Intervista a David Xavier Medina

di Geraldina Colotti

Durante l’ultima riunione nazionale del PSUV, che si è svolta a Caracas per rispondere all’appello del presidente Nicolas Maduro, abbiamo incontrato David Xavier Medina, giornalista e scrittore, responsabile della Commissione Agitazione e Propaganda del partito nello stato di Bolivar: il più esteso dei 25 di cui si compone il Venezuela, situato nella parte sud-orientale del paese, e confinante con il Brasile.

Una zona ricchissima di oro e di risorse naturali come il Parco Canaima, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, e via di accesso al famoso Salto Angel, la cascata più alta del mondo. Dal fiume Caronì, il più importante oltre all’Orinoco, è ricavata gran parte dell’energia elettrica nazionale: attraverso la diga di Guri, che si trova a 100 km a nord della foce del rio Caroní, e che è stata oggetto del micidiale sabotaggio, da cui il paese non si è ancora completamente ripreso. Di questo, dello sfruttamento illegale delle miniere e del lavoro del Psuv abbiamo parlato con Xavier Medina.

Quali sono i problemi che state affrontando come Apc nello Stato Bolivar in questo delicato momento?

Il nostro compito è prima di tutto quello di far conoscere i termini della guerra che ci sta imponendo l’imperialismo sotto molteplici piani. Lo stato Bolivar è un complesso e importante motore economico del paese dove precipitano molte contraddizioni, presenti da lunga data e moltiplicate dalla sua struttura territoriale estesa. Si tratta di una zona di frontiera ricchissima di minerali, in particolare di oro, c’è molto contrabbando, traffico di denaro e benzina. Un territorio su cui vivono molte comunità indigene.

Il 23 febbraio, quando l’opposizione cercò di far entrare con la forza il cosiddetto aiuto umanitario, il sindaco indigeno della Gran Sabana, Emilio Gonzalez, si è schierato contro il governo bolivariano, ed è poi fuggito in Brasile a riunirsi con i deputati del fascista Bolsonaro. Cosa è successo?

Gonzalez usufruiva di alcune prerogative di cui godono le popolazioni indigene. Tra queste, aveva il permesso di avere con sé una pattuglia rurale di indigeni, che ha in parte usato per ribellarsi al governo. Ma ha fallito i suoi scopi perché è stato seguito solo da una piccolissima parte dei nativi che compongono le 16 comunità della zona. La maggioranza degli indigeni è contraria all’estrazione dell’oro, che considera una maledizione, ma alcuni si lasciano comprare e si fanno coinvolgere nell’estrattivismo illegale. Alcuni pemones sono stati scoperti dall’esercito mentre estraevano oro nel parco naturale di Canaima, dove ovviamente è proibito. Hanno comunque tentato di portarsi via la zattera e c’è stato un conflitto a fuoco, durante il quale un pemon che era rimasto ferito è morto dissanguato nel tragitto. E’ stato allora sequestrato un generale, liberato solo dopo lunghe trattative da parte del governo. Una pratica che, purtroppo, non è nuova. Sono zone molto pericolose e inospitali, l’oro che si trova nelle aree da preservare suscita gli appetiti di mafie potenti, che premono sulle comunità pemon, cambiandone usi e costumi. C’è sempre molta tensione tra la Forza Armata Nazionale Bolivariana e queste mafie, e il rischio di corruzione anche è molto alto. Verso il sud si dirige quasi tutto il flusso di denaro della regione, così come quasi tutti gli alimenti destinati al comune di Caronì vengono trasportati verso le comunità minerarie, che hanno grande disponibilità di denaro liquido, e dove si fanno più affari.

I media, in Europa, accusano invece il governo bolivariano di favorire il modello estrattivista e di lucrare sui traffici illegali che comporta. Qual è la verità?

Negli anni 2003-2004 e anche nel 2005, la politica di stato era quella di dichiarare illegale l’estrattivismo selvaggio e perseguirlo. Per noi era un errore. Si fecero molte riunioni, e dalle nostre zone indirizzammo molte raccomandazioni al governo affinché tenesse conto della particolarità della regione. Le persone, da noi, sfruttano le miniere d’oro dal secolo XIX, spesso per abitudine culturale neanche per motivi economici. Una politica proibizionista non sarebbe stata possibile. Ora, invece, si cerca di favorire la piccola estrazione cooperativa e di farla convivere con la grande industria, di formare le comunità con un’altra visione del problema. Certo non è facile. Si è cercato di esplorare altre aree di investimento, ma trattandosi di zone remote non è facile seguire come sarebbe necessario lo sviluppo dei progetti, e non basta dare un credito e poi tornarsene a casa. Il governo, però, agisce in modo flessibile, e compiendo valutazioni sul campo circa la fattibilità dei progetti. Il problema ora è che, a seguito della guerra economica, molta popolazione giovanile che abita in alcune zone del municipio Caronì, quello con la maggior densità abitativa e con maggiore urbanizzazione, se ne va verso sud. C’è una migrazione territoriale inedita che si sposta dove c’è molto denaro per poi tornarsene a casa e usarlo per comprarsi una macchina o metter su un commercio. Un afflusso che sta creando altri problemi sempre a causa delle sanzioni che impediscono l’arrivo di medicine. E’ ricomparsa la malaria. Il governo regionale ha fatto un grande sforzo per distribuire le medicine gratuitamente, solo che molti preferiscono trafficarle al mercato nero, pensando che si possa comunque sopravvivere alla malaria, anche se non è così…Una situazione assai complessa di cui abbiamo piena consapevolezza. Lo Stato Bolivar è la retrovia della rivoluzione, uno stato particolarmente strategico in questo momento di attacco alla nostra moneta, che necessita il supporto dell’oro.

C’è il rischio di un’invasione proveniente dal Brasile?

Mi sentirei di escludere il rischio di un’invasione militare proveniente dalla frontiera brasiliana. Noi confiniamo con la regione del Roraima, che il governo brasiliano ha sempre tenuto nell’abbandono e che ha invece sempre intrattenuto relazioni economico-commerciali con il Venezuela, anche quando ha avuto governatori di destra. Nel 2004, ce n’era uno di peso che si opponeva al presidente Lula da Silva, ma che dichiarava di sentirsi molto più vicino al Venezuela che a Brasilia, indipendentemente da chi fossero governati i due paesi. Anche per questo, quando c’è stato il tentativo di invaderci dal Tachira, i corpi di sicurezza brasiliani si sono seduti a dialogare con il nostro ministro della Difesa. Il Roraima compra l’elettricità del Guri, ha contratto debiti nei nostri confronti.

In questo momento non possiamo vendergli elettricità perché siamo in emergenza, ma le relazioni commerciali non si sono interrotte.

Dopo il sabotaggio alla rete elettrica nazionale, la vicepresidenta esecutiva Delcy Rodriguez si è recata sul posto. Che misure ha preso? L’allarme è rientrato?

Il sabotaggio ha avuto proporzioni mai viste prima. Il presidente ha ritenuto ci fosse bisogno di una presenza qualificata del governo e ha inviato Delcy Rodriguez. Si trattava di sanare la situazione ma anche di mettere ordine, di far luce sull’insieme di cause che avevano reso possibile quel danno così grande: dal sabotaggio intenzionale alla negligenza, alla mancanza di risorse. Delcy ha avuto un ruolo fondamentale. Ha immediatamente istituito una sala di lavoro d’emergenza convocando tutti i lavori delle imprese basiche, di tuttuti i settori: dell’alluminio, del ferro… Le squadre operative si sono installate nel Guri 24 ore su 24, dormendo sul posto. In piena emergenza, è stato ristrutturato tutto il quadro direttivo del ministero, partendo dalla sostituzione del ministro precedente. In poco tempo, siamo stati in grado di far fronte al sabotaggio, anche se non tutto è stato ripristinato, ma il paese è in pace e questo è l’obiettivo principale. Ci sono ancora regioni come lo Stato Zulia che hanno deficit di somministrazione perché sono quelle più lontane dal Guri, che fornisce quasi l’80% dell’elettricità del paese. Più che nell’erogazione, la difficoltà sta nella distribuzione, perché per rifornire il Zulia al 100% occorre arrivare a Yaracuy al 100%, altrimenti non si può arrivare a quel livello nel Zulia, più uno stato è distante, più è difficile e l’erogazione vulnerabile. In questo periodo di siccità, c’è anche un altro problema: un incendio che prima sarebbe stato contenuto con pochi danni, in una situazione simile può generale un disastro. Per questo, come PSUV, insieme ai sindaci abbiamo formato brigate per la pulizia totale di tutte le substazioni elettriche. Ciudad Bolivar ha 9 substazioni che si stanno pulendo con l’apporto dei lavoratori di Corpoelec. Si sta intanto creando un nuovo sistema informatico a prova di sabotaggio. Il ministro dell’Informazione Jorge Rodriguez ha presentato le prove e spiegato le modalità del sabotaggio interno, mostrando alcuni dei colpevoli, tra i quali vi erano funzionari di Corpoelec e anche militari.

Per quali interessi hanno agito i sabotatori?

Si tratta di quadri dirigenti abituati a lavorare in un sistema che, prima di Chavez, favoriva una piccola élite di specialisti. Oggi si sentono defraudati, rifiutano di accettare che i proventi della rendita debbano essere condivisi da tutto il paese e vogliono tornare al sistema di prima. Il cambiamento che abbiamo introdotto provoca la reazione rabbiosa di questi gruppi appartenenti alle classi medio-alte che ancora si annidano all’interno delle grandi imprese di Stato, da Pdvsa a Corpoelec.

Che speranze ci sono di venirne a capo se un simile tarlo corrode tutto dall’interno? Sembra una fatica di Sisifo

Ci sono moltissime speranze, io sono ottimista. Abbiamo la consapevolezza piena di star affrontando problemi strutturali che hanno una portata non solo nazionale e che non possono risolversi con un bonus o con un’aggiustatina. La mancanza di sementi è di portata mondiale, non possiamo pensare che le nostre imprese basiche possano competere con le grandi multinazionali, dobbiamo adattarle alla nostra realtà. Meglio essere la testa del topo che la coda del leone, dice l’econonomista Judith Valencia. Qui c’è un popolo che sta imparando a fare i conti con i propri limiti e li assume, a differenza di altri che, nei paesi d’Europa o negli Stati uniti seguono la propaganda dei media secondo la quale solo nel capitalismo si possono dare più opzioni. Il compito dell’Apc è di smontare il falso racconto secondo il quale non vi siano alternative al capitalismo.

Dopo il sabotaggio elettrico, con grande realismo, Freddy Bernal, coordinatore nazionale dei CLAP, i Comitati locali per la fornitura e la produzione, ha detto che vi sono riserve alimentari solo per un anno, e che le cisterne di cui dispone lo Stato non bastano per distribuire l’acqua. Come vi state regolando?

A volte, nella sua visione macro, il governo non vede quel che già è germogliato, tutte le cose buone che il popolo sta già costruendo. Per esempio, nel comune di Caronì c’è una circoscrizione molto grande, Vista al Sol, dove vive un gruppo di donne che si chiama Mujeres de fe. Queste donne, insieme a dei collettivi, a dei centri di formazione della Guayana, hanno imparato a seminare, a fare la farina di mais e a non dipendere dall’impresa Polar. La gente sta cambiando. Nel Clap lavorano milioni di persone, in quello dove lavoro io distribuiamo 705 casse ad altrettante famiglie, non tutte sono favorevoli al governo, ma usufruiscono della borsa alimentare e si adoperano per distribuirla. In materia di semina, credo che si debba aggiustare l’ottica. A volte, il governo ci vede in una dimensione diversa da quella reale. Viene creato un ministero, per esempio in agricoltura urbana, e si chiede che la gente semini e produca, ma questo non può darsi in modo automatico, i tempi della natura sono diversi da quelli della politica. Perché le cose funzionino bisogna anche adattarsi al ritmo delle comunità, devi passare un anno con loro imparando, condividendo rovesci e risultati. Il procedimento per tornare a chiedersi perché si deve andare a spendere al supermercato quando ci si può coltivare le cipolle, non è semplice. Siccome prima c’era molto denaro, la gente si è abituata a comprare, si è dimenticata di come una gallina, un maiale, un pezzo di terra servissero ad alimentare la famiglia. Un ragazzo che sta a Caracas, si aspetta un incarico, un salario, occorre un processo di apprendimento che non può darsi in un colpo solo di fronte alla perdita di cultura prodotta dal consumismo. Volendo accelerare i tempi, il governo cambia o moltiplica i ministri e non si concentra. Il popolo sta chiedendo che gli si trasferisca potere, che si stabiliscono alcuni obiettivi e si renda conto della realizzazione. Questo è parte del processo di revisione che ci ha chiesto il presidente Maduro e a cui stiamo lavorando. Che stiamo chiedendo ai ministri? Non restatevene in un ufficio a Caracas, se siete di Agricoltura, venite un anno o due a lavorare con i contadini fino al raggiungimento degli obiettivi. Forse è arrivata l’ora di cambiare il modello amministrativo. Perché il ministero delle Miniere deve stare a Caracas se l’oro sta a sud? Proponiamo che stia nel sud, e che quello dell’agricoltura sia nel Llano, dove c’è agricoltura.

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