Radiografia completa della crisi politica e sociale che scuote il Cile

http://misionverdad.com

All’inizio di ottobre, quello che è iniziato come un’evasione di massa nella metropolitana di Santiago del Cile come forma di protesta di fronte all’aumento del servizio, si è trasformata in un ciclo di proteste di 21 giorni che, nonostante la repressione, sospensione dell’aumento ed altre misure congiunturali da parte del governo di Sebastián Piñera non hanno potuto essere contenute.

Una settimana dopo questo evento, il mito del paese vetrina del libero mercato ed esempio di civiltà per le altre nazioni del continente è crollato, quando le principali città del Cile sono state un caos prodotto della repressione dei carabineros (carabinieri) e dell’esercito contro i manifestanti.

IL DETONANTE

Il 6 ottobre, è entrato in vigore l’aumento del biglietto della metropolitana di 30 pesos, salito a 820, equivalente a 1,17 $. A questo proposito, Cristian Pérez, accademico presso l’Università Diego Portales, ha spiegato a RT che l’aumento ha avuto un impatto regressivo per coloro che ricevono un salario minimo, 300 mila pesos (circa 400 $), mentre per la stragrande maggioranza dei lavoratori cileni la mobilità nel trasporto pubblico rappresenta il 20% della sua paga mensile.

Le proteste sono state inizialmente organizzate dagli studenti ed, il 18 ottobre, hanno raggiunto l’apice quando diverse stazioni del trasporto sotterranee sono state chiuse a causa di scontri tra polizia e manifestanti. Questa azione è stata classificata dalle autorità come vandalismo ingiustificato perché l’aumento non si applicava agli studenti né agli anziani.

Da parte sua, l’organizzazione studentesca ha sostenuto che, sebbene la misura non fosse per loro, questa li colpiva direttamente poiché il loro nucleo familiare avrebbe sofferto l’aumento.

Le rivolte che hanno reso inoperative 40 stazioni della metropolitana, si sono spostate nelle strade di Santiago registrando il “saccheggio” e l’incendio dell’edificio aziendale della compagnia elettrica, secondo un bilancio offerto dal capo della Difesa Nazionale, Javier Iturriaga del Campo.

LA RISPOSTA DELLO STATO

Cercando di erodere il ritmo espansivo delle proteste, la risposta dello stato è consistita nell’applicare la Legge sulla Sicurezza dello Stato, che conferiva più potere ai carabineros e interponeva crimini contro coloro che manifestavano per le strade. Le autorità hanno ignorato le azioni della polizia che, in quel momento, aveva già lasciato 137 feriti e oltre 300 detenuti.

Contrariamente allo sperato, i focus delle proteste si sono moltiplicati nella capitale ed in altre città si sono sommate alle giornate delle manifestazioni con la chiusura di strade, cacerolazo (battitura pentole) e concentrazioni.

Già a questo punto, di fronte alla paralisi del trasporto sotterraneo e di superficie e senza possibilità di contenere la rivolta sociale, Piñera è retrocesso nell’esecuzione dell’aumento della metropolitana. Tuttavia, neppure questo è servito per fermare le manifestazioni di ripudio del suo governo.

Successivamente, il governo si è visto nella necessità di spostare un forte contingente militare da altre regioni per affrontare la situazione. Questo movimento è servito da preambolo all’applicazione del coprifuoco nella capitale cilena.

Con questa misura che contemplava il controllo militare delle strade di Santiago, i cileni hanno vissuto un flashback dei tempi della dittatura di Augusto Pinochet. Nonostante ciò, le proteste sono continuate fuori dalla capitale ed il coprifuoco si è esteso ad altre regioni come Antofagasta, Atacama, Valparaíso, O’Higgins, ecc.

La tensione sociale è stata maggiore quando il presidente Piñera ha lanciato lo slogan “siamo in guerra”, riferendosi ad un presunto nemico implacabile e potente, che era “disposto a usare la violenza e la delinquenza senza alcun limite”, una frase simile a quella pronunciata dal dittatore Pinochet, al fine di fabbricare, nell’immaginario sociale, un “nemico interno” che giustificasse il massacro contro il blocco sociale che si opponeva alla dittatura.

ALTRI RECLAMI

Con lo slogan “non sono trenta pesos, sono trenta anni”, l’aumento del metrò ha mostrato il reclamo di altri debiti sociali che attraversano il Cile prodotto delle politiche neoliberali applicate dal tempo della dittatura.

Uno studio rivela che la disuguaglianza in Cile è sproporzionata, poiché l’1% più ricco detiene più di un quarto della ricchezza del paese, mentre il 50% delle famiglie a più basso reddito ha accesso solo al 2,1%, afferma la BBC .

Anche le gilde dei settori della sanità, trasporti ed istruzione si sono unite alle mobilitazioni per reclamare miglioramenti salariali. Un anno prima della crisi, nella nazione sudamericana già protestavano per il declino della qualità nel servizio sanitario pubblico e privato, dove i più colpiti erano i poveri e gli anziani a causa del modo in cui questo sistema è organizzato.

Per quanto riguarda il settore dell’istruzione, da anni richiedono un’istruzione pubblica gratuita.

La violenza della protesta si è anche scaricata contro la classe politica cilena. Gli stipendi mensili dei senatori e deputati di quel paese sono circa 10 milioni di pesos (circa 11 mila $).

Questo importo rappresenta un insulto per coloro che li hanno definiti come “ladri e corrotti”. Sebbene vi sia stata resistenza da parte di un settore, la pressione sociale ha fatto sì che entrasse in discussione la possibilità di ridurre lo stipendio dei parlamentari, riconosciuto come uno dei più alti in America Latina e nel mondo.

LA FINE DI UN’ERA?

Pinochet è uno dei riferimenti più popolari nell’attuale crisi del Cile. Oltre alle azioni di polizia e militari che evocano il periodo dittatoriale, sul piano politico si è posto sul tappeto il fatto che l’attuale Costituzione di quel paese sia stata approvata dal dittatore nel 1980.

Tutte le richieste sociali in Cile sono confluite sulla necessità di apportare profondi cambiamenti nella struttura politica dello Stato, il che implica, tra le altre cose, slegare la Magna Carta dall’era Pinochet.

Le prime manifestazioni in cui si richiedeva giustizia sociale in aree vitali come salute ed istruzione, si sono evolute al punto in cui si richiedeva le dimissioni di Sebastián Piñera e del suo intero governo.

Con le ultime mobilitazioni, riconosciute come le più massicce nella storia del Paese sudamericano, si è forzata la convocazione di una Costituente, attraverso un plebiscito previsto per aprile 2020.

AGIRE DEI CARABINEROS E MILITARI

Dall’inizio della crisi, l’agire della polizia cilena ha avuto forti critiche nei media e nelle reti sociali. L’uso eccessivo della forza, denunce di abusi sessuali, uso improprio di armi regolamentari, rapine e sparizioni sono stati i fatti più segnalati.

Uno studio condotto dall’Università de Austral del Cile ha rivelato che l’80% dei proiettili utilizzati dai carabineros durante le manifestazioni “hanno un’alta concentrazione di piombo”. Dei quattro campioni studiati, è stato stabilito che oltre al piombo, i proiettili presentano concentrazioni di altri materiali metallici.

Dall’inizio della crisi, 230 cileni hanno perso la vista a causa degli spari della polizia.

RISPOSTA DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

Una delle atteggiamenti più criticati durante il ciclo di proteste in Cile è stato quello di Michelle Bachelet. Sebbene l’uso eccessivo della forza da parte degli organismi della sicurezza dello stato è stata notizia, a livello globale, dal 18 ottobre l’alta commissaria ONU per i Diritti Umani si è pronunciata il 21 di quel mese.

Il fatto di essere cilena e presidentessa del paese in due periodi non continui, ha suscitato l’indignazione di molti suoi concittadini. Tre giorni dopo il pronunciamento, la commissaria ha deciso d’inviare una commissione per “verificare” le accuse di violazione dei diritti umani. A quella data, già il numero di assassinati ascendeva a 18 e si contavano 1500 feriti, secondo un bilancio presentato dalle autorità un giorno prima del suo pronunciamento.

Per quanto riguarda l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), il cui atteggiamento del suo segretario generale, Luis Almagro, è stato orientato in base alle decisioni della politica estera USA, c’era da aspettarsi che il suo focus fosse sul Venezuela e sui paesi non allineati agli USA.

Da quando è iniziato il conflitto in Cile, neppure nel suo periodo di maggiore violenza, c’è stata una dichiarazione del segretario dell’organismo multilaterale. Almagro si è dedicato a convalidare il colpo di stato contro Evo Morales in Bolivia ed attaccare Venezuela e Cuba, mentre in Cile assassinavano i manifestanti.

Quaranta giorni dopo, il segretario ha fatto riferimento al Cile solo per menzionare “le sfide che affrontano i sistemi democratici nella regione”, ambiguità che coincide con la posizione USA, che pur non segnalando il Venezuela come direttamente responsabile, ha fatto riferimento ad una certa influenza straniera nello sviluppo delle proteste.

Da parte sua, l’alta commissaria del Parlamento Europeo, Federica Mogherini, ha appellato ad “un’agile indagine su tutti i crimini e le violazioni dei diritti umani, di tutti i settori”, mentre elogiava le misure del governo per rispondere alle richieste sociale.

UN BILANCIO DELLA VIOLENZA

Finora, dopo più di un mese di rivolte sociali in Cile, l’Istituto Nazionale per i Diritti Umani di quel paese ha riportato che 23 persone sono morte, secondo l’ultimo aggiornamento.

Allo stesso tempo l’organismo afferma di aver ricevuto 340 denunce contro agenti statali per vari reati. Di quel totale, 245 corrispondono a denunce di torture e 58 casi di violenza sessuale, dettaglia il rapporto.

Dei 2381 feriti, 217 sono stati gravemente feriti da spari al volto. D’altra parte, ci sono 6362 detenuti nei commissariati e nei centri sanitari, diffonde il documento.

LO SCENARIO ATTUALE

Nonostante le segnalazioni degli organismi difensori dei diritti umani, locali ed internazionali, attualmente le strade del Cile sono ancora assunte dagli organismi di sicurezza. Lo stato di emergenza è stato revocato, ma Piñera ha presentato un progetto di legge per utilizzare le forze armate per “la protezione delle infrastrutture pubbliche”.

Nonostante gli accordi tra l’opposizione ed il governo, che include il plebiscito del prossimo anno, le mobilitazioni continuano ad avere le dimissioni del presidente come richiesta centrale.

Finora, la consultazione del 2020 estende la vita politica di Sebastián Piñera. Lo scenario in cui si definisce se termina il suo mandato non è ancora chiuso. Le grandi mobilitazioni che hanno riunito tutti i settori sociali del Cile, promuovendo la Costituente per la stessa natura che le costituisce, non sono state capitalizzate da alcun settore politico.

Nel frattempo, la Spagna invierà specialisti nel “controllo di massa” su richiesta dell’esecutivo cileno, al fine di “trarre vantaggio dall’esperienza spagnola, sia in Catalogna che nei Paesi Baschi”. Pertanto, il governo cileno cerca di chiudere a forza un conflitto che ha le sue radici nel fragile e catastrofico ordine neoliberale.


RADIOGRAFÍA COMPLETA DE LA CRISIS POLÍTICA Y SOCIAL QUE SACUDE A CHILE

 

A principios de octubre, lo que inició como una evasión masiva en el metro de de Santiago de Chile como forma de protesta ante el aumento del servicio, se transformó en un ciclo de protestas de 21 días que pese a las represión, suspensión del incremento y otras medidas coyunturales por parte del gobierno de Sebastián Piñera, no han podido ser contenidas.

Una semana después de este evento, se derrumbó el mito del país vitrina del libre mercado y ejemplo de civilidad para las otras naciones del continente, cuando las principales ciudades de Chile eran un caos pruducto de la represión de carabineros y del ejército contra los manifestantes.

EL DETONANTE

El 6 de octubre entró en vigencia el aumento del pasaje del metro en 30 pesos para quedar en 820, un equivalente a 1.17 dólares. Al respecto, Cristian Pérez, académico de la Universidad Diego Portales, explicó a RT que el incremento tuvo un impacto regresivo para los que cobran salario mímino, 300 mil pesos (400 dólares aproximadamente), en tanto que para la gran mayoría de los trabajadores chilenos la movilidad en transporte público representa el 20 % de su paga mensual.

Las protestas en un principio estuvieron organizadas por estudiantes, y el 18 de octubre llegaron al punto más álgido cuando varias estaciones del transporte subterráneo cerraron por los enfrentamientos entre la polícía y los manifestantes. Esta acción fue catalogada por las autoridades como vandalismo injustificado porque el incremento no aplicaba para estudiantes ni adultos mayores.

Por su parte, la organización estudiantil argumentó que, si bien la medida no era para ellos, esta los afectaba directamente ya que su núcleo familiar sí sufriría el incremento.

Los disturbios que dejaron 40 estaciones del metro inoperativas, se trasladaron a las calles de Santiago registrándose “saqueos” y la quema del edificio corporativo de la empresa de electricidad, según un balance que ofreció en ese momento el jefe de Defensa Nacional, Javier Iturriaga del Campo.

LA RESPUESTA DEL ESTADO

Intentando erosionar el ritmo expansivo de las protestas, la respuesta del Estado consistió en aplicar la Ley de Seguridad del Estado, que le otorgaba más poder a los carabineros e interponía delitos contra quienes manifestaran en las calles. Las autoridades obviaron la actuación de la policía que en ese momento ya había dejado 137 heridos y más de 300 detenidos.

Contrario a lo esperado, los focos de protestas se multiplicaron en la capital y otras ciudades se sumaron a las jornadas de manifestaciones con cierre de vías, cacerolazos y concentraciones.

Ya en este punto, ante el parálisis del sistema de transporte subterráneo y superficial y sin posibilidades de contener la revuelta social, Piñera retrocedió en la ejecución del aumento del metro. Sin embargo, esto tampoco sirvió para frenar las manifestaciones en repudio a su gobierno.

Posteriormente, el gobierno se vio en la necesidad de mover un fuerte contingente militar desde otras regiones para enfrentar la situación. Este movimiento sirvió como preámbulo a la aplicación del toque de queda en la capital chilena.

Con esta medida que contemplaba el control militar de las calles de Santiago, los chilenos vivieron un flashback de los tiempos de la dictadura de Augusto Pinochet. A pesar de esto, las protestas continuaron fuera de la capital y el toque de queda se extendió a otras regiones como Antofagasta, Atacama, Valparaíso, O’Higgins, etc.

La crispación social fue mayor cuando el presidente de Piñera lanzó la consigna “estamos en guerra”, haciendo referencia a un supuesto enemigo implacable y poderoso, que estaba “dispuesto a usar la violencia y la delincuencia sin ningún límite”, una sentencia similar a la proferida por dictador Pinochet, en aras fabricar en el imaginario social un “enemigo interno” que justificara la masacre contra el bloque social que se opuso a la dictadura.

OTROS RECLAMOS

Con la consigna “no son treinta pesos, son treinta años”, el aumento del metro asomó el reclamo de otras deudas sociales que atraviesan a Chile producto de las políticas neoliberales aplicadas desde la época de la dictadura.

Un estudio revela que la desigualdad en Chile es desmedida, pues el 1% más rico se queda con más de un cuarto de la riqueza del país, mientras el 50% de las familias de menores ingresos tiene acceso solo al 2.1 %, refiere la BBC.

Los gremios de los sectores salud, transporte y educación también se sumaron a las movilizaciones para reclamar mejoras salariales. Un año antes de la crisis, en la nación suramericana ya reclamaban por el descenso en la calidad en el servicio de salud público y privado, donde los más afectados eran los pobres y adultos mayores por la forma en la que se organiza este sistema.

En cuanto al sector educativo, desde hace años demandan una educación pública gratuita.

La violencia de la protesta también se descargó contra la clase política chilena. Los sueldos mensuales de los senadores y diputados de ese país rondan cerca de los 10 millones de pesos (unos 11 mil dólares).

Esta cantidad representa un exabrupto para quienes los calificaron como “ladrones y corruptos”. A pesar de que hubo resistencia por parte de un sector, la presión social hizo que entrara en discusión la posibilidad de que se redujera el sueldo de los parlamentarios, reconocido como uno de los más altos de Latinoamérica y el mundo.

¿EL FIN DE UNA ERA?

Pinochet es uno de los referentes más sonados en la actual crisis de Chile. Además de las actuaciones policiales y militares que evocan el periodo dictatorial, en el plano político se puso sobre el tapete el hecho de que la actual Constitución de ese país fue aprobada por el dictador en 1980.

Todas las demandas sociales en Chile confluyeron en la necesidad realizar cambios profundos en la estructura política del Estado, eso implica, entre otras cosas, desligar la Carta Magna de la era de Pinochet.

Las primeras manifestaciones en las que se demandaba justicia social en áreas vitales como salud y educación, evolucionaron a un punto en el que se pedía la renuncia de Sebastián Piñera y de todo su gobierno.

Con las últimas movilizaciones, reconocidas como las más multitudinarias en la historia del país sudamericano, se forzó la convocatoria a una Constituyente, a través de un plesbicito pautado para abril de 2020.

ACTUACIÓN DE LOS CARABINEROS Y MILITARES

Desde el inicio de la crisis, la actuación de la polícia chilena tuvo fuertes cuestionamientos en medios y redes sociales. El uso desmedido de la fuerza, denuncias por abusos sexuales, mal empleo del armamento reglamentario, robos y desapariciones, fueron los hechos más denunciados.

Un estudio realizado por la Universidad de Austral de Chile reveló que el 80 % de los perdigones usados por los carabineros durante las manifestaciones “tienen alta concentración de plomo”. De las cuatro muestras estudiadas, se determinó que además de plomo, los proyectiles presentan concentración de otros materiales metálicos.

Desde el inicio de la crisis, 230 chilenos han perdido la vista por disparos de la policía.

RESPUESTA DE LA COMUNIDAD INTERNACIONAL

Unas de las actuaciones más cuestionadas durante el ciclo de protestas en Chile fue la de Michelle Bachelet. Si bien el uso desmedido de la fuerza por parte de los organismos de seguridad del Estado fue noticia a nivel global desde el 18 de octubre, la alta comisionada de la ONU para los Derechos Humanos se pronunció el 21 de ese mes.

El hecho de ser chilena y presidenta del país en dos periodos no continuos, despertó la indignación de muchos de sus conciudadados. Tres días después del pronunciamiento, la comisionada decidió enviar una comisión para “verificar” las denuncias de violaciones de los derechos humanos. Para esa fecha, ya la cifra de asesinados se elevaba a 18 y se contaban 1.500 heridos, según un balance presentado por las autoridades un día antes de su pronunciamiento.

En cuanto a la Organización de Estados Americanos (OEA), cuya actuación de su secretario general, Luis Almagro, ha estado orientada de acuerdo a las decisiones de política exterior de Estados Unidos, era de esperarse que su foco estuviera sobre Venezuela y los países no alineados a EE.UU.

Desde que empezó el conflicto en Chile ni en su periodo de mayor violencia hubo un pronunciamiento por parte del secretario del organismo multilateral. Almagro se dedicó a validar el golpe de Estado contra Evo Morales en Bolivia y a atacar a Venezuela y Cuba, mientras en Chile asesinaban a los manifestantes.

Cuarenta días después, el secretario se refirió a Chile solo para mencionar “los retos que enfrentan los sistemas democráticos en la región”, ambigüedad que coincide con la postura de Estados Unidos, que si bien no señaló a Venezuela directamente como responsable, se refirió a cierta influencia extranjera en el desarrollo de las protestas.

Por su parte, la alta comosionada del Parlamento Europeo, Federica Mogherini, llamó a “una ágil investigación de todos los crímenes y violaciones de los derechos humanos, de todos los sectores”, al tiempo que elogió las medidas del gobierno para responder a las demandas sociales.

UN BALANCE DE LA VIOLENCIA

Hasta el momento, tras cumplirse más de un mes de las revueltas sociales en Chile, el Instituto Nacional de Derecho Humanos de ese país reportó que 23 personas han fallecido, según la última actualización.

Asimismo, el organismo afirma que ha recibido 340 denuncias contra agentes del Estado por diversos delitos. De ese total, 245 corresponden a denuncias por torturas y 58 casos de violencia sexual, detalla el informe.

De los 2.381 heridos, 217 fueron lesionados de gravedad por disparos al rostro. Por otra parte, se cuentan 6.362 detenidos en comisarías y centros de salud, amplía el documento.

EL ACTUAL ESCENARIO

Pese a los señalamientos de organismos defensores de derechos humanos locales e internacionales, en la actualidad las calles de Chile siguen tomadas por los organismos de seguridad. El Estado de Emergencia se levantó pero Piñera presentó un proyecto de ley para utilizar a las Fuerzas Armadas para “la protección de infraestructura pública”.

A pesar los acuerdos entre oposición y gobierno, que incluye el plesbicito del año que viene, las movilizaciones siguen teniendo como demanda central la renuncia del presidente.

Hasta el momento, la consulta de 2020 le alarga la vida política a Sebastián Piñera. El panorama en el que se define si termina su mandato aún no está cerrado. Las grandes movilizaciones que congregaron a todos los sectores sociales de Chile, impulsores la Constituyente por la misma naturaleza que los conforma, no fueron capitalizadas por ningún sector político.

Entre tanto, España enviará especialistas en “control de masas” por petición del ejecutivo chileno, con el fin de “aprovechar la expericia española, tanto en Cataluña como en el País Vasco”. Así, el gobierno chileno busca cerrar a la fuerza un conflicto que hunde sus raíces en el quebradizo y catastrófico orden neoliberal.

Share Button

One thought on “Radiografia completa della crisi politica e sociale che scuote il Cile”

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.