Quando la destra rimane senza carte

Marco Teruggi www.cubadebate.cu

Gli USA hanno convocato, per la terza volta da gennaio, una riunione del Consiglio di Sicurezza ONU per affrontare la questione Venezuela. Il loro obiettivo, questa volta, era ottenere che Juan Guaidó fosse riconosciuto come presidente ad interim del paese. L’obiettivo è stato posto dal vicepresidente USA Mike Pence, come primo governo a prendere la parola: “è giunto il momento che le Nazioni Unite riconoscano Guaidó come legittimo presidente del Venezuela, e sieda il suo rappresentante in questo organo”.

La diagnosi su cui ha costruito la sua richiesta è stato il riconoscimento dell’Assemblea Nazionale come unica istituzione legittima e Guaidó come presidente fino a nuove elezioni. Su ciò ha tracciato la narrativa su cui cercano appoggiarsi gli USA per giustificare i suoi nuovi attacchi: “Il Venezuela è uno Stato fallito, come la storia ci insegna gli Stati falliti non hanno limiti: terroristi, trafficanti di droga ed anche Hezbollah stanno approfittando per stabilirsi lì”. Entrambi gli argomenti erano noti.

Proprio come era prevista che questa sarebbe stata la posizione USA, anche altre decisioni di governi sembravano essere definite come nelle precedenti riunioni. Tale è stato il caso della Federazione Russa, che, attraverso il suo ambasciatore al Consiglio, Vasily Nebenzia, si è opposto alla “ingerenza USA in altro stato”, ha denunciato gli attacchi all’economia, il furto che si realizza al Venezuela per varie vie, ed il cinismo USA “perché da un lato si afferra per il collo con sanzioni ma, allo stesso tempo, parlano di assistenza internazionale (…) la situazione politica solo potrà risolversi mediante il dialogo nazionale, ma Guaidó non è disposto a questo perché non ha ricevuto istruzioni in tal senso”, ha affermato.

Il governo della Repubblica Popolare Cinese ha anche sostenuto un dialogo tra le parti: “La Cina si oppone all’intervento militare in Venezuela, ed all’uso dell’aiuto umanitario per scopi politici. Le sanzioni unilaterali esacerberanno solo la vita quotidiana delle persone, e non porteranno la pace al Paese”, ha detto l’ambasciatore Ma Zhaoxu.

Diversi paesi hanno condiviso una posizione comune, come la Francia, Germania, Regno Unito, che hanno ratificato il riconoscimento di Guaidó come presidente facente funzione, ed hanno detto che “come presidente ad interim nel pieno rispetto della Costituzione, potrebbe organizzare elezioni libere e trasparenti”. Una soluzione sulla falsariga del Gruppo Internazionale di Contatto, con il disconoscimento di Maduro ed una risoluzione progettata dall’esterno.

Il Venezuela, per voce dell’ambasciatore Samuel Moncada, ha denunciato l’attacco progettato e realizzato dagli USA, con la “distruzione economica deliberata, l’aggressione con uso di strumenti finanziari, pressioni indebite, uso di posizione dominante nei mercati”. La soluzione, ha detto, “non deve essere l’interventismo o donazioni da parte di criminali né conferenze di donatori che occultano il saccheggio commesso, deve essere la restituzione del denaro, la cessazione del blocco, cessazione dei sabotaggi alle nostre infrastrutture, cessazione della minaccia di intervento militare”.

Il risultato finale è stato quello prevedibile: simile ai due precedenti incontri, senza accordo possibile, con blocchi allineati sulle stesse posizioni. L’incontro convocato dagli USA sembra essere stato quello di mantenere la questione nell’agenda internazionale, approfondire la narrativa intorno alla crisi umanitaria ed allo stato fallito. Non era possibile giungere al risultato raggiunto martedì nell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), dove con 18 voti a favore è stato riconosciuto l’inviato da Guaidó invece del rappresentante del Venezuela. Una vittoria “pirrica” ​​che mina l’istituzionalità dell’OSA, come l’ha descritta il cancelliere del Messico, Jorge Lomónaco.

Durante il giorno, mentre si svolgeva il Consiglio di Sicurezza, la destra venezuelana aveva convocato la seconda giornata dell’ “operazione libertà” con punti di proteste in diverse zone della capitale e del paese. Il risultato è stato una ulteriore conferma della tendenza al ribasso nella capacità di convocazione dell’opposizione attorno alla figura di Guaidó, l’incapacità di costruire un’aspettativa che ottenga entusiasmare la gente dell’opposizione. Il messaggio è entrato nella zona di crisi, in particolare a causa della distanza tra ciò che è stato promesso e la traduzione in fatti concreti.

Le prossime fasi nell’agenda USA sono segnati dalla visita che Mike Pompeo farà in Cile, Paraguay, Perù, Colombia, tra cui la città di confine di Cucuta, domenica. Pompeo, che ha ripetuto ieri che “il regime Maduro rappresenta una minaccia per gli USA” cercherà accordi riguardanti le sanzioni economiche e l’isolamento diplomatico. La possibilità dell’uscita attraverso l’intervento è rimasta fuori dalle possibilità poste da tutti gli alleati USA.

Tale è stato il caso in Spagna, dove Elliot Abrams si è riunito mercoledì con rappresentanti dell’esecutivo, come José Manuel Albares, consigliere diplomatico del governo, e Juan Pablo de Laiglesia, segretario dello Stato spagnolo nella cooperazione internazionale, che hanno espresso “la necessità di una soluzione democratica alla gravissima crisi che il paese soffre” e che “l’attuale situazione nel paese caraibico richiede una soluzione politica, pacifica e democratica che escluda categoricamente l’uso della forza”.

In questo contesto di difficoltà della strategia golpista di fare passi avanti, il governo del Venezuela ha affermato pubblicamente il suo lavoro di cooperazione in un incontro con il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Il suo presidente, Peter Maurer, ha segnalato la volontà di avanzare nel lavoro comune, dalla prospettiva di un piano di aiuto che sia apolitico, neutrale, senza addentrarsi nel definire il carattere o meno di “crisi umanitaria” nel paese. Le aree prioritarie saranno Caracas, il confine con la Colombia e lo stato di Bolívar, al confine con il Brasile.

Il lavoro congiunto tra il governo e la Croce Rossa è importante per due dimensioni centrali: la prima, costruire risposte alle difficoltà che esistono nel paese, come è stato fatto nella cooperazione con il governo della Cina che, il 29 marzo, ha fatto giungere una spedizione di 65 tonnellate di medicinali nel paese. Secondo, perché toglie una carta alla narrativa della destra, che afferma che il governo starebbe bloccando tutti i tipi di assistenza sociale.

Ed il problema della destra è la mancanza di carte dopo tre mesi dall’inizio del nuovo mandato di Maduro che ora non riconoscono più come presidente. Sembrano aver finito le mosse da fare. Perciò Pompeo, Abrams e Pence hanno assunto, ancora una volta, la guida pubblica.

(Tratto da Pagina 12)


Cuando la derecha se queda sin cartas

Por: Marco Teruggi

Estados Unidos convocó por tercera vez desde enero una reunión del Consejo de Seguridad de Naciones Unidas para abordar la cuestión Venezuela. Su objetivo esta vez era lograr que Juan Guaidó fuera reconocido como presidente interino del país. El objetivo fue planteado por el vicepresidente norteamericano, Mike Pence, como primer gobierno en tomar la palabra: “ha llegado el momento que las Naciones Unidas reconozcan a Guaidó como presidente legítimo de Venezuela, y sentar a su representante en este órgano”.

El diagnóstico sobre el cual construyó su pedido fue el reconocimiento de la Asamblea Nacional como única institución legítima, y Guaidó como presidente hasta nuevas elecciones. Sobre eso trazó la narrativa en la que busca apoyarse Estados Unidos para justificar sus nuevos ataques: “Venezuela es un Estado fallido, tal y como nos enseña la historia, los Estados fallidos no tienen límites: terroristas, narcotraficantes e incluso Hezbolá están aprovechando para asentarse allí”. Ambos argumentos eran conocidos.

Así como se anticipaba que esa sería la posición norteamericana, también otras decisiones de gobiernos parecían definidas como en las reuniones anteriores. Tal fue el caso de la Federación de Rusia, que, a través de su embajador ante el Consejo, Vasily Nebenzia, se opuso a la “injerencia de Estados Unidos en otros Estado”, denunció los ataques sobre la economía, el robo que se le realiza a Venezuela por diversas vías, y el cinismo norteamericano “porque por un lado se les agarra del pescuezo con sanciones, pero al mismo tiempo hablan de una asistencia internacional (…) La situación política solo podrá resolverse mediante un diálogo nacional, pero Guaidó no está dispuesto a esto porque no ha recibido instrucciones en ese sentido”, afirmó.

El gobierno de la República Popular China también abogó por un diálogo entre partes: “China se opone a la intervención militar en Venezuela, y al uso de la ayuda humanitaria con fines políticos. Las sanciones unilaterales solo exacerbarán la vida cotidiana de las personas, y no llevarán la paz al país”, afirmó el embajador Ma Zhaoxu.

Varios países compartieron una postura común, como Francia, Alemania, Reino Unido, quienes ratificaron el reconocimiento de Guaidó como presidente encargado, y afirmaron que, “como presidente interino en pleno respecto de la Constitución, podría organizar comicios libres y transparentes”. Una solución en la línea del Grupo Internacional de Contacto, con el desconocimiento de Maduro y una resolución diseñada desde el exterior.

Venezuela, en voz del embajador Samuel Moncada, denunció el ataque diseñado y aplicado desde EE.UU., con la “destrucción económica deliberada, la agresión con uso de instrumentos financieros, presiones indebidas, uso de posición dominante en los mercados”. La solución, afirmó, “no debe ser intervencionismo o donaciones por parte de los criminales ni conferencias de donantes que ocultan el saqueo cometido, debe ser devolución del dinero, cese del bloqueo, cese de los sabotajes a nuestras infraestructuras, cese de la amenaza de intervención militar”.

El resultado final fue el que era predecible: similar a las dos reuniones anteriores, sin acuerdo posible, con bloques alineados sobre las mismas posiciones. La reunión convocada por EEUU parece haber sido para mantener el tema en agenda internacional, profundizar la narrativa en torno a la crisis humanitaria y el Estado fallido. No era posible llegar al resultado alcanzado el martes en la Organización de Estados Americanos (OEA), donde por 18 votos a favor fue reconocido el enviado por Guaidó en lugar del representante de Venezuela. Una victoria “pírrica” que socava la institucionalidad de la OEA, así la calificó el canciller de México, Jorge Lomónaco.

Durante el día, mientras se desarrollaba el Consejo de Seguridad, la derecha venezolana había convocado a la segunda jornada de la “operación libertad”, con puntos de protestas en diferentes partes de la capital y del país. El resultado fue una nueva confirmación de la tendencia al descenso en la capacidad de convocatoria de la oposición alrededor de la figura de Guaidó, la incapacidad para construir una expectativa que logre entusiasmar a la población opositora. El mensaje ha entrado en zona de crisis, en particular por la distancia entre lo prometido y la traducción en hechos concretos.

Los próximos pasos en la agenda norteamericana están marcados por la visita que hará Mike Pompeo a Chile, Paraguay, Perú, Colombia, incluida la ciudad fronteriza de Cúcuta, el día domingo. Pompeo, quien repitió ayer que “el régimen de Maduro representa una amenaza para Estados Unidos”, buscará acuerdos del orden de las sanciones económicas y el aislamiento diplomático. La posibilidad de la salida a través de la intervención ha quedado fuera de las posibilidades planteadas por todos los aliados de EE.UU.

Tal fue el caso en España, donde Elliot Abrams se reunió el miércoles

con representantes del ejecutivo, como José Manuel Albares, asesor diplomático del gobierno, y Juan Pablo de Laiglesia, secretario del Estado español en cooperación internacional, quienes manifestaron “la necesidad de una salida democrática a la gravísima crisis que sufre el país” y que “la actual situación en el país caribeño requiere una solución política, pacífica y democrática que excluya categóricamente el uso de la fuerza”.

En ese contexto de dificultad de la estrategia golpista de encontrar pasos de avance, el gobierno de Venezuela afianzó públicamente su trabajo de cooperación en una reunión con el Comité Internacional de la Cruz Roja. Su presidente, Peter Maurer, señaló la voluntad de avanzar en el trabajo conjunto, desde la perspectiva de un plan de ayuda que sea apolítico, neutral, sin adentrarse en definir el carácter o no de “crisis humanitaria” en el país. Las zonas priorizadas serán Caracas, la frontera con Colombia y el estado Bolívar, fronterizo con Brasil.

El trabajo conjunto entre el gobierno y la Cruz Roja resulta importante por dos dimensiones centrales: la primera, construir respuestas a dificultades que existen el país, tal como se ha hecho en cooperación con el gobierno de China quien, el 29 de marzo, hizo llegar un cargamento de 65 toneladas de medicinas al país. En segundo lugar, porque quita una carta a la narrativa de la derecha, que afirma que el gobierno estaría bloqueando todo tipo de ayuda social.

Y el problema de la derecha es su falta de cartas luego de tres meses de iniciado el nuevo mandato de Maduro que ya no reconocen como presidente. Parecen haberse quedado sin movimientos que dar. Por eso Pompeo, Abrams y Pence han asumido nuevamente la delantera pública.

(Tomado de Página 12)

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