interno organizzando costanti mobilitazioni dell’opposizione – tutt’altro che pacifiche – e alimentando il malessere della popolazione con l’aumento dei prezzi speculativi, l’accaparramento dei prodotti, il traffico di divise eccetera.

Quali sono state finora le risposte e le contromisure del governo?

La FANB si è già espressa a favore di Nicolas Maduro e a difesa della Costituzione: nello spirito indomito dei libertadores e in continuità con quello di Hugo Chavez. Abbiamo un movimento popolare più coeso che mai con il Partito Socialista Unito del Venezuela e con il suo presidente legittimo, Nicolas Maduro. C’è un arco di forze politiche alleate nel Gran Polo Patriotico. Come sempre nei momenti di difficoltà, il nostro popolo è in mobilitazione permanente per difendere la propria dignità e le conquiste realizzate. Loro cercano la guerra, noi la pace con giustizia sociale. Stiamo coordinando una controffensiva a livello comunicativo, a livello diplomatico. Soprattutto, stiamo moltiplicando gli sforzi per riordinare la nostra economia, per riattivare la capacità produttiva e far retrocedere la speculazione che fa schizzare i prezzi in modo criminale. In questi vent’anni abbiamo dimostrato quel che siamo capaci di fare per preservare la nostra rivoluzione, grazie anche all’appoggio dei movimenti sociali, partiti politici che simpatizzano o appoggiano la rivoluzione nelle altre parti del mondo. Anche in questo momento, soprattutto in questo momento delicatissimo, ringraziamo l’appoggio delle organizzazioni popolari, delle nazioni e dei governi che non si sono piegati ai voleri di Washington e che sono uno stimolo per la nostra lotta.

“Il socialismo – hai scritto nel tuo libro – è l’unica alternativa all’immensa minaccia rappresentata dall’egemonia imperialista”. Nei paesi capitalisti, invece, anche la sinistra si è convinta che non ci siano alternative. Di quale socialismo si può parlare oggi in Venezuela?

Intanto, bisogna ricordare la lezione di Lenin: ogni paese costruisce il suo modello di socialismo nel suo contesto, in determinate condizioni storiche. Il socialismo bolivariano si fonda su un insieme di fattori quali la giustizia sociale, la partecipazione popolare, la creazione di istituzioni partecipate, l’indipendenza della patria, i valori dell’umanesimo nel funzionamento della società e ovviamente sullo sviluppo delle forze produttive. In questo modello concepiamo l’economia come una economia mista in cui lo stato dirige lo sviluppo della nazione e la distribuzione della ricchezza per la grande maggioranza delle persone, ma anche il settore privato può giocare un ruolo importante nello sviluppo delle forze produttive, nella generazione della ricchezza. Naturalmente vi sono contraddizioni tra questi due settori, ma per come è configurato il mondo a livello globale oggi, dopo la caduta dell’Unione sovietica, pensiamo si possa avanzare verso il socialismo anche aprendo uno spazio al capitale privato, da affiancare ad altre forme di proprietà sociale. Non vogliamo copiare nessun modello, ma osserviamo la Cina, il Vietnam… In venezuela non c’è il socialismo, ma un incipiente esperimento di transizione al socialimo. Un socialismo che non è in alternativa al mercato, ma al libero mercato dominato dalle corporazioni: è in alternativa al capitalismo, all’imperialismo che sfrutta la ricchezza naturale e i popoli del mondo, è una alternativa al neoliberismo e al capitalismo. Quel che chiamano sinistra in Europa, ossia i vecchi partiti socialisti e socialdemocratici sono in una gravissima crisi perché hanno abbandonato la difesa degli interessi dei settori popolari, e si sono persi, finendo per identificarsi con la visione delle forze conservatrici e della destra. E da qui la grande crisi della sinistra socialdemocratica e riformista. Noi crediamo in un sistema nel quale si imponga una visione socialista della distribuzione della ricchezza e condizioni nelle quali partecipino alla produzione molteplici attori, ma dove i fattori tipici del capitalismo non abbiano il sopravvento.

Il nemico vuole conquistare il potere politico per avere il potere economico al servizio degli interessi del capitale. Il nostro interesse è inverso: conquistare il potere politico per sviluppare le forze produttive affinché la società possa svilupparsi in modo sostenibile sulla base della giustizia sociale.

Per una parte del chavismo, anche all’interno dell’Anc, in quello spazio lasciato aperto al settore privato si stanno incuneando elementi che possono riportare il modello a quello della IV Repubblica, e far perdere il controllo delle risorse e della moneta.

La rivoluzione è un’arte, un processo complesso in cui si devono combinare diversi fattori per non perdere tutto. Misurarsi con la realtà, con la materialità dei rapporti di forza, analizzare le condizioni concrete, oggettive e soggettive, in cui si deve avanzare o retrocedere non significa affatto arrendersi al nemico come qualcuno vorrebbe far credere in base all’umore del momento. La nostra rivoluzione avanza e si consolida, resiste agli attacchi e riprende con politiche di alleanze non facili per disegnare una strategia adatta, senza sopravvalutare le nostre forze o sottovalutare quelle del nemico. La situazione economica è sommamente complessa, determinata da un insieme di fattori che agiscono per azzerare il cammino d’indipendenza intrapreso: sanzioni, attacco alla moneta, bloqueo economico e finanziario, speculazione galoppante dei grandi monopoli, contrabbando di estrazione finanziato dal narcotraffico e l’eredità di un modello redditiero instaurato negli anni ’20 del secolo scorso e che ha fatto il suo tempo. La crisi provocata da questi fattori si traduce nell’altissimo livello di inflazione, nella caduta della produzione, nella scarsità di prodotti essenziali per il consumo e per il funzionamento dell’economica, e un impatto pesante sulla popolazione. A differenza di quanto avviene nei paesi capitalisti, il governo ha fatto e continuerà a fare tutti gli sforzi possibili per proteggere i settori popolari aumentando il salario e le garanzie. E il recupero economico è il nostro più urgente obiettivo. L’imperialismo lo sa, conosce le ferite che egli stesso ha aperto e infettato e cerca di inserirsi nei punti deboli – nei nostri errori, anche – cercando di far esplodere le contraddizioni e scalzare la rivoluzione bolivariana.

Il controllo politico, che voi in gran parte avete, può essere disattivato da quello economico se non se ne controllano i meccanismi. Cosa state facendo al riguardo?

Politica ed economia sono strettamente intrecciate, la politica è un’espressione della regolazione di potere nel campo economico e l’economia domina in buona misura lo svolgimento della politica. Possiamo dire che la politica sia la risultante di molti interessi economici che agiscono da diversi punti di vista e che non la rendono libera da conflitti e contraddizioni. Dal potere politico non deriva meccanicamente l’armonia economica. Nel nostro caso abbiamo il controllo politico, buona parte di quello economico, tuttavia siamo circondati dal capitalismo in un mondo profondamente globalizzato in cui l’imperialismo sta impiegando risorse gigantesche per destabilizzare la rivoluzione bolivariana. L’imperialismo vuole il potere politico per dominare l’economia, e la lotta per impedirlo si svolge su molti fronti, in cui è importante mantenere le posizioni perché questo ha una influenza generale. Il punto principale, per noi, adesso è generare ricchezza per far ripartire l’economia su basi solide, con efficienza e razionalità perché nessuna rivoluzione si consolida nel caos. Il piano economico presentato dal governo è serio e adeguato. Al primo punto c’è la ricerca di divise da iniettare nell’economia per farla ripartire: a cominciare da quella petrolifera, principale fonte di ricchezza per noi. Qualunque stato quando ha bisogno di divisa, si indebita sul mercato internazionale. A noi questo è precluso per via delle sanzioni. Dobbiamo attrarre gli investitori offrendo condizioni favorevoli per generare liquidità da investire nell’industria, nella grande come nella piccola produzione. Quando chiedi a una fabbrica tessile perché ha chiuso i battenti o ha rallentato, ti viene risposto: per la mancanza di materia prima che non si produce in Venezuela o che non possiamo produrre perché non possiamo comprare quello che ci manca. E qui i dogmi non servono. La soluzione non è avere 100% di imprese statali, non è statalizzare tutta l’economia, le imprese dello stato di per sé non fanno il socialismo, il socialismo lo costruisce il potere popolare. Se la unica possibilità di ripresa è associarsi con il capitale privato, dobbiamo farlo, proprio per salvare i nostri principi e il nostro progetto di società.

In tutti questi anni, però, una borghesia parassitaria ha preferito speculare che investire. Fiumi di denaro sono stati portati nei paradisi fiscali, e altri miliardi sono stati sottratti dalla corruzione. Quali garanzie si possono avere che questo nefasto trend non continui? E non si dovrebbe obbligare i responsabili a restituire il maltolto?

La corruzione e la inefficienza hanno radici profonde, che dobbiamo assumere in modo autocritico ma che si alimentano della natura stessa del capitalismo. Dobbiamo combatterle con la formazione, con l’etica e con regole da far rispettare per un nuovo ordine economico. Abbiamo gli anticorpi per farlo, una grande forza morale che proviene dalla figura di Chavez che è stata interiorizzata dal popolo. Stiamo perseguendo la corruzione in PDVSA e in altri organismi dello stato. La logica parassitaria, purtroppo, colpisce tutta la nazione, anche lo Stato e dobbiamo spingere per una profonda riforma culturale. Quanto a recuperare il denaro rubato, non è facile, non abbiamo i mezzi per farlo. E intanto, abbiamo urgenza di razionalizzare la produzione per mantenere i piani sociali, verificando quali progetti sono serviti e quali no e imporre i giusti correttivi. Dobbiamo stabilizzare il mercato cambiario, aumentare le nostre difese, altrimenti come avviene nell’organismo, appena arriva un virus ti atterra. Uno degli elementi è l’aumento del prezzo della benzina che da noi è praticamente gratuita ed è un invito al traffico illecito oltre frontiera, che rende più di quello della droga. Il socialismo deve stimolare lavoro e pianificazione, con razionalità e rigore anche nell’impiego delle risorse. A volte, per risolvere un problema, sul medio periodo abbiamo finito per provocarne altri perché non siamo i soli ad agire, il nemico si dedica a depotenziare ogni correttivo. Se non sviluppiamo le forze produttive, non possiamo farcela. Il piano economico prevede un equilibrio nei conti, tra l’altro facendo pagare di più l’IVA a chi ha più ricchezza per lasciare liberi da tassazione i prodotti di prima necessità e i servizi basici, in senso contrario ai piani di aggiustamento economico del capitalismo. Ma se non troviamo le risorse produttive con cosa li finanziamo i piani sociali? Immettere denaro inorganico si rivela un boomerang. Ogni misura vale per il contesto, e così è stato per il controllo cambiario. Io ho lavorato a CADIVI, la Commissione Nazionale di Distribuzione di Divise, istituita per regolare con oculatezza la vendita dei dollari a prezzo agevolato nel nostro paese in cui vige il bolivar. Purtroppo, nell’organismo ha prosperato una rete di corruttela. La magistratura è sommersa da processi per grandi truffe. Bisogna trovare un altro sistema, come ha stabilito il nuovo piano economico presentato dal presidente Maduro: con il quale stiamo prendendo di petto l’iperinflazione in quei fattori che favoriscono la dollarizzazione mascherata nel mercato parallelo, perché se il bolivar perde sempre più di valore, c’è chi va a cercare altre monete forti con cui fare affari. Lenin diceva che l’inflazione è più pericolosa dell’imperialismo. Siamo di fronte a una svolta. Ma, come disse mio padre, un operaio petrolifero comunista, appena uscito dal carcere della IV repubblica: “la mia direzione non cambia. Sarà così fino alla morte”.

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