Ricostruendo Nicaragua

Fabrizio Casari – www.altrenotizie.org

E’ passato un anno dall’inizio del tentativo di colpo di stato in Nicaragua. Nacque da una bugia (un morto inventato) si alimentò con le falsità e finì con altre menzogne. Prodotte in Nicaragua ed esportate in tutto il mainstream grazie alla catena di distribuzione statunitense ed europea, le bugie, insieme all’odio, sono state uno dei principali strumenti del tentato golpe.

Fu un’operazione terroristica voluta dal governo USA e contò con l’appoggio delle gerarchie ecclesiali, delle organizzazioni padronali e del MRS, gli ex-sandinisti ormai riferimento esclusivo degli Stati Uniti in Nicaragua che si è incaricata di diffondere odio e violenza. E’ costata circa 253 morti, oltre 2000 feriti, un miliardo e quattrocentocinquantatre milioni di dollari di danni e la fine della tranquillità assoluta di cui godeva il paese, valutato fino a quel momento, insieme a Cuba, il più sicuro dell’America latina.

Sicuro perché era una delle economie migliori della regione. Tutti gli indicatori sociali, economici e finanziari erano in crescita costante. La modernizzazione del Nicaragua andava nella direzione che il sandinismo da sempre aveva proposto: la crescita macroeconomica doveva saldarsi con l’inclusione sociale e l’uscita dalla povertà di centinaia di migliaia di nicaraguensi.

Ma proprio il successo di questo modello scatenava la furia degli Stati Uniti, che col sostegno delle oligarchie hanno scelto la guerra ai governi socialisti latinoamericani come cifra della loro vendetta storica verso un continente che è divenuto adulto solo quando è diventato orfano del Washington consensus.

Gli incidenti a Managua scoppiarono dopo l’annuncio di una riforma della fiscalità generale ma il tentativo di colpo di stato non ebbe a che vedere con la riforma: da anni i piani golpisti venivano sviluppati dal MRS, dai liberali di Eduardo Montealegre e dalla famiglia Chamorro con l’appoggio dall’ambasciata statunitense a Managua. Prevedevano lo scatenamento di gravi incidenti, l’innesco di una guerra civile e il successivo intervento militare patrocinato dalla OEA. Obiettivo? Rivoltare con il terrore quanto stabilito con il consenso elettorale. Cacciare Daniel Ortega dalla presidenza e il Frente Sandinista dal paese. Obiettivi falliti come lo stesso golpe.

Resta nella memoria l’odio manifestato dai golpisti. Profondo, totale, assoluto. Contro i militanti sandinisti e il personale delle istituzioni; edifici pubblici, ambulanze e centri di salute dati alle fiamme, la popolazione sequestrata e minacciata. Un assalto terroristico e luddista, con l’ostentazione dell’odio per l’odio, del piacere di uccidere, bruciare, distruggere, procurare dolore e sofferenze ovunque e a chiunque.

Donne violentate e uccise, uomini torturati e bruciati vivi, una casa di sandinisti data alle fiamme con la famiglia dentro; la destra ha esibito tutto il suo catalogo criminale grazie anche all’arruolamento nelle sue fila di settori delinquenziali del paese, definiti dalla rete e dai media chamorristi dei “pacifici studenti”. Il vandalismo è stato l’espressione dell’agire golpista, che ha elevato la furia assassina e distruttrice a dissenso politico. La saldatura con i criminali era qui: gli uni volevano il terrore per vincere una guerra, gli altri una guerra per spargere il terrore.

Ad un anno di distanza è emerso con maggior forza il ruolo svolto dalla Conferenza Episcopale Nicaraguense e sarebbe riduttivo far ricadere le responsabilità solo sui vescovi Baez, Alvarez e Mata. Anche altri sacerdoti hanno impugnato l’oltraggio dei corpi e della verità, schierandosi apertamente con i delinquenti che bruciavano, violentavano ed uccidevano al riparo dei tranques (barricate ndr). I vescovi, mentre fingevano neutralità, hanno benedetto il terrore, sono stati parte attiva della sua logistica, occultando armi e bottino dei terroristi; al riparo delle vesti sacre per compiere ogni abuso di qualunque natura, hanno svelato l’identità ideologica della chiesa nicaraguense.

Un ruolo apparso chiaro persino a Papa Francesco, che non a caso non ha mai seguito le scelte dei suoi vescovi e sostiene invece il dialogo nazionale. Per questo ha inviato a Managua il Nunzio Waldemar Sommertag e richiamato a Roma Silvio Baez, mente politica del golpismo. Ma ancora oggi, un anno dopo, parte della chiesa nicaraguense si pone alla testa della destra, pur perdendo molta della coda di fedeli.

Ad un anno di distanza il Cosep (l’organizzazione padronale), che ha incendiato il paese per il suo tornaconto economico e che ha ridotto ogni sua capacità imprenditoriale, è ormai proiettato solo sulla sua veste politica, sull’ansia di dominio del paese e dimostra come l’imprenditoria in Nicaragua sia un colossale equivoco. Sono capitalisti senza capitali che pretendono leadership senza avere leader.

A rivelare l’intreccio tra Chiesa e oligarchia ci ha pensato Monica Baltodano -ex comandante guerrigliera passata armi, bagagli, case e famiglia all’antisandinismo- dichiarando pubblicamente che “i tranques sono stati una invenzione dei vescovi e l’Alleanza è il partito delle famiglie oligarchiche nicaraguensi”. Più precisamente della famiglia Chamorro, visto che si presenta con la direzione di Juan Sebastian Chamorro e il sostegno pubblico dei media della famiglia Chamorro. Un progetto di famiglia più che un progetto politico. E’ una Alleanza che sventola ipocrita la bandiera nazionale ma plaude alle sanzioni internazionali contro il Paese ed anzi ne sollecita di ulteriori, perché preferisce vederlo in rovina piuttosto che libero.

Un anno dopo, il partito della famiglia cerca di mantenere alto il livello della tensione improvvisando piccoli sit-in provocatori e violenti. Cerca incidenti per invocare interventi stranieri, unica via per ricevere appoggi e soldi USA. Conta anche sul sostegno delle reti televisive statunitensi che, insieme ai media di famiglia, con sprezzo del ridicolo corrono ad orchestrare fake news bardati come fossero a Baghdad per offrire al pubblico una immagine di guerra; ma i partecipanti ad essi sono ormai poche decine, dato il generale discredito di cui gode.

Nel frattempo, il dialogo nazionale voluto da Ortega ha ridato la parola alla contesa politica. Ha dimostrato la serietà con cui il governo ha fatto ciò che aveva promesso e, parallelamente, che i caciques dell’opposizione si sbranano gli uni con gli altri. L’Alleanza civica chiede posti e prebende ma ai negoziati con il governo non partecipa; anzi, di concerto con la Casa Bianca, rivendica a se la rappresentanza unica dell’opposizione, non riconoscendola ai partiti storici del paese. Ma questi – liberali, conservatori e altri – sono presenti in Parlamento e dotati di un consenso elettorale che sfiora il 37% dei voti.

Un anno dopo il Nicaragua si riprende, ma servirà tempo per rientrare delle perdite economiche subite a causa del terrorismo golpista. Il contesto di indebolimento dell’economia globale, poi, riverbererà i suoi effetti su tutto il Centroamerica; ma, grazie a quanto fatto in 12 anni di governo sandinista, il Nicaragua vivrà il prossimo futuro con dati comunque migliori di molti dei suoi vicini.

C’è da affrontare la disoccupazione generata dalla grande impresa, che con un’arma di terrorismo economico e psicologico ha voluto colpire il Paese con 154.000 licenziamenti. Per generare nuova occupazione s’indirizzeranno gli investimenti a sostenere le piccole e medie imprese, che rappresentano circa il 60% del PIL. Assumerà valore strategico e non più congiunturale la diversificazione delle alleanze commerciali internazionali. La crescita vedrà percentuali ridotte ma se le sanzioni statunitensi contro l’economia non verranno applicate sarà possibile confermare in buona parte i progetti di sviluppo.

Un anno dopo il Nicaragua ha ripreso a camminare. Il golpe è fallito, la Costituzione ha vinto. Daniel Ortega se queda e la storia riprende da dove si era interrotta. Ma la ferita profonda che ha attraversato il Nicaragua è ancora lontana dal cicatrizzarsi. L’odio della destra continua ad avvelenare l’aria ma riportare la normalità sarà precondizione per far ristabilire definitivamente il Paese. Per il quale il sandinismo era e resta l’unico possibile orizzonte.

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