Hugo Chávez. Così è cominciata

www.lantidiplomatico.it

La casa editrice PGreco manda in libreria il libro “Hugo Chávez. Così è cominciata”, curato da Geraldina Colotti e tradotto dal castigliano da Valentina Paleari. Uno straordinario documento storico che spiega le origini del chavismo nella sinistra radicale venezuelana per voce di Hugo Chávez e di tre intellettuali oggi scomparsi, Domingo Alberto Rangel, Pedro Duno e Manuel Vadell, la cui casa editrice, Vadell Hermanos  ha pubblicato il libro in Venezuela.

Anticipiamo la nota per i lettori e le lettrici italiane, scritta da Geraldina Colotti


Geraldina Colotti

Cos’è il chavismo, che governa da vent’anni in Venezuela? Quali sono le sue basi teoriche, gli antecedenti storici? Questo piccolo libro, che presenta documenti d’epoca finora inediti, offre al lettore italiano alcuni spunti di analisi e dati di contesto. Elementi messi in rilievo nella prefazione da Adan Chávez, fratello maggiore di Hugo, e mentore politico dell’ex tenente colonnello, eletto alla presidenza del Venezuela il 6 dicembre del 1998 e scomparso per un tumore il 5 marzo del 2013.

Il professor Adan Chávez, appena nominato ambasciatore del Venezuela a Cuba, è vicepresidente per gli affari internazionali del Partito Socialista Unito del Venezuela. Il PSUV è nato il 24 marzo del 2007 dallo scioglimento del Movimento Quinta Repubblica (la formazione con la quale Chávez vinse le elezioni), a sua volta proveniente dal Movimento Bolivariano Rivoluzionario- 200  di cui si parla in questo libro. L’MBR-200 è nato da un’evoluzione dell’EBR 200, l’Esercito Bolivariano Rivoluzionario.

L’MBR-200 è stato un movimento rivoluzionario civico-militare di estrema sinistra, fondato dall’allora tenente colonnello Hugo Chávez Frias nel 1982. Formalmente, è stato costituito l’anno dopo, per i 200 anni dalla nascita del Libertador Simon Bolivar, con un giuramento solenne pronunciato da Chávez ai piedi dello storico albero del “Samán de Güere”. Recita così: “Giuro davanti a Voi, giuro sul Dio dei nostri padri, giuro su di loro, giuro sul mio onore e giuro sulla mia Patria che non darò riposo al mio braccio né riposo alla mia anima fino a che non avrò spezzato le catene che ci opprimono”.

Durante gli anni in cui in Italia si consumava la sconfitta del grande ciclo di lotta degli anni ’70, e iniziava l’opera di picconamento delle radici storiche del comunismo e del movimento operaio, in Venezuela si metteva in moto il riscatto di quegli ideali. Come? Ancorando il marxismo e il nazionalismo progressista alla lotta contro il colonialismo durata 500 anni. Ricostruendo un pantheon di eroi ed eroine proveniente dalla resistenza indigena, o da quella “cimarrona”, la memoria degli schiavi che hanno spezzato le catene per costruire repubbliche libere, di cui restano tracce oggi in Venezuela.

Contrariamente alla versione che ha prevalso in Italia, quello chavista è stato, fin dalle origini, un movimento influenzato dalla sinistra venezuelana, principalmente dai seguenti partiti: il Partito comunista del Venezuela (PCV) il Partito della Rivoluzione Venezuelana (PRV), il Movimento della Sinistra Rivoluzionaria (MIR, fondato nel 1960 da Domingo Alberto Rangel, uno degli autori di questo libro), il Partito Bandiera Rossa. A questi si sono uniti altri gruppi nati all’interno delle forze armate, quali Alleanza Rivoluzionaria di Militari attivi (ARMA) , appartenente all’Aviazione Militare Bolivariana.

Componenti che, dieci anni dopo, daranno luogo a due tentativi di insurrezione civico-militare: il primo, guidato da Hugo Chavez il 4 febbraio del 1992, e il secondo il 27 novembre dello stesso anno, quando l’allora tenente colonnello era già stato arrestato e aveva pronunciato la sua famosa promessa, dicendo al paese che “la rivoluzione” era fallita… “per ora”.

Una promessa resa possibile dalla situazione di profonda crisi politica dei partiti tradizionali e del movimento populista iniziato da Rafael Caldera che, durante il suo secondo governo, venne convinto dalla pressione popolare a concedere l’indulto a tutti i militari responsabili dell’insurrezione civico-militare. Dopo due anni di carcere, durante i quali ebbe modo di approfondire la sua formazione marxista, Chávez fece conoscere il proprio movimento politico, raccogliendo e unificando malumori, spinte, proteste e proposte alternative al sistema politico della IV Repubblica.

Un sistema nato dal Patto di Puntofijo, durante il quale venne concordata un’alternanza tra i due principali partiti, Acción Democrática (centro-sinistra) e Copei (centro-destra), con l’esclusione del Partito Comunista, che venne subito messo fuori legge. Un patto nato sotto l’egida degli Stati Uniti, preoccupati che il Venezuela – un paese petrolifero dal 1910 – potesse seguire la via di Cuba, dove la rivoluzione aveva vinto nel 1959.
Le speranze di rivoluzione di quell’arco di forze che aveva cacciato il dittatore Marco Pérez Jimenez il 23 gennaio del 1958, durarono poco. E anche il Venezuela, come l’Italia, avrà la sua “resistenza tradita”.

Dopo la storica visita di Fidel Castro all’Università Centrale del Venezuela, i cui studenti avevano fortemente appoggiato la lotta dei rivoluzionari cubani nella Sierra Maestra, l’allora presidente Romulo Betancourt nega appoggio economico a Fidel. In un contesto di crescente repressione dei movimenti popolari, si determina una spaccatura nelle forze della sinistra venezuelana. Per organizzare a lotta armata, a Cuba si svolgono importanti riunioni con i principali dirigenti comunisti del Venezuela quali Gustavo Machado, Fabricio Ojeda, Douglas Bravo, Pompeyo Marquez, Américo Martin, Teodoro Petkoff, Alí Rodriguez Araque (il più vicino a Fidel Castro, morto come ambasciatore del Venezuela a Cuba l’anno scorso)…

Nascono organizzazioni di guerriglia. Anche il PCV passa alla lotta armata e, nel 1962, crea le Forze Armate di Liberazione Nazionale (FALN).

 Alle organizzazioni guerrigliere partecipano anche molti di quei militari e ufficiali progressisti che avevano contribuito alla resistenza contro la dittatura. In quel contesto, nel 1962 si verificano due insurrezioni militari ispirate dalla guerriglia: quella del Carupanazo, scoppiata nella base di Carúpano alla mezzanotte del 4 maggio, e quella del Porteñazo, che ha luogo il 2 e il 3 giugno nella base navale Agustín Armario.

Il 1964 può essere considerato l’atto di nascita del progetto della Rivoluzione Bolivariana. Durante la V Conferenza del PCV, Douglas Bravo (che l’anno dopo sarà espulso dal partito per raggiungere, nel ’66, il Partito della Rivoluzione Venezuelana – PRV-, fondato dal giornalista Fabricio Ojeda), presenta una relazione sulla situazione politico-militare e illustra i paradigmi del bolivarismo rivoluzionario.
Un progetto che il PRV preciserà riprendendo le tesi approvate dal PCV nel 1957, che illustrano la necessità di un’alleanza civico-militare in grado di rendere vincente la rivoluzione in Venezuela. Una visione che cercherà di calare il marxismo-leninismo nella specificità venezuelana, ancorandolo all’idea delle “tre radici”: il libertador Simon Bolivar, Ezequiel Zamora, il soldato che lottò per i diritti dei contadini nella guerra federale del 1859-63, e il maestro di Bolivar, Simon Rodriguez.

In quel quadro prende forma la politica del PRV di contattare dei giovani cadetti, per formarli come rivoluzionari infiltrati nell’Accademia Militare del Venezuela. Adan Chávez, allora militante del PRV, racconta in questo libro come abbia contattato per questo il fratello minore, l’ex bambino povero di Sabaneta destinato a cambiare il destino del paese.

Hugo Chavez. Così è cominciata, contiene le analisi di tre figure storiche della sinistra venezuelana, scomparsi nel corso degli anni. I primi due, Domingo Alberto Rangel e Pedro Duno, hanno smesso di sostenere il chavismo nel corso del cammino, fedeli al loro profilo di “liberi pensatori”. L’editore Manuel Vadell, invece, è rimasto con il proceso bolivariano fino alla fine, mantenendo sempre un atteggiamento schietto, e continuando a ripubblicare i libri dei suoi due amici malgrado i disaccordi.

Nella prefazione a Socialismo, scritto da Rangel e Duno dopo la caduta dell’Unione Sovietica, gli autori analizzano la ribellione civico-militare del 4 Febbraio nel contesto della crisi del capitalismo e della democrazia borghese. Ricordano l’origine sociale dei militari venezuelani, diversa da quella oligarchica delle forze armate di altri paesi latinoamericani. Richiamano fra gli elementi di crisi la grande corruzione storicamente incrostata in Venezuela. Una piaga che, al tempo del dittatore Pérez Jiménez ha riguardato soprattutto le opere pubbliche, mentre con l’arrivo della democrazia – e in particolare con il governo di centro-sinistra di Carlos Andrés Pérez – ha interessato la vendita di equipaggiamento e forniture alle forze armate. E vale qui ricordare che Pérez, dopo aver accettato i piani di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale, fece sparare sulla folla che protestava durante la rivolta del Caracazo, il 27 e 28 febbraio del 1989.

Ulteriori elementi che favorirono la diffusione del movimento progressista all’interno delle caserme e che spiegano la vocazione indipendentista dell’attuale Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB), costruita da Chávez. Per documentare l’ampiezza della corruzione e le complicità esistenti a livello internazionale nella Venezuela di allora, che appariva come un vero e proprio “protettorato” degli Stati Uniti, gli autori riferiscono il seguente episodio. Alle forze armate, venne allora venduto come nuovo un veicolo militare di origine israeliana. La testimonianza di un combattente palestinese giunto a Maracaibo, dimostrò però a un ufficiale che il veicolo era stato sottratto all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Quell’ufficiale – scrivono gli autori – è poi passato al Movimento Bolivariano.

La storia- ricordano Rangel e Duno – non è un tea-party di dame e cavalieri ben educati, ma scontro di interessi in cui il momento della violenza risulta inevitabile: fermo restando l’intenzione dei rivoluzionari di limitare al minimo il momento dello scontro. “Siamo una rivoluzione pacifica, ma armata”, diceva spesso Chávez. E lo continuano a ripetere i dirigenti bolivariani oggi che il paese è sotto il pesante attacco dell’imperialismo USA, e che la formazione “democratica e umanista” della FANB ha già dovuto passare numerose prove.

Al centro degli attacchi c’è l’ex sindacalista del metro Nicolas Maduro (classe 1962), subentrato alla presidenza del Venezuela dopo la morte di Chávez, il 14 aprile del 2013. Anch’egli si è formato nella temperie politica che ha forgiato Hugo Chávez: la lotta contro le “democrazie camuffate” della IV Repubblica, scalzate dalla nuova Costituzione Bolivariana promessa da  Chávez durante la campagna elettorale e approvata a stragrande maggioranza nel 1999.

Prima militante della Lega Socialista, Maduro ha aderito da giovanissimo all’MBR-200 e ha sostenuto la candidatura di Chávez dall’interno del  Movimento Quinta Repubblica, ricoprendo poi importanti incarichi di governo nel corso di questi ultimi vent’anni. Con toni propri, ma con identica partitura, Maduro continua il progetto di Chávez, quello del socialismo bolivariano basato sulla democrazia partecipata: un progetto corale, non quello di un uomo solo al comando. Un nuovo modello, alternativo al capitalismo, considerato una “minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti” anche dal “democratico” Obama. E anche da quei partiti di sinistra che, da molto tempo hanno cambiato campo, cercando di convincere gli oppressi che di alternative al capitalismo, invece, non ve ne siano.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.