L’Amazzonia brucia… e Bolsonaro incolpa gli ambientalisti!

Juraima Almeida (*); da: surysur.net; 22.8.2019

L’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali (INPE) del Brasile ha confermato, grazie ai suoi satelliti, che tra gennaio e questi giorni di agosto si sono registrati 74.155 focolai intermittenti di incendi forestali nell’ovest, nel sud-est e nel sud del Brasile, conseguenze della “politica di sviluppo” del presidente di ultra destra Jair Bolsonaro a favore dell’agricoltura e dell’estrattivismo minerario, smantellando le politiche ambientali.

L’incendio in Amazzonia ha provocato, la settimana scorsa, un corridoio di fuoco che raggiunge i paesi vicini come l’Argentina, l’Uruguay, il Perù e la Bolivia. La selva amazzonica è stata deforestata di 2.254 chilometri quadrati in luglio, quasi il quadruplo dello stesso mese del 2018, in Brasile, Bolivia, Perù e Paraguay.

Bolsonaro ha sostenuto, senza portare alcuna prova, il suo sospetto che siano le ONG a provocare gli incendi forestali in Amazzonia per colpire la sua politica, dato che egli ha tagliato loro i sussidi. “Forse – e non lo sto affermando – queste persone (le ONG) stanno commettendo azioni criminali per attirare l’attenzione contro di me” ha accusato il presidente, ammettendo davanti ai giornalisti che non ne aveva le prove.

Bolsonaro, che ha celebrato l’uscita del presidente statunitense Donald Trump dall’accordo sul clima di Parigi, si è anche rifiutato di ospitare la Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite (COP 25) affermando di non essere coinvolto nel problema.

Organizzazioni ambientaliste di tutto il mondo avevano già denunciato che l’Amazzonia, il “polmone del mondo” (produce da sola il 20% dell’ossigeno del nostro pianeta, n.d.t.), è in pericolo.

Da due settimane migliaia di ettari di boschi sono stati distrutti dal fuoco nell’Amazzonia brasiliana. Almeno 68 riserve protette sono state danneggiate dalle fiamme.

Il direttore dell’INPE, Ricardo Magnus Osorio Galvao, è stato licenziato da Bolsonaro con l’accusa di promuovere una “pessima” immagine del Brasile all’estero con dati “falsi”.

“Mi chiamavano Capitan Motosega e ora sono il Nerone incendiario dell’Amazzonia. Ma questa è la stagione degli incendi” si è difeso settimane fa dalle accuse degli ambientalisti il presidente. Bolsonaro ha anche smentito i dati forniti dall’INPE che dice che gli incendi, quest’anno, sono aumentati dell’83% rispetto allo stesso periodo del 2018.

L’agenzia aerospaziale statunitense NASA, istituzioni e società internazionali hanno mostrato nelle immagini satellitari un’alta concentrazione atmosferica di monossido di carbonio (CO2) nei luoghi dove è stato dichiarato lo stato di allerta ambientale per l’aumento degli incendi. Ricercatori della NASA hanno segnalato che la superficie dell’America Latina coperta dal fumo è di circa 3,2 milioni di chilometri quadrati.

Nell’ultima settimana l’INPE ha rilevato 9.507 nuovi incendi forestali, principalmente nella conca dell’Amazzonia, sede del bosco tropicale più grande del mondo e che viene considerato vitale per fermare il riscaldamento globale. L’incendio si estende negli stati di Acre, Rondônia, Mato Grosso e Mato Grosso do Sul fino a giungere alla triplice frontiera tra Brasile, Bolivia e Paraguay.

L’Amazzonia, con il fiume più grande del mondo e una fonte di ricchezza naturale dove convivono innumerevoli specie di animali e piante, è anche la casa di 34 milioni di persone, con più di 350 gruppi indigeni.

Da quando è andato al governo, Bolsonaro ha subito messo in chiaro che la protezione ambientale non sarebbe stata una priorità della sua gestione, quale invece l’allevamento e l’industia agro-alimentare.

La proposta di fusione di due Ministeri contrapposti – Agricoltura e Ambiente – è stata rifiutata dalle organizzazioni ambientaliste perché il ministero responsabile dell’incentivazione dell’agricoltura e dell’allevamento sarebbe stato lo stesso delegato a concedere licenze ambientali per la produzione in aree protette.

Allo stesso tempo Bolsonaro ha promesso di aprire le terre indigene, protette dalla Costituzione, allo sfruttamento minerario e forestale, con la scusa che gli indigeni avrebbero potuto vivere delle regalie conseguenti e ha anticipato che sta negoziando la costruzione di Angra 3, un impianto nucleare sulla spiaggia di Itaorna, sulla costa atlantica (Tra San paolo e Rio de Janeiro), zona nota per gli slittamenti di terra che storicamente segnalano l’instabilità del suolo.

Un altro dei progetti di Bolsonaro per il completamento della terza centrale nucleare è la costruzione di una grandi diga idroelettrica a Belo Monte, sul fiume Xingù, parte del complesso fluviale dell’Amazzonia.

L’Europa si arrabbia

La Norvegia ha accusato il Brasile di provocare la deforestazione dell’Amazzonia nel non investire adeguatamente i fondi depositati da questo paese e dalla Germania nel Fondo Amazzonico, creato nel 2008 per la prevenzione, la vigilanza e la conservazione della regione.

Il governo norvegese ha fermato l’invio di 30 milioni di dollari al Brasile. Bolsonaro in un tuitt, ha attaccato la Norvegia. “Guardate l’assassinio delle balene che la Norvegia promuove” ha scritto, aggiungendo un video e delle foto che mostrano, con un sottofondo di musica melanconica, una caccia di massa ai cetacei. Ma le immagini erano state registrate alle Isole Faroer, un possedimento della Danimarca nell’Atlantico del Nord.

Il governo tedesco aveva già bloccato il 10 agosto circa 35 milioni di euro (39 milioni di dollari) per vari programmi, finchè le cifre della deforestazioni non fossero più positive o, almeno, non si stabilizzassero. “Possono usare quel denaro come meglio gli pare. Il Brasile non ne ha bisogno” ha detto allora Bolsonaro al governo di Angela Merkel. E ha aggiunto ironicamente in un altro tuitt: “Che si tenga i soldi e riforesti la Germania.

E qual era l’altro paese? La Svezia, la Norvegia …? Ah si, la Norvegia, che anche lei non darà gli stessi soldi al Brasile. Che li mandino a Angela Merkel per riforestare la Germania”, si è burlato Bolsonaro.

Il Consorzio Interstatale di Sviluppo Sostenibile dell’Amazzonia Legale, costituito da 9 dei 27 Stati brasiliani ha fatto sapere che vuole “dialogare direttamente” con i paesi che finanziano il Fondo Amazzonia per preservarlo.

Il Consorzio ha segnalato che “Il blocco amazzonico lamenta che le posizioni del governo brasiliano abbiano provocato la sospensione delle risorse”.

(Ricercatrice brasiliana, analista del Centro Latinoamericano di Analisi Strategica CLAE)

(traduzione di Daniela Trollio CIP “G.Tagarelli” )

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