La strategia dell’Impero

addossare al governo la responsabilità se le navi con il petrolio non arrivano a Cuba

A. Puccio www.farodiroma.it

Negli ultimi giorni sulle reti sociali sono apparse varie notizie che commentavano duramente, dando la colpa al governo, le limitazioni di alcuni beni a Cuba. Le varie notizie pubblicate sui social network, corredate da foto in cui appaiono file interminabili di persone di fronte ai negozi in attesa del proprio turno per acquistare beni essenziali, dai sempre attenti cubani che auspicano un cambio di governo e non perdono occasione per addossare a Diaz Canel la responsabilità di quanto avviene, hanno nelle ultime settimane alimentato la creazione di ulteriori notizie false atte a destabilizzare il governo.

Da tempo si sente dire in giro che tra poco Cuba si troverà nuovamente a fronteggiare una crisi simile a quella degli inizi degli anni ’90 del secolo scorso conosciuta sull’isola come periodo especial. La situazione attuale a Cuba è piuttosto difficile ma lontana da quel periodo: mancano vari prodotti o meglio non sono sufficienti a soddisfare la domanda. Ecco spiegato il motivo delle frequenti file di fronte ai negozi appena arriva un prodotto, la paura di rimanere senza spinge all’acquisto in quantità superiori al necessario. Spesso quando si forma una fila appare come per magia un cubano dotato di telefono che riprende le persone che stazionano di fronte al negozio e dopo pochi minuti il post che accusa il governo di inefficienza e di voler tenere la popolazione alla fame è pronto per invadere la rete.

Questi attenti “giornalisti di strada” che, come detto, auspicano il cambio di governo socialista con un migliore capitalismo, dimenticano che la causa primaria di tali limitazioni alla distribuzione di merci risiede proprio nel paese da loro visto come il paradiso in terra ovvero gli Stati Uniti. Il giardino dove l’erba è sempre verde che dista 80 miglia da Cuba è la principale causa dei problemi che affliggono da quasi sessanta anni il popolo cubano.

Non mi addentrerò nella storia del blocco economico, commerciale e finanziario che soffre Cuba dato che più volte ho scritto ma mi limiterò a citare solo un semplice esempio delle misure intraprese dall’amministrazione Trump.

Uno dei prodotti che attualmente mancano è il combustibile. Tutto deriva dalla mancanza di petrolio e benzina. Per soffocare l’economia cubana Trump e soci hanno deciso di multare tutte le petroliere che arrivino a Cuba, quindi l’isola si è trovata nella situazione non invidiabile di non avere combustibile per far fronte alle proprie esigenze. L’agricoltura ha bisogno di combustibile per i trattori e le macchine agricole, i trasporti hanno bisogno di combustibile per spostare le merci dai campi alle città, le industrie hanno bisogno di combustibile per produrre le merci che andranno nei mercati, la salute ha bisogno di combustibile per le autoambulanze e così via. Come si vede la responsabilità non può essere addossata al governo se le navi con il petrolio non arrivano a Cuba.

Parallelamente a quanto avviene a causa delle limitazioni al libero commercio provocato dal blocco economico occorre anche ricordare che l’isola soffre di una produttività non certo ai massimi livelli. Il governo da anni sta intraprendendo politiche economiche atte all’aumento della produzione interna di tutto ciò che può essere prodotto consapevole di essere sotto assedio e quindi sta cercando di dipendere il meno possibile dalle importazioni. Questa politica di indipendenza dalle importazioni sta piano piano rendendo il paese meno dipendente dall’estero ma i passi sono oggettivamente troppo lenti.

Spesso mi trovo a discutere con persone che si lamentano dello stato e gli imputano, nella classica logica della ricerca di un cambiamento per vivere meglio, le responsabilità della situazione attuale. Molti di loro li incontro alle ore più diverse in giro senza fare nulla o veramente poco, quindi mi viene da pensare un poco banalmente cosa facciano realmente per il loro paese se non lamentarsi continuamente. Questi sono coloro che auspicano un crollo del sistema cubano e dell’arrivo del capitalismo senza rendersi conto che se ciò avvenisse sicuramente avrebbero molto meno tempo per stare a bighellonare tutto il giorno spostandosi da una panchina all’altra all’arrivo del sole oppure a fotografare le file di fronte ai negozi per discreditare l’operato di chi, a differenza di loro, prova a lavorare per trovare una soluzione alla popolazione tra mille difficoltà.

In questo quadro le notizie vere o presunte pubblicate sui social hanno la funzione di alimentare quella che io ho più volte definito la controrivoluzione mediatica. Questo metodo oramai in uso in tutto il mondo per attaccare i paesi che non sottostanno alle leggi imposte dal capitalismo e dagli Stati Uniti ha il chiaro scopo di alimentare il dissenso interno con la fabbricazione o l’amplificazione di notizie tendenziose. Cuba, come molti altri paesi disobbedienti, soffre questo bombardamento mediatico dal primo giorno dal trionfo della rivoluzione: oggi molto più facile visto il proliferare degli smart phone ed internet.

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