Il Venezuela, un caso di scuola nel terzo millennio

di Geraldina Colotti

Il Venezuela comunque farà storia, sia che le condizioni avverse lo sovrastino come vorrebbe l’imperialismo, sia che riesca a passare per questo imbuto tremendo. Nel primo caso, si innescherebbe una situazione dalle conseguenze incalcolabili, per il continente e non solo. Dalle zone di frontiera, verrebbe innescato quel processo di balcanizzazione che rientra tra i principali assi del “caos controllato” voluto dal Pentagono. Il Venezuela sarebbe il nuovo Vietnam degli Stati Uniti. Trump ha già annunciato che, dopo, toccherebbe al Nicaragua, e a seguire Cuba e la Bolivia.


Nel secondo caso, la discesa in campo aperta e sfacciata da parte dell’imperialismo USA e dei suoi satelliti sarà stata la prova maestra per nuove modalità di conflitto a livello globale, per la ridefinizione di un nuovo ordine economico.

Da ora in poi, chiunque riesca a portare alla vittoria un arco di forze veramente alternativo al capitalismo, dovrà assumersi quel livello di conflitto, quel livello di aggressione, dentro e fuori il paese, un livello di pressione continua che approfitterà di ogni spiraglio per incunearsi e creare voragini. Lo si era già visto parzialmente con la Grecia, che aveva abbassato la testa prima, cedendo alle minacce della Troika.

Il Venezuela, invece, non ha intenzione di inginocchiarsi e, se riesce a farcela, manterrà una speranza aperta per chi ci voglia riprovare: “Siamo nell’epicentro geopolitico come 200 anni fa”, ha detto con ragione il ministro degli Esteri, Jorge Arreaza. Comunque sia, il Venezuela sarà un caso di scuola.

Un esempio di quanto abbia fatto esperienza il laboratorio bolivariano nel campo della “diplomazia di pace”, navigando nel campo del nemico con lo spirito del Calibano nero. Un esempio nell’arte di spezzare l’assedio dividendo il nemico, sfruttandone a proprio vantaggio ogni contraddizione.

Un atteggiamento a volte difficile da accettare per chi vorrebbe prendere la scorciatoia. Ma, intanto, a fronte di una soglia critica raggiunta, si è riusciti a incrinare il fronte di chi, anche nell’Unione Europea, proprio non ce l’ha fatta a dare l’appoggio esplicito all’invasione armata, malamente camuffata da “aiuto umanitario”. Gli aiuti arriveranno ma nell’ambito degli scambi che già esistono con gli organismi deputati a farlo, ha detto il governo bolivariano. E’ un livello accettabile da cui si può ripartire.

La figura del presidente legittimo, Nicolas Maduro, ha intanto svestito di ogni orpello disneyano il pagliaccio di Trump, Guaidó, lasciandolo alla sua ricerca affannosa di truppe da arruolare a suon di dollari e di menzogne. Vi sono dei momenti – si potrebbe dire – in cui “chi non è con me è contro di me”, ma altri in cui “chi non è contro di me, è con me”. In questo momento, la priorità è quella di respingere il fronte bellicista delle destre più incarognite.

Si può provare a vincere – dice il socialismo bolivariano – senza accettare il terreno imposto dall’avversario, cercando il dialogo ma senza cedere sui principi: sottraendosi ma senza fuggire, si direbbe in questa “pensosissima” Europa, dove su questi temi si scrivono pagine e pagine, senza vederne però i risvolti concreti.

La forza del capitalismo e del suo potere economico, che si basa sullo sfruttamento del lavoro, sta nella sua capacità di presentarsi come astratto e necessario, attraverso la feticizzazione del mercato nel quale vengono codificate le relazioni umane. La grande concentrazione monopolistica dell’informazione rende ardua la possibilità che passi un’altra versione da quella dominante, utile a distinguere gli amici dai nemici e consentirci di scegliere da che parte stare. Il Venezuela bolivariano squarcia quella cortina di fumo.

Invece, in queste “democrazie” in cui il popolo vota ma a decidere è sempre il capitale, dove tutto sembra possibile ma non è per tutti, la scena è occupata dai cosiddetti “uomini forti” allo stile di Trump, che non vogliono buttare all’aria il tavolo, ma solo cambiare le carte, o i giocatori. Non c’è niente di più pericoloso per i loro interessi che l’esistenza concreta di una via alternativa in cui il voto non è un feticcio da “cretinismo parlamentare” , però vale. E non si cambia neanche quando non conferma i gusti delle classi dirigenti.

Nel gennaio del 2018, durante il foro di Davos, l’allora presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni (di centro sinistra), disse chiaramente a Trump: “Il quadro può essere corretto, ma non cambiato”.

Per tenere in piedi la grande menzogna secondo la quale non esistano alternative al capitalismo, si allestisce allora uno scenario globale in grande stile. Con le reti sociali, si attizzano le emozioni piuttosto che la ragione. Si capovolgono i significati. Uno dei posti più poveri della Colombia, come la città di Cucuta, al confine del Venezuela, diventa così il fulcro degli “aiuti umanitari”… da destinare al Venezuela e non alle popolazioni locali. Uno degli stati più criminogeni e narcotrafficanti, come gli Stati Uniti, si trasforma in esportatore di ideali e di democrazia, e mette sotto accusa il governo bolivariano in quanto “corrotto e narco-terrorista”…. Un tizio che nessuno ha eletto pretende di smontare le istituzioni di un paese e azzerarne vent’anni di storia. Un pugno di voraci oligarchi si presenta come liberatore…

Fare del Venezuela e del socialismo la quintessenza della minaccia, serve a far credere che esista ancora una “democrazia” da difendere, seppur con qualche correttivo. Serve a nascondere il fallimento sia della globalizzazione basata su un presunto “capitalismo inclusivo”, sia del modello chiuso e autoritario dei “miliardari arrabbiati”.

Scriveva Marx nel I Libro del Capitale a proposito dell’accumulazione capitalista: “Il Capitale aborre la mancanza di profitto o il profitto molto esiguo, come la natura aborre il vuoto. Quando percepisce un profitto ragionevole, è orgoglioso, al 20% è entusiasta, al 50% è spericolato, al 100% distrugge tutte le leggi umane e al 300% non si ferma davanti a nessun crimine. Se il tumulto e le liti portano profitto, incoraggerà l’uno e le altre”.

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