I popoli vivono del fermento eroico

Frammenti del discorso ‘I pini nuovi’, pronunciato da José Martí il 27 novembre 1891

 

Altri lamentano la morte necessaria: io credo in lei come al guanciale, al fermento e al trionfo della vita. La mattina dopo la tormenta, nel cavo dell’ albero sradicato, la terra emana una fonte di fresco ed è più allegro il verde degli alberi, l’aria sembra piena di bandiere e il cielo è un baldacchino di gloria azzurra.

Altri lamentano la morte bella e utile con cui la patria risanata riscattò la sua complicità involontaria con il crimine, dove si crea quel fuoco purissimo e invisibile con nel quale si purificano per la virtù e si forgiano per il futuro le anime fedeli.

Dal semenzaio delle tombe si alza impalpabile come i vapori dell’alba la virtù immortale, respira la terra timida, colpisce i nostri vili volti, inumidisce l’aria trionfante nei cuori dei vivi : la morte dei capi, la morte che dà lezioni ed esempi, la morte solleva il dito sopra il libro della vita; così con questi vincoli continui e invisibili si tesse l’anima della patria!

La parola virile non si compiace con descrizioni spaventose ; e non deve sentirsi sopraffatto il pentito per fustigare il malvagio; la tomba del martire non deve diventare luogo di combattimento; e non si deve dire nemmeno nella cieca bellezza delle battaglie quello che muove le anime degli uomini alla fierezza e al rancore.

Non è cubano e non lo sarà mai mettersi nel sangue sino alla cintura e animare con una falce di bambini morti i crimini del mondo: non è da cubani vivere come lo sciacallo nella gabbia rigirandosi nell’odio!

Quello che desideriamo è dire qui con quale profondo amore, un amore come purificato e angelico, amavamo quelle creature che il decoro ha innalzato con un fulmine sino alla sublimità , che sono cadute per la legge del sacrificio, per pubblicare al mondo ancora indifferente al nostro clamore la giustizia assoluta con cui si è alzata la terra contro i suoi padroni : quello che vogliamo è salutare con ineffabile gratitudine, come misterioso simbolo della forza d’agire della patria, dell’occulto e sicuro potere dell’anima cubana, quelli che alla prima voce del morte ascesero sorridendo dall’attaccamento e la vigliaccheria della vita comune all’eroismo esemplare.

I popoli vivono del fermento eroico.

Molto eroismo deve risanare i molti crimini. Dove fu molta vigliaccheria, ci dev’essere molta grandezza. Per l’invisibile della vita corrono magnifiche leggi. Per scuotere il mondo con l’orrore estremo della disumanità e l’avidità che pesano sulla patria, sono morti con la poesia dell’infanzia e il candore dell’innocenza, per mano della disumanità e dell’avidità.

Cantiamo oggi davanti alla tomba indimenticabile l’inno alla vita. Ieri l’ho udito dalla stessa terra quando veniva per la tarde oscura a questo popolo fedele.

Era il paesaggi umido e nerastro correva turbolento il torrente pantanoso; le canne poche e scarne non agitavano lamentosamente il loro verde come quelle ferite per le quali chiedono redenzione coloro che le fecondarono con la loro morte, ma entravano aspre e irsute come pugnali stranieri per il cuore: e nell’alto delle nubi strappate un pino sfidando la tempesta ergeva intero la sua coppa.

Rapido ruppe il sole su uno spiazzo del bosco e lì ha brillato veloce la luce; ho visto sopra l’erba ingiallita ergersi attorno al tronco nero dei pini caduti i grappoli gioiosi dei pini nuovi. Questo siamo noi: i pini nuovi!

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