Il vero interesse di USA e grandi transnazionali in AL e Caraibi

(parte I)

Qual è il vero interesse degli USA? e dei monopoli nella regione? La presunta libertà, democrazia, diritti umani? No. E’ preservare il dominio imperialista sulle risorse naturali

Enrique Moreno Gimenarez  www.granma.cu

Nostra America subisce, di nuovo, l’assalto dell’imperialismo USA e delle oligarchie. Ha luogo, nella regione, una triste realtà di pericolosa convulsione ed instabilità politica e sociale, promossa da Washington. Le forze più reazionarie nell’emisfero applicano contro i governi sovrani un copione di colpi di stato, formule di guerra non convenzionale, brutale repressione poliziesca, militarizzazione, misure unilaterali coercitive, procedimenti giudiziari truccati contro dirigenti progressisti e proclamano la validità della Dottrina Monroe e del maccartismo

Qual è il vero interesse di USA e monopoli nella regione? La presunta libertà, democrazia, diritti umani? No. E’ preservare il dominio imperialista sulle risorse naturali.

La ricchezza nostra americana, anche la sua “maledizione”?

 

Da quando gli imperi europei hanno trovato, in America, importanti risorse, hanno saccheggiato e colonizzato le nostre terre, la storia dei paesi della regione è stata la spoliazione delle loro ricchezze naturali, pagina simile a quella di altre aree geografiche del pianeta. Nel nostro caso, prima l’hanno fatto Spagna, Francia, Portogallo ed Inghilterra nella fase coloniale; più tardi, gli USA e le grandi transnazionali. Una volta conquistata l’indipendenza, il dominio economico imperialista è continuato fino ad oggi nella maggior parte delle nazioni dell’emisfero.

«Come i primi conquistatori spagnoli, che scambiavano specchietti e paccottiglia con oro e argento, così commerciano gli USA con l’America Latina. Conservare questo torrente di ricchezza, impadronirsi sempre più delle risorse d’America e sfruttare i suoi popoli sofferenti: questo è ciò che occultava dietro patti militari, missioni militari e consigli diplomatici di Washington”, avvertiva il dirigente storico del Rivoluzione cubana Fidel Castro Ruz nella Seconda Dichiarazione dell’Avana, il 4 febbraio 1962.

I governi progressisti al nazionalizzare o recuperare, per i popoli, gran parte delle loro risorse naturali hanno danneggiato gli interessi monopolistici. Questi ultimi empori economici si dividono il mondo come una torta e non hanno accettato di rinunciare alla “succulenta fetta” dell’America Latina e dei Caraibi.

Basti segnalare che diversi paesi della regione possiedono una importante percentuale delle riserve minerarie mondiali: il 68% delle riserve mondiali di litio (Cile, Argentina e Bolivia), il 49% delle riserve d’argento (Perù, Cile, Bolivia e Messico), il 44% delle riserve di rame (Cile, Perù ed, in misura minore, Messico), il 33% delle riserve di stagno (Perù, Brasile e Bolivia), il 26% delle riserve di bauxite (Brasile, Guyana, Suriname, Venezuela e Giamaica), il 23% delle riserve di nichel (Brasile, Colombia, Venezuela, Cuba e Repubblica Dominicana) e il 22% delle riserve di ferro (Brasile, Venezuela e Messico), tra altri, raccoglie il rapporto ‘Risorse naturali: situazione e tendenze per un’agenda di sviluppo regionale in America Latina e Caraibi’, un contributo della Commissione Economica per l’America Latina ed i Caraibi (CEPAL) alla Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC) .

Da qui la rilevanza strategica di questa parte del mondo per gli interessi USA. Di certo, anche l’area più vicina ai suoi confini nazionali, e di conseguenza qualsiasi intervento diretto o indiretto, sotto qualsiasi pretesto, sarebbe più economico rispetto ad un altro realizzato in Africa o Asia, anche se neppure rinunciano a quest’ultimi. Uno sguardo retrospettivo alla storia regionale dimostra la meridiana chiarezza di quella frase di El Libertador Simón Bolívar: “Gli USA sembrano destinati dalla Provvidenza a piagare l’America di miserie in nome della libertà”.

Dietro il sipario … l’interesse di Washington per Venezuela e Brasile

 

Il termine petro-aggressione allude alla tendenza degli stati ricchi di petrolio di essere bersaglio di aggressioni straniere, con scuse di qualsiasi tipo. Le recenti guerre in Medio Oriente (Afghanistan, Iraq, Libia e Siria) promosse dagli USA e dai loro alleati hanno questo carattere.

Secondo i dati della società venezuelana Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA), la Faglia Petrolifera dell’Orinoco Hugo Chávez Frías è il giacimento più grande del mondo. Il 31 dicembre 2010, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) ha ufficializzato il lavoro di certificazione delle riserve petrolifere svolto dal Ministero del Petrolio e Miniere. In questo modo, l’OPEC «ha rivelato la vera situazione delle riserve di petrolio che esistono nella Faglia Petrolifera dell’Orinoco Hugo Chávez Frias, con la certificazione di 270976 milioni di barili (MMBlS) di greggi pesanti ed extra pesanti (…). Con questa certificazione, oltre alla riserva altrettanto certificata di 28977 mmbls di greggio leggero e medio, la Repubblica Bolivariana del Venezuela totalizza 299953 mmbls, un fatto che colloca il paese con la più grande riserva di greggio sul pianeta”, osserva la Collezione Quaderni di Sovranità Petrolifera di PDVSA.

Secondo la pubblicazione, il Venezuela con il 25% delle riserve dell’OPEC e il 20% di quelle corrispondenti su scala mondiale, ha il petrolio necessario per promuovere il suo sviluppo nei prossimi 300 anni, con un tasso di recupero del 20% .

D’altra parte, nel 2007 la compagnia Petróleo Brasileiro s. a. (Petrobras) ha annunciato la scoperta di notevoli risorse di petrolio e gas naturale in giacimenti situati sotto uno strato impermeabile di sale sulla costa del paese, depositati 150 milioni di anni fa. Le scoperte nel Presal del Brasile sono tra le più importanti a livello mondiale negli ultimi dieci anni. Quest’area è formata da grandi accumuli di olio leggero di eccellente qualità ed alto valore commerciale, secondo le informazioni di Petrobras.

Il Ministero brasiliano delle Miniere e Energia sottolinea che la Presal è attualmente una delle fonti di petrolio e gas più importanti del pianeta e che circa il 70% di quelle riserve nazionali si trovano nelle aree del Presal.

Il Triangolo del Litio si trova in Sud America

 

Chi dubita che il recente colpo di stato in Bolivia sia stato promosso dagli USA, motivato da interessi economici e politici? La nazionalizzazione degli idrocarburi e delle società strategiche, con protagonista il presidente Evo Morales, ha significato la libertà economica per la Bolivia, ma anche una stoccata ai monopoli energetici. Per l’imperialismo è stato intollerabile che il popolo boliviano recuperasse i profitti del petrolio e del gas, ed in particolare rimanere fuori dai succulenti affari del saccheggio di un ambito minerale di cui la nazione sudamericana detiene il 30% delle riserve internazionali: il litio.

Questa risorsa viene definita come “oro bianco” o “minerale del futuro” per molteplici ragioni. Le sue proprietà chimiche lo convertono nell’elemento solido più leggero conosciuto, ha metà della densità dell’acqua e si evidenzia come un efficiente conduttore di calore ed elettricità. Questo rilevante potenziale elettrochimico lo converte in un materiale ideale per la fabbricazione di batterie elettriche per l’accumulo di energia (batterie LI-ion), con un ruolo imprescindibile nella fabbricazione di dispositivi elettronici (telefoni cellulari, tablet, ecc.) ed auto elettriche, tra altri usi.

L’accesso a questo minerale è oggi il centro delle controversie globali. “Casualmente”, le maggiori riserve mondiali si trovano nel cosiddetto Triangolo di Litio nella regione di confine tra Bolivia, Cile ed Argentina, in Sud America. Quel territorio concentra circa il 68% delle riserve globali -la Bolivia ha il 30% delle riserve mondiali e la più grande riserva di litio del pianeta, situata nella piana salina di Uyuni; Cile 21% ed Argentina 17% del totale–, secondo uno studio pubblicato sulla Rivista Latino-americana Polis, citata da RT.

Alcuni analisti prevedono già le future guerre per il litio, come all’epoca è avvenuto per il petrolio. Un altro segnale per mantenerci allerta a sud del Rio Grande sino alla Patagonia e difendere la Proclamazione dell’America Latina e dei Caraibi come Zona di Pace, contro la voracità USA e delle oligarchie. Solo l’unità regionale impedirà una nuova guerra di rapina e balcanizzazione nella Nostra America.

(parteII)

La ricchezza della nostra regione e la sua rilevanza geostrategica mondiale deve tradursi nello sviluppo economico dei nostri popoli, e non nel tradizionale saccheggio realizzato dai monopoli

 

Oltre alla sua rilevanza internazionale per le sue grandi riserve di idrocarburi e minerali strategici, Nostra America ha anche un terzo delle riserve mondiali di acqua dolce, un quinto delle foreste naturali, il 12% dei suoli coltivabili ed abbondante biodiversità ed ecosistemi di importanza climatica globale, come l’Amazzonia.

E questi dati non hanno una minore importanza, considerando che il principale fattore scatenante dei futuri conflitti su scala planetaria sarà la ineguale distribuzione delle risorse idriche.

«La guerra per l’acqua sarà molto peggio di una guerra per l’energia. Le persone possono vivere senza petrolio, ma non possono sopravvivere senza acqua”, ha avvertito il presidente del dell’Istituto del Vicino Oriente dell’Accademia delle Scienze di Russia, Yevgueni Satanovski, citato da RT.

A questo proposito, la direttrice generale dell’UNESCO, Audrey Azoulay, nell’edizione 2019 del Rapporto Mondiale sullo Sviluppo delle Risorse Idriche, coordinato dall’UNESCO in collaborazione con il sistema ONU-Acqua, riconosce che: «E’ molto quello che c’è in gioco: quasi un terzo della popolazione mondiale non ha accesso a servizi di acqua potabile gestiti in maniera sicura, vale a dire, che solo due terzi della popolazione mondiale ha accesso a questi servizi».

Pertanto, questo è un altro segnale di allerta per la regione dell’America Latina e dei Caraibi, che ospita un terzo delle riserve mondiali di acqua dolce. Da ciò che questo tema non solo risulta una questione di sicurezza alimentare, ma anche di produzione industriale e sicurezza nazionale per le nazioni dell’area, di fronte alle ambizioni imperialiste ed ai piani di sviluppo delle grandi transnazionali che hanno bisogno, senza dubbio, di questa vitale risorsa.

L’Amazzonia: molto più che il polmone verde del pianeta

 

La regione amazzonica, con 7,4 milioni di km2, rappresenta il 4,9% dell’area continentale mondiale e copre estensioni di otto paesi: Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela.

La conca del Rio delle Amazzoni è la più grande del mondo, con una media di 230.000 m3 di acqua al secondo, che corrisponde a circa il 20% dell’acqua dolce sulla superficie terrestre mondiale, secondo la Commissione Economica per l’America Latina ed i Caraibi (CEPAL).

«Un’importante porzione del suo territorio è sotto figure di protezione, come aree protette e riserve indigene; tuttavia, ha affrontato importanti processi derivati ​​da pressioni della colonizzazione, deforestazione ed estrattivismo, che hanno aumentato la vulnerabilità dell’ecosistema davanti a scenari di cambio climatico globale. Si identifica come un territorio che genera servizi ambientali, su scala regionale e mondiale, il che lo rende anche una questione geopolitica”, afferma la CEPAL.

Nel convulso contesto mondiale, diversi attori pretendono trarre profitto dalla regione amazzonica per le potenzialità delle sue risorse naturali –acqua, idrocarburi e minerali–, la sua biodiversità e la sua importanza per l’agricoltura. In questa lotta, gli USA non vogliono perdere l’egemonia né cedere terreno per i suoi grandi monopoli di fronte ad altri competitori stranieri o alle industrie delle stesse nazioni sudamericane.

«D’altra parte, due indispensabili fattori per la produzione di alimenti come l’acqua e la terra si trovano in grande magnitudine nella regione. La scarsità di queste risorse e la crescente concorrenza tra le grandi nazioni per avere un controllo strategico può generare una pressione affinché i paesi amazzonici sfruttino tali risorse”, ribadisce il rapporto Amazzonia possibile e sostenibile del CEPAL.

Altri studi corroborano che due paesi dell’America Latina sono nella lista delle dieci nazioni con le maggiori riserve idriche del mondo: Brasile, con circa 6950 km3, e Venezuela con 1320 km3 e di circa mille fiumi e cascate d’acqua dolce. In quest’ultimo caso, è importante aggiungere che il fiume Orinoco è il terzo più grande dell’America Latina.

A buon intenditore, poche parole … L’imperialismo non lascerà che “queste acque corrano” lontano dalle sue mani. Da qui le sue costanti pressioni per mantenere la sua egemonia sugli Stati amazzonici, soprattutto perché se il degrado dell’ambiente naturale e le pressioni insostenibili sulle risorse idriche mondiali continuano al ritmo attuale, il 45% del PIL globale, il 52% della popolazione mondiale ed il 40% della produzione mondiale di cereali saranno a rischio entro il 2050, secondo le Nazioni Unite.

Ma l’interesse di Nostra America per il grande capitale transnazionale va ben oltre delle sue risorse naturali. La sua posizione geografica gli conferisce un ruolo essenziale per il commercio mondiale.

L’importanza geostrategica della Conca dei Caraibi

 

“Dal momento in cui gli europei hanno toccato le terre del Nuovo Mondo, il Gran Caribe si è convertito in un pezzo fondamentale della sua espansione nel Continente”, afferma un articolo dell’Osservatorio Latinoamericano di Geopolitica dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM).

In effetti, il Mar dei Caraibi, le sue isole e le nazioni dell’area rappresentano una posizione geostrategica rilevante come punto di interconnessione del traffico marittimo e del commercio internazionale da diversi secoli. Pertanto gli imperi, in diverse epoche storiche, hanno cercato di preservare il loro dominio su quest’area, uno scenario di inevitabile transito tra USA, Messico, Sud America ed una via di comunicazione tra gli oceani Pacifico ed gli Atlantico.

Gli USA hanno presto cercato di mantenere la loro egemonia nell’area. Per questo, sono ricorsi a varie strategie e politiche, come la Dottrina Monroe -che oggi pretende rilanciare- la politica del Destino Manifesto e, persino, gli interventi militari.

Il suddetto articolo dell’UNAM riconosce che: “Da quando gli USA si sono costituiti come nazione, il Canale di Panama è uno dei suoi obiettivi centrali. Immediatamente la diplomazia e le forze militari USA si avvicinano, giocando con le diverse parti nelle lotte per l’indipendenza, per rimanere meglio posizionati rispetto a qualsiasi altro. Firmano accordi così tanto permissivi come quelli di Cuba ed, infine, completano l’occupazione definitiva del canale nel 1914».

Il Canale di Panama è un importante pezzo nello scacchiere mondiale. Attualmente passano circa 12000 navi annualmente per questo enclave con merci ed i suoi principali utenti sono USA e la Cina.

Per Washington, il dominio del Canale permetterebbe avere un passaggio sicuro per le sue due flotte navali da guerra, in entrambi gli oceani, risparmiando molte miglia di navigazione. Inoltre, la via interoceanica risulta vitale nelle sue relazioni economiche con i paesi asiatici.

Una questione non meno importante nei Caraibi è la localizzazione dei giacimenti petroliferi USA, molto vicini alle coste del Golfo del Messico o nelle sue profondità. Questa ragione eleva l’interesse, della conca, per la Casa Bianca. Causalità, allora, che l’area sia praticamente circondata da basi USA?

«La disposizione delle posizioni militari in tutto l’arco caraibico, chiudendosi nel Canale di Panama, ma con un raggio che copre la conca amazzonica, con portata immediata a quei luoghi in cui si stabiliscono alcune ideologie alternative, è stata una priorità della politica strategica USA per tutto il XX secolo e quanto passato del XXI”, aggiunge lo studio dell’Osservatorio Latinoamericano di Geopolitica.

Elementi sufficienti per serrare i ranghi davanti alle aspirazioni dell’egemonia imperiale sull’America Latina e sui Caraibi. La ricchezza della nostra regione e la sua rilevanza geostrategica mondiale deve tradursi nello sviluppo economico dei nostri popoli e non nel tradizionale saccheggio realizzato dai monopoli.


El verdadero interés de Estados Unidos y las grandes transnacionales en América Latina y el Caribe

(parte I)

¿Cuál es el verdadero interés de EE.UU. y los monopolios en la región? ¿La supuesta libertad, la democracia, los derechos humanos? No. Es preservar la dominación imperialista sobre los recursos naturales

Autor: Enrique Moreno Gimenarez

Nuestra América padece otra vez la arremetida del imperialismo estadounidense y de las oligarquías. Acontece en la región una triste realidad de peligrosa convulsión e inestabilidad política y social, promovida desde Washington. Las fuerzas más reaccionarias del hemisferio aplican contra los gobiernos soberanos un guion de golpes de Estado, fórmulas de guerra no convencional, represión policial brutal, militarización, medidas coercitivas unilaterales, procesos judiciales amañados contra líderes progresistas, y proclaman la vigencia de la Doctrina Monroe y el Macartismo.

¿Cuál es el verdadero interés de EE.UU. y los monopolios en la región? ¿La supuesta libertad, la democracia, los derechos humanos? No. Es preservar la dominación imperialista sobre los recursos naturales.

La riqueza nuestroamericana, ¿también su «maldición»?

Desde que los imperios europeos encontraron en América importantes recursos, saquearon y colonizaron nuestras tierras, la historia de los países de la región ha sido la del despojo de sus riquezas naturales, página similar a la de otras zonas geográficas del planeta. En nuestro caso, primero lo hicieron España, Francia, Portugal e Inglaterra en la etapa colonial; más tarde, Estados Unidos y las grandes transnacionales. Conquistada la independencia, continuó la dominación económica imperialista hasta nuestros días en la mayoría de las naciones del hemisferio.

«Como los primeros conquistadores españoles, que cambiaban a los indios espejos y baratijas por oro y plata, así comercia Estados Unidos con América Latina. Conservar ese torrente de riqueza, apoderarse cada vez más de los recursos de América y explotar a sus pueblos sufridos: he ahí lo que se ocultaba tras los pactos militares, las misiones castrenses y los cabildeos diplomáticos de Washington», advertía el líder histórico de la Revolución Cubana Fidel Castro Ruz en la Segunda Declaración de La Habana, el 4 de febrero de 1962.

Los gobiernos progresistas al nacionalizar o recuperar para los pueblos gran parte de sus recursos naturales afectaron los intereses monopólicos. Estos últimos emporios económicos se reparten el mundo como un pastel y no aceptaron renunciar a la «jugosa tajada» de América Latina y el Caribe.

Baste señalar que varios países de la región poseen una proporción importante de las reservas minerales del planeta: el 68 % de las reservas mundiales de litio (Chile, Argentina y Bolivia), el 49 % de las reservas de plata (Perú, Chile, Bolivia y México), el 44 % de las reservas de cobre (Chile, Perú y, en menor grado, México), el 33 % de las reservas de estaño (Perú, Brasil y Bolivia), el 26 % de las reservas de bauxita (Brasil, Guyana, Surinam, Venezuela y Jamaica), el 23 % de las reservas de níquel (Brasil, Colombia, Venezuela, Cuba y República Dominicana), y el 22 % de las reservas de hierro (Brasil, Venezuela y México), entre otros, recoge el informe Recursos naturales: situación y tendencias para una agenda de desarrollo regional en América Latina y el Caribe, una contribución de la Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal) a la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac).

De ahí la relevancia estratégica de esta parte del mundo para los intereses estadounidenses. Por cierto, también la zona más cercana a sus fronteras nacionales, y por consiguiente cualquier intervención directa o indirecta, bajo cualquier pretexto, sería más barata en comparación con otra llevada a cabo en África o Asia, aunque tampoco renuncien a estas últimas. Una mirada retrospectiva a la historia regional demuestra la claridad meridiana de aquella frase de El Libertador Simón Bolívar: «Los Estados Unidos parecen destinados por la Providencia a plagar la América de miserias en nombre de la libertad».

Tras el telón… el interés de Washington por Venezuela y Brasil

El término petro-agresión alude a la tendencia de los estados ricos en petróleo de ser el blanco de agresiones foráneas, con excusas de cualquier tipo. Las guerras recientes en el Oriente Medio (Afganistán, Irak, Libia y Siria) impulsadas por Estados Unidos y sus aliados tienen este carácter.

De acuerdo con datos de la corporación venezolana Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA), la Faja Petrolífera del Orinoco Hugo Chávez Frías es el reservorio más grande del mundo. El 31 de diciembre de 2010, la Organización de Países Exportadores de Petróleo (OPEP) oficializó el trabajo de certificación de las reservas petroleras realizado por el Ministerio de Petróleo y Minería. De esta manera, la OPEP «reveló la verdadera situación de las reservas petroleras que existen en la Faja Petrolífera del Orinoco Hugo Chávez Frías, con la certificación de 270 976 millones de barriles (MMBlS) de crudos pesados y extrapesados (…). Con esta certificación, además de la reserva igualmente certificada de 28 977 mmbls de crudos livianos y medianos, la República Bolivariana de Venezuela totaliza 299 953 mmbls, hecho que coloca al país con la mayor reserva de crudos en el planeta», señala la Colección Cuadernos de Soberanía Petrolera de PDVSA.

Según la publicación, Venezuela cuenta con el 25 % de las reservas de la OPEP y el 20 % de las que corresponden a escala mundial, posee el petróleo necesario para impulsar su desarrollo durante los próximos 300 años, a una tasa de recuperación del 20 %.

Por otra parte, en 2007 la empresa Petróleo Brasileiro s. a. (Petrobras) anunció el descubrimiento de sustanciales recursos de petróleo y gas natural en reservorios ubicados bajo una capa impermeable de sal en el litoral del país, depositados hace 150 millones de años. Los descubrimientos en el Presal de Brasil se encuentran entre los más importantes a nivel mundial en la última década. Esta zona está formada por grandes acumulaciones de aceite ligero de excelente calidad y alto valor comercial, de acuerdo con informaciones de Petrobras.

El Ministerio brasileño de Minas y Energía destaca que el Presal es actualmente una de las fuentes de petróleo y gas más importantes del planeta, y que alrededor del 70 % de esas reservas nacionales se hallan en las zonas presalinas.

El Triángulo del Litio se encuentra en Sudamérica

¿Quién duda que el reciente golpe de Estado en Bolivia fue promovido por Estados Unidos, motivado por intereses económicos y políticos? La nacionalización de los hidrocarburos y de las empresas estratégicas protagonizada por el presidente Evo Morales significó la libertad económica para Bolivia, pero también una estocada a los monopolios energéticos. Para el imperialismo fue intolerable que el pueblo boliviano recuperara las ganancias del petróleo y el gas, y especialmente quedarse fuera del jugoso negocio del saqueo de un codiciado mineral del que la nación sudamericana tiene el 30 % de las reservas internacionales: el litio.

A este recurso se le denomina como el «oro blanco» o «mineral del futuro» por múltiples razones. Sus propiedades químicas lo convierten en el elemento sólido más ligero que se conoce, posee la mitad de densidad del agua, y sobresale como un eficiente conductor de calor y electricidad. Este relevante potencial electroquímico lo convierte en un material ideal para la fabricación de baterías eléctricas para el almacenamiento de energía (baterías Li-Ion), con un rol imprescindible en la fabricación de dispositivos electrónicos (celulares, tabletas, etc.) y automóviles eléctricos, entre otros usos.

El acceso a este mineral resulta hoy centro de las disputas globales. «Casualmente», las mayores reservas mundiales se hallan en el llamado Triángulo del Litio en la región fronteriza entre Bolivia, Chile y Argentina, en Sudamérica. Ese territorio concentra alrededor del 68 % de las reservas globales –Bolivia posee el 30 % de las reservas mundiales y la mayor reserva de litio del planeta, ubicada en el salar de Uyuni; Chile el 21 %, y Argentina el 17 % del total–, según un estudio publicado en la Revista Latinoamericana Polis, citado por RT.

Algunos analistas pronostican ya las futuras guerras por el litio, como en su momento ocurrió por el petróleo. Otra señal para mantenernos alertas al sur del río Bravo hasta la Patagonia, y defender la Proclama de América Latina y el Caribe como Zona de Paz, frente a la voracidad de Estados Unidos y las oligarquías. Solo la unidad regional impedirá una nueva guerra de rapiña y la balcanización en Nuestra América.

(parte II)

La riqueza de nuestra región y su relevancia geoestratégica mundial debe traducirse en el desarrollo económico de nuestros pueblos, y no en el saqueo tradicional realizado por los monopolios

Más allá de su relevancia internacional por sus cuantiosas reservas de hidrocarburos y minerales estratégicos, Nuestra América cuenta también con un tercio de las reservas de agua dulce de todo el mundo, una quinta parte de los bosques naturales, el 12 % de los suelos cultivables y abundante biodiversidad y ecosistemas de importancia climática global, como el Amazonas.

Y estos datos no tienen una importancia menor, teniendo en cuenta que el principal desencadenante de los futuros conflictos a escala planetaria será la desigual distribución de los recursos hídricos.

«La guerra por el agua será mucho peor que una guerra por la energía. Las personas pueden vivir sin petróleo, pero no pueden sobrevivir sin agua», alertó el Presidente del Instituto de Oriente Próximo de la Academia de las Ciencias de Rusia, Yevgueni Satanovski, citado por rt.

En este sentido, la directora general de la Unesco, Audrey Azoulay, en la edición de 2019 del Informe Mundial Sobre el Desarrollo de los Recursos Hídricos, coordinado por la Unesco en colaboración con el sistema ONU-Agua, reconoce que: «Es mucho lo que hay en juego: casi un tercio de la población mundial no tiene acceso a servicios de agua potable administrados de manera segura, es decir, que solo dos tercios de la población mundial tienen acceso a estos servicios».

Por tanto, esta es otra señal de alerta para la región de América Latina y el Caribe, que alberga un tercio de las reservas de agua dulce de todo el mundo. De ahí que este tema no solo resulta una cuestión de seguridad alimentaria, sino también de producción industrial y seguridad nacional para las naciones del área, frente a las ambiciones imperialistas y los planes de desarrollo de las grandes transnacionales que precisan, indiscutiblemente, de este vital recurso.

La Amazonía: mucho más que el pulmón verde del planeta

La región de la Amazonía, con 7,4 millones de km2, representa el 4,9 % del área continental mundial y cubre extensiones de ocho países: Brasil, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perú, Surinam y Venezuela.

La cuenca del río Amazonas es la más grande del mundo, con un promedio de 230 000 m3 de agua por segundo, que corresponde aproximadamente al 20 % del agua dulce en superficie terrestre mundial, de acuerdo con la Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal).

«Una porción importante de su territorio se encuentra bajo figuras de protección, como áreas protegidas y reservas indígenas; sin embargo, ha enfrentado procesos importantes derivados de presiones de la colonización, la deforestación y el extractivismo, que han aumentado la vulnerabilidad del ecosistema ante escenarios de cambio climático global. Se identifica como un territorio generador de servicios ambientales, a escalas regional y mundial, lo que también lo hace un asunto geopolítico», refiere la Cepal.

En el convulso contexto mundial varios actores pretenden sacar provecho de la región amazónica por las potencialidades de sus recursos naturales –agua, hidrocarburos y minerales–, su biodiversidad y su trascendencia para la agricultura. En esta contienda, Estados Unidos no quiere perder la hegemonía ni ceder terreno a sus grandes monopolios frente a otros competidores foráneos o las industrias de las propias naciones sudamericanas.

«Por otro lado, dos factores indispensables para la producción de alimentos como el agua y la tierra se encuentran en grandes magnitudes en la región. La escasez de estos recursos y la competencia cada vez mayor entre las grandes naciones por tener un control estratégico puede generar una presión para que los países amazónicos exploten esos recursos», reitera el informe Amazonía posible y sostenible de la Cepal.

Otros estudios corroboran que dos países latinoamericanos se encuentran en la lista de las diez naciones con la mayores reservas de agua del mundo: Brasil, con aproximadamente 6 950 km3, y Venezuela con 1 320 km3 y alrededor de mil ríos y saltos de agua dulce. En este último caso, es importante añadir que el río Orinoco es el tercero más grande de América Latina.

A buen entendedor, pocas palabras bastan… El imperialismo no dejará «estas aguas correr» lejos de sus manos. De ahí sus constantes presiones en aras de mantener su hegemonía sobre los Estados amazónicos, especialmente porque si la degradación del medioambiente natural y las presiones insostenibles sobre los recursos hídricos mundiales continúan al ritmo actual, el 45 % del pib global, el 52 % de la población mundial y el 40 % de la producción mundial de cereales estarán en riesgo para 2050, de acuerdo con las Naciones Unidas.

Pero el interés de Nuestra América para el gran capital transnacional va mucho más allá de sus recursos naturales. Su posición geográfica le confiere un rol esencial para el comercio mundial.

La importancia geoestratégica de la Cuenca del Caribe

«Desde el momento en que los europeos tocaron tierras del Nuevo Mundo el Gran Caribe se convirtió en una pieza fundamental de su expansión en el Continente», señala un artículo del Observatorio Latinoamericano de Geopolítica de la Universidad Nacional Autónoma de México (unam).

En efecto, el mar Caribe, sus islas y las naciones de la zona representan una posición geoestratégica relevante como punto de interconexión del tráfico marítimo y el comercio internacional desde hace varios siglos. De ahí que los imperios en diferentes épocas históricas hayan intentado preservar su dominio sobre esta área, un escenario de tránsito ineludible entre Estados Unidos, México, Sudamérica y una vía de comunicación entre los océanos Pacífico y Atlántico.

Estados Unidos tempranamente intentó mantener su hegemonía sobre la zona. Para ello acudió a diversas estrategias y políticas, como la Doctrina Monroe –que hoy pretende relanzar–, la política del Destino Manifiesto e, incluso, las intervenciones militares.

El citado artículo de la unam reconoce que: «Desde que Estados Unidos se constituye como nación, el Canal de Panamá es uno de sus objetivos centrales. Inmediatamente la diplomacia y las fuerzas militares estadounidenses se aproximan, jugando con los diferentes bandos en las luchas por la independencia, para quedar mejor posicionados que cualquiera de ellos. Firman acuerdos casi tan permisivos como los de Cuba y, finalmente, consuman la ocupación definitiva del canal en 1914».

El Canal de Panamá es una importante ficha en el tablero mundial. En la actualidad pasan alrededor de 12 000 naves anuales por este enclave con mercancías y sus principales usuarios son Estados Unidos y China.

Para Washington el dominio del Canal le permitiría tener paso seguro para sus dos flotas navales de guerra, en ambos océanos, ahorrando cuantiosas millas de navegación. Además, la vía interoceánica resulta vital en sus relaciones económicas con los países asiáticos.

Un asunto no menos importante del Caribe constituye la localización de los yacimientos petroleros estadounidenses, muy cercanos a las costas del Golfo de México o en sus profundidades. Esta razón eleva el interés de la cuenca para la Casa Blanca. ¿Casualidad entonces que el área se encuentre prácticamente rodeada de bases estadounidenses?

«El trazado de posiciones militares en todo el arco caribeño, cerrando en el Canal de Panamá, pero con un radio que cubre la cuenca amazónica, con alcance inmediato a esos lugares donde se asientan algunas ideologías alternativas, ha sido prioridad de la política estratégica de Estados Unidos durante todo el siglo xx y lo que va del xxi», añade el estudio del Observatorio Latinoamericano de Geopolítica.

Elementos suficientes para cerrar filas ante las aspiraciones de hegemonía imperial sobre América Latina y el Caribe. La riqueza de nuestra región y su relevancia geoestratégica mundial debe traducirse en el desarrollo económico de nuestros pueblos, y no en el saqueo tradicional realizado por los monopolios.

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