Cuba: i nuovi ‘medici scalzi’

di Hernando Calvo Ospina traduzione Matthias Moretti

Mentre gli Stati Uniti sbarcano in Europa con 30.000 soldati con armamenti pesanti, Cuba, quasi isolata a livello politico ed economico nel mondo per volere di Washington, è chiamata d’urgenza da vari paesi europei affinché i suoi medici e le sue medicine aiutino a combattere il Corona virus… questo articolo pubblicato ne 2006 ha ancora molto valore.

Il presidente venezuelano Hugo Chávez firmò nel 1998 un accordo con il governo cubano che diede la nascita a un programma massiccio di salute pubblica. Da allora, 14.000 medici cubani seguono gratuitamente la popolazione dei quartieri e delle regioni più povere del Venezuela. Questa operazione è solo la punta dell’iceberg della cooperazione sanitaria dell’Avana con i paesi poveri del Sud.

Fine agosto del 2005. Il sud degli Stati Uniti è rimasto devastato dopo il passaggio dell’uragano Katrina. Le autorità si vedono superate dalla grandezza della catastrofe: la governatrice della Louisiana, Kathleen Babineaux, realizza una chiamata urgente alla comunità internazionale richiedendo aiuto a livello di personale medico. Il governo cubano reagisce immediatamente.

L’Avana offre di inviare, nello spazio massimo di 48 ore, un contingente di 1600 medici addestrati per agire in questo tipo di circostanze a New Orleans, ma anche nel Mississippi e in Alabama, gli altri Stati colpiti dall’uragano. Porterebbero con sé 36 tonnellate di medicine e altre risorse. Ma sia questa offerta come quella che le autorità cubane faranno direttamente al presidente George W. Bush rimasero senza risposta, mentre più di 1800 persone, soprattutto povere, morivano per mancanza di aiuto e di cure.

La tragedia di New Orleans ancora proseguiva quando l’8 ottobre del 2005 avviene in Pakistan, nella regione del Kashmir, uno dei peggiori terremoti della storia di questo paese. Le conseguenze umane e sanitarie sono drammatiche, in particolare nelle regioni più povere e isolate del nord. Il 15 ottobre arrivano i primi 200 medici cubani, con varie tonnellate di equipaggiamenti di emergenza. Pochi giorni dopo, L’Avana invia il materiale necessario per costruire ed equipaggiare 30 ospedali da campo. In alcune delle regioni colpite non era mai arrivato un medico. Non mancarono gli abitanti che scoprirono allora l’esistenza l’esistenza di un paese chiamato Cuba.

Per non andare contro la tradizione musulmana, le cubane (il 44% dei quasi 3000 medici che rimasero in Pakistan fino al maggio del 2006) si coprirono i capelli. In poco tempo si stabilì un clima di cordialità, tanto che molti pakistani accettarono che un uomo curasse la propria moglie o figlia. Alla fine di aprile del 2006, a pochi giorni dal proprio ritorno, lo staff medico cubano aveva curato un milione e mezzo di persone, per la maggior parte donne, e realizzato circa 13.000 interventi chirurgici. Una piccola parte dei pazienti, con traumi estremamente complicati, fu trasportata a L’Avana. Il presidente Pervez Musharraf, grande alleato degli Stati Uniti e amico di George W. Bush, ringraziò ufficialmente le autorità dell’Avana e riconobbe che l’aiuto di questo piccolo paese caraibico era stato il più importante tra tutti quelli ricevuti in occasione di questa catastrofe.

Efficacia sanitaria

 

La prima brigata medica internazionale cubana si formò nel 1963. Fu in Algeria, da poco indipendente, dove si diressero per la prima volta i 58 medici e tecnici che la componevano. Nel 1998, il governo cubano iniziò a strutturare l’aiuto medico di massa alle popolazioni dei paesi poveri colpiti da disastri naturali. Dopo il passaggio dei cicloni George e Mitch dall’America Centrale e dal Caribe, L’Avana offrì i suoi medici e infermieri per lavorare nell’ambito dei “Programmi Integrali di Salute”. Repubblica Dominicana, Honduras, Guatemala, Nicaragua, Haiti e Belize accettarono questo aiuto.

Ad Haiti, dove la popolazione povera patisce in modo cronico la mancanza di cure mediche, Cuba offrì di inviare aiuto medico massivo. L’Avana propose anche nel 1998 al governo francese, antica potenza coloniale, una specie di associazione umanitaria per aiutare gli abitanti haitiani. Parigi si mantenne in silenzio e alla fine decise, nel 2004, di inviare le sue truppe… Cuba inviò i suoi medici – 2500 dal 1998 – e le tonnellate di medicine che la sua debole economia le permette.

A causa della sua efficacia sanitaria, della gratuità totale del servizio o la possibilità di ottenerlo attraverso scambi di petrolio o risorse alimentari, e del fatto che i medici operano in zone dove non vanno i loro colleghi locali a causa della povertà della “clientela”, dell’insicurezza o della difficoltà di accesso, il programma fu richiesto da altri paesi, specialmente africani. Il personale della sanità cubana è pagato dal proprio governo.

Dal 1963 alla fine del 2005 più di 100.000 medici e tecnici della sanità prestarono i propri servizi in 97 paesi, specialmente in Africa e America Latina. Nel marzo del 2006 c’erano circa 25.000 professionisti in 68 nazioni. Un dispiegamento che nemmeno l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) può assicurare. Da parte sua, Medici Senza Frontiere inviò 2040 medici e infermieri all’estero nel 2003 e 2290 nel 2004. A questo si deve aggiungere l’attenzione garantita nel proprio territorio cubano, dove si curano i malati più gravi da qualunque paese del mondo. Fu all’Avana, per esempio, che venne curata Kim Phuc, quella bambina che correva nuda per una strada vietnamita con la pelle bruciata dai bombardamenti al napalm dell’esercito statunitense, una fotografia di Nick Ut che ebbe un impatto terribile sul mondo. Allo stesso modo, Cuba ricevette più di 19.000 bambini e adulti delle tre repubbliche sovietiche colpite dall’incidente nucleare di Chernobyl nel 1986.

Approfittando della propria esperienza nella prevenzione dell’AIDS (l’indice di contagio nell’Isola è dello 0,09%, di fronte allo 0,6% degli Stati Uniti), durante la sessione straordinaria dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sul tema, nel luglio del 2001, Cuba offrì “i medici, insegnanti e psicologi e altri specialisti che siano richiesti per fornire consulenza e collaborare con le campagne di prevenzione dell’AIDS e di altre malattie. Anche le squadre e i kit per la diagnosi necessari per programmi di base per la prevenzione dell’AIDS. Inoltre, il trattamento anti-retrovirale per 30.000 pazienti…”. E se il progetto fosse stato adottato “sarà soltanto necessario che la comunità internazionale fornisca le materie prime per le medicine. Cuba non otterrà alcun guadagno e garantirebbe i salari del suo personale”.

La proposta non ebbe fortuna. Senza dubbio, il progetto “Intervento educativo sull’HIV/AIDS” si è sviluppato in otto paesi dell’Africa e sei dell’America Latina, cosa che ha permesso la diffusione di programmi radiofonici e televisivi, così come ha reso possibile che più di 200.000 pazienti fossero curati e mezzo milione di lavoratori della sanità ricevessero formazione.

Nell’attualità, circa 14.000 medici cubani vivono nei quartieri più svantaggiati del Venezuela, nell’operazione denominata “Quartieri in Piedi”. Anche Caracas e L’Avana misero in marcia l’“Operazione Miracolo”, che durante i primi dieci mesi del 2005 ha permesso di recuperare la vista, in maniera gratuita, a circa 80.000 venezuelani, molti dei quali malati di cataratta o di glaucoma che dovettero essere portati a Cuba per operarsi. L’“Operazione” si ampliò ad altri cittadini latinoamericani e caribeñi colpiti da cecità e altre carenze della vista. Il Venezuela garantisce le risorse economiche e Cuba gli specialisti, il materiale operatorio e l’infrastruttura per seguire i malati per la durata del loro trattamento a Cuba.

Al giorno d’oggi, nessun governo, entità privata, o organismo internazionale è riuscito a strutturare un programma medico mondiale che dia una risposta efficace e in grande scala alle necessità, nel modo in cui lo ha fatto Cuba. Nell’ambito dell’“Operazione Miracolo” si aspira a operare agli occhi fino a un milione di persone all’anno.

A poche ore dal prendere il potere, nel dicembre 2005, il primo accordo internazionale che firmò il presidente eletto boliviano Evo Morales fu con il presidente Fidel Castro. In esso ci si accordava per creare un’unità cubano-boliviana che desse cura oftalmologica gratuita alla popolazione. Oltre all’Istituto Nazionale di Oftalmologia di La Paz, recentemente equipaggiato da Cuba, il programma conterà su un centro medico nelle città di Cochabamba e Santa Cruz. I giovani medici boliviani laureati nella Scuola Latinoamericana di Medicina (ELAM) parteciperanno al programma.

La scuola fu inaugurata nel 1998, quando Cuba iniziava a inviare medici nel Caribe e nell’America Centrale. Situata in un’antica base navale, nei dintorni dell’Avana, si propone di formare giovani provenienti da famiglie povere di tutto il continente americano – Stati Uniti inclusi – ma ci sono anche centinaia di studenti africani, arabi, asiatici ed europei. Partecipano nella formazione le 21 facoltà di Medicina sulle quali conta Cuba. Nel luglio del 2005 si sono laureati i primi 1610 medici latinoamericani. Ogni anno entrano circa duemila giovani, che hanno garantite gratuitamente la formazione, il vitto, l’alloggio e gli elementi di base per la pratica. In cambio si impegnano a tornare nelle proprie comunità d’origine per offrire le proprie conoscenze alle popolazioni locali.

Un’attività minacciata

 

Mossi da considerazioni ideologiche e interessi corporativi, organizzazioni di medici e oftalmologi di vari paesi hanno lanciato campagne contro questa iniziativa. Nel bollettino del Consiglio Argentino di Oftalmologia, per esempio, si diceva questo degli oftalmologi cubani, citando fonti anonime: “Nessuno sa niente, nemmeno se siano medici”. Sebbene il 20 febbraio 2006 si riconoscesse: “L’Operazione Miracolo recluta pazienti dalle scarse risorse da vari luoghi del mondo, soprattutto dall’America Latina e dal Caribe, dove è iniziata. Con questo programma si lavora per restituire la vista a sei milioni di persone che soffrono di cataratte…”. Ma immediatamente passava a mentire per diffamare: “Questa tecnica realizzata a Cuba non possiede nessun avallo scientifico internazionale…”. Questo Consiglio di Oftalmologia ha annunciato che sta per “avviare iniziative” con alcune organizzazioni non governative umanitarie perché finanzino un programma sostanzialmente simile. Nel frattempo, offre come alternativa a quelli che soffrono di retinosi pigmentaria di mettersi in contatto con le istituzioni, dove “troveranno risposta con la serietà e il rispetto che ogni paziente merita…”.

In Nicaragua (dove il presidente Arnoldo Alemán aveva rifiutato nel 1998, nonostante la gravità dell’uragano Mitch, la presenza di questi medici cubani), in Venezuela dal 2002, in Bolivia oggi, i medici legati ai settori conservatori –che concepiscono la medicina come un commercio per popoli capaci di pagare e si negano a prestare i propri servizi nei quartieri poveri– si ribellano contro questi “medici scalzi”: “incompetenza”, “esercizio illegale della medicina”, “concorrenza sleale”… Nell’aprile del 2005 una decisione dei giudici dello Stato brasiliano di Tocatins ha obbligato a partire 96 medici cubani che curavano persone povere. Il governatore non è stato d’accordo con la decisione, ma non ha potuto fare nulla se non “riconoscere il valore professionale dei medici, che sono stati molto ben accolti e i quali dobbiamo ringraziare”.

Le proteste e le pressioni politiche delle corporazioni aumentano in proporzione alla crescita del numero di giovani che provengono da università cubane. Questi nuovi colleghi potrebbero determinare una diminuzione delle tariffe o addirittura regalare una parte dei loro servizi. E così la cura medica cesserebbe di essere un servizio elitario e commerciale.

Già li si minaccia anche di non riconoscere i titoli ottenuti a Cuba. In Cile, molti dei giovani che si sono laureati nel 2005 non hanno potuto registrare i propri titoli per il prezzo troppo elevato delle validazioni e i troppi passaggi burocratici. Ma come ha detto la BBC di Londra, se gli albi dei medici in America Latina si ostineranno a opporsi, “potrà risultargli difficile ottenere l’appoggio di una popolazione che ogni giorno ha meno accesso ai servizi sanitari e per la quale questo progetto appare come una piccola luce di speranza nell’oscurità”.

La situazione più difficile è per gli studenti di nazionalità statunitense, i quali rischiano una condanna a dieci anni di prigione e multe fino a 200.000 dollari, perché le leggi dell’embargo gli proibiscono di visitare Cuba. Questo nonostante che negli Stati Uniti 45 milioni di persone vivano senza copertura medica e formare un medico costi 300.000 dollari.

Alcuni sostengono che questo aiuto “umanitario” non sia niente di più che una strategia comunicativa, un investimento che permetterà al governo dell’Avana di procurarsi appoggi diplomatici insperati di fronte all’ostilità persistente degli Stati Uniti. Per esempio, l’elezione di Cuba nel Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite – creato nel marzo del 2006 – a scrutinio segreto fu per 135 voti su 191 Stati membri dell’ONU. Mentre le candidature di Nicaragua e Venezuela, dove si rispetta il pluralismo politico, non hanno avuto successo. Le dichiarazioni di un “diplomatico occidentale” alla BBC non sembrano lontane dalla realtà: “Si tratta di un’iniziativa con talmente tanti beneficiari che potrebbe benissimo essere applaudita anche dai suoi nemici politici”.

(Fonte originale: Le Monde Diplomatique, agosto 2006)


Cuba: Los nuevos “médicos descalzos”

Por: Hernando Calvo Ospina

Mientras Estados Unidos desembarca en Europa con 30 mil soldados con armamento pesado, Cuba, casi aislada política y económicamente en el mundo por decisión de Washington, es llamada de urgencia por varios países europeos para que sus médicos y sus medicamentos ayuden a combatir el coronavirus… Este artículo publicado en el 2006, es muy vigente:

El presidente venezolano Hugo Chávez firmó en 1998 un acuerdo con el gobierno cubano que dio nacimiento a un programa masivo de salud pública. Desde entonces, 14.000 médicos cubanos atienden gratuitamente a la población de los barrios y regiones más pobres de Venezuela. Esta operación es sólo la punta del iceberg de la cooperación sanitaria de La Habana con los países pobres del Sur.

Fines de agosto de 2005. El sur de Estados Unidos ha quedado desvastado tras el paso del huracán Katrina. Las autoridades se ven superadas por la amplitud de la catástrofe: la gobernadora de Louisiana, Kathleen Babineaux, realiza un llamado urgente a la comunidad internacional reclamando ayuda de personal médico. El gobierno cubano reacciona de inmediato.

Desde La Habana ofrece enviar, en un plazo máximo de 48 horas, un contingente de 1.600 médicos entrenados para actuar en este tipo de circunstancias a Nueva Orleans, pero también a Mississippi y Alabama, los otros Estados afectados por el ciclón. Llevarían con ellos 36 toneladas de medicamentos y otros recursos. Pero tanto este ofrecimiento como el que las autoridades cubanas le realizaran directamente al presidente George W. Bush quedaron sin respuesta, mientras más de 1.800 personas, sobre todo pobres, morían por falta de ayuda y de tratamientos.

La tragedia de Nueva Orleans aún latía cuando el 8 de octubre del 2005 se produce en Pakistán, en la región de Cachemira, uno de los peores terremotos de la historia de ese país. Las consecuencias humanas y sanitarias son dramáticas, particularmente en las regiones más pobres y aisladas del norte. El 15 de octubre llegan los primeros 200 médicos cubanos, con varias toneladas de equipos de emergencia. Pocos días después, La Habana envia el material necesario para armar y equipar 30 hospitales de campaña. En algunas de las regiones afectadas jamás había llegado un médico. No faltaron los pobladores que descubrieron la existencia de un país llamado Cuba.

Para no contrariar la tradición musulmana, las cubanas (44% de los casi 3.000 médicos que que permanecieron en Pakistán hasta mayo de 2006) se cubrieron el cabello. En poco tiempo se estableció un clima de cordialidad; tanto que muchos paquistaníes aceptarón que un hombre atendiese a su esposa o hija. Para fines de abril de 2006, a pocos días de su regreso, el equipo médico cubano había atendido a un millón y medio de personas, mayoritariamente mujeres, y realizado unas 13.000 intervenciones quirúrgicas. Unos pocos pacientes, con traumas en extremo complicados, fueron trasladados a La Habana. El presidente Pervez Musharraf, gran aliado de Estados Unidos y amigo de George W. Bush, agradeció oficialmente a las autoridades de La Habana y reconoció que la ayuda de ese pequeño país caribeño ha sido la más importante entre todas las recibidas en ocasión de esa catátrofe.

Efectividad sanitaria

La primera brigada médica internacional cubana se formó en 1963. Fue a Argelia, recientemente independiente, donde se dirigieron por primera vez los 58 médicos y técnicos que la componían. En 1998, el gobierno cubano empezó a estructurar la ayuda médica masiva a las poblaciones de países pobres afectados por desastres naturales. Luego del paso de los ciclones George y Mitch por América Central y el Caribe, La Habana ofreció sus médicos y enfermeros para trabajar en el marco de los “Programas Integrales de Salud”. República Dominicana, Honduras, Guatemala, Nicaragua, Haití y Belice aceptaron esa ayuda.

En Haití, donde la población humilde padece crónicamente de falta de cuidados médicos, Cuba ofreció enviar ayuda médica masiva. La Habana propuso incluso en 1998 al gobierno francés, antigua potencia colonial, una especie de asociación humanitaria para ayudar a los pobladores haitianos. París se mantuvo en silencio y decidió finalmente, en 2004, enviar sus tropas… Cuba envió sus médicos -2.500 desde 1998- y las toneladas de medicamentos que su débil economía le permite.

Por su efectividad sanitaria, la gratuidad total del servicio o la posibilidad de obtenerlo a través de intercambios por petróleo o alimentos, y el hecho de que los médicos atienden en zonas a las que no van sus colegas nativos debido a la pobreza de la “clientela”, la inseguridad o la dificultad de acceso, el programa fue requerido por otros países, especialmente africanos. El personal de salud cubano es pagado por su gobierno.

Desde 1963 y hasta fines de 2005 más de 100.000 médicos y técnicos de la salud prestaron sus servicios en 97 países, especialmente de África y América Latina. En marzo del 2006 había unos 25.000 profesionales en 68 naciones. Un despliegue que ni la Organización Mundial de la Salud (OMS) puede asegurar. Por su parte, Médicos Sin Fronteras envió 2.040 médicos y enfermeras al extranjero en 2003 y 2.290 en 2004. A esto se debe sumar la atención brindada en el propio territorio cubano, donde se trata a los enfermos de mayor gravedad de cualquier país del mundo. Fue en La Habana, por ejemplo, donde se trató a Kim Phuc, aquella niña que corría desnuda por una carretera vietnamita, llorando, con la piel quemada por los bombardeos con napalm del ejército estadounidense, una fotografía de Nick Ut que impactó terriblemente al mundo. Asimismo, Cuba recibió a más de 19.000 niños y adultos de las tres repúblicas soviéticas afectadas por el accidente nuclear de Chernobil, en 1986.

Aprovechando su experiencia en la prevención del sida (el índice de contagio en la isla es del 0,09%, frente a un 0,6% en Estados Unidos), durante la sesión extraordinaria de la Asamblea General de la Organización de las Naciones Unidas (ONU) sobre el tema, en julio de 2001, Cuba ofreció “los médicos, pedagogos, psicólogos y otros especialistas que se requieran para asesorar y colaborar con las campañas de prevención del sida y otras enfermedades. También los equipos y kits de diagnósticos necesarios para programas básicos de prevención del sida. Además, el tratamiento antirretroviral para 30.000 pacientes…”. Y si el proyecto fuera adoptado “sólo sería necesario que la comunidad internacional aporte las materias primas para los medicamentos. Cuba no obtendría ganancia alguna y aportaría los salarios de su personal…”.

La propuesta no prosperó. Sin embargo, el proyecto “Intervención educativa sobre VIH/sida” se ha desarrollado en ocho países de África y seis de América Latina, lo que ha permitido la difusión de programas radiales y televisivos, así como posibilitó que más de 200.000 pacientes fueran tratados y medio millón de trabajadores de la salud recibieran capacitación.

En la actualidad, cerca de 14.000 médicos cubanos conviven en los barrios más carenciados de Venezuela, en la operación denominada “Barrios de Pie”. Caracas y La Habana también pusieron en marcha la “Operación Milagro”, que durante los diez primeros meses de 2005 permitió recuperar la vista, de manera gratuita, a cerca de 80.000 venezolanos, muchos de ellos enfermos de cataratas o de glaucoma que debieron ser llevados a Cuba para operarse. La “Operación” se amplió a otros ciudadanos latinoamericanos y caribeños afectados de ceguera, y otras deficiencias visuales. Venezuela aporta los recursos económicos y Cuba los especialistas, el material operatorio y la infraestructura para cuidar a los enfermos mientras dura su tratamiento en Cuba.

Al día de hoy, ningún gobierno, entidad privada, u organismo internacional ha logrado estructurar un programa médico mundial que dé respuesta efectiva y a gran escala a los necesitados, tal como ha hecho Cuba. En el marco de la “Operación Milagro”, se aspira a operar de los ojos a hasta un millón de personas por año.

A pocas horas de tomar posesión, en diciembre de 2005, el primer acuerdo internacional que firmó el mandatario boliviano Evo Morales fue con el presidente Fidel Castro. Allí se acordaba crear una unidad cubano-boliviana para atención oftalmológica gratuita a la población. Además del Instituto Nacional de Oftalmología de La Paz, recién equipado por Cuba, el programa contará con un centro médico en las ciudades de Cochabamba y Santa Cruz. Los jóvenes médicos bolivianos graduados en la Escuela Latinoamericana de Medicina (ELAM) participarán del programa.

La escuela fue inaugurada en 1998, cuando Cuba empezaba a enviar médicos al Caribe y América Central. Ubicada en una antigua base naval, en las afueras de La Habana, se propone formar a jóvenes provenientes de familias pobres de todo el continente americano -incluyendo a Estados Unidos- pero hay también cientos de estudiantes africanos, árabes, asiáticos y europeos. Participan en la formación las 21 facultades de medicina con que cuenta Cuba. En julio de 2005 se graduaron los primeros 1.610 médicos latinoamericanos. Cada año ingresan unos dos mil jóvenes, que tienen asegurada de forma gratuita su formación, alimentación, alojamiento y los elementos básicos para la práctica. A cambio se comprometen a regresar a sus comunidades de origen para brindar sus conocimientos a las poblaciones locales.

Un negocio amenazado

Movidos por consideraciones ideológicas e intereses corporativos, gremios médicos y de oftalmología de varios países han lanzado campañas contra esta iniciativa. En el boletín del Consejo Argentino de Oftalmología, por ejemplo, se decía de los oftalmólogos cubanos, citando un anónimo: “Nadie sabe nada, ni siquiera si son médicos”. Aunque el 20 de febrero de 2006 se reconocía: “La Operación Milagro recluta pacientes de bajos recursos de distintos lugares del mundo, preferentemente de América Latina y el Caribe, donde comenzó. Con este programa se trata de devolverle la vista a seis millones de personas que padecen cataratas…”. Pero inmediatamente pasaba a mentir para denigrar: “Esta técnica realizada en Cuba no posee ningún aval científico internacional…”. Ese Consejo de Oftalmología anunció que va a “iniciar gestiones” con algunas organizaciones no gubernamentales humanitarias para que financien un programa medianamente parecido. Mientras tanto, ofrece como alternativa a quienes padecen de retinosis pigmentaria comunicarse con la institución, donde “encontrarán respuesta con la seriedad y respeto que todo paciente merece…”.

En Nicaragua (donde el presidente Arnoldo Alemán rechazó en 1998, a pesar de la magnitud del huracán Mitch, la presencia de estos médicos cubanos); en Venezuela desde 2002, en Bolivia hoy, los médicos vinculados a los sectores conservadores -que conciben a la medicina como un comercio para pueblos solventes y se niegan a prestar sus servicios en los barrios pobres- se rebelan contra estos “médicos descalzos”: “incompetencia”, “ejercicio ilegal de la medicina”, “competencia desleal”… En abril de 2005, una decisión judicial del Estado brasileño de Tocantins obligó a partir a 96 médicos cubanos que curaban indigentes. El gobernador no estuvo de acuerdo con la decisión, pero nada pudo hacer, fuera de “reconocer el valor profesional de los médicos, quienes fueron muy bien recibidos y a quienes debemos agradecerles”.

Las protestas y presiones políticas de los gremios aumentan a medida que crece el número de jóvenes que provienen de universidades cubanas. Estos nuevos colegas podrían producir una rebaja de las tarifas o hasta regalar parte de sus servicios. Y así la atención médica dejaría de ser un servicio elitista y comercial.

Ya se amenaza hasta con no reconocer los títulos obtenidos en Cuba. En Chile, muchos de los jóvenes que se graduaron en 2005 no han podido registrar sus títulos por el precio demasiado elevado de los sellos y demás trámites burocráticos. Pero como dijo la BBC de Londres, si los colegios médicos en América Latina se obstinan en oponerse, “les podría resultar difícil lograr el apoyo de una población que cada día tiene menos acceso a los servicios de salud y para la cual este proyecto aparece como una pequeña luz de esperanza en la oscuridad”.

La situación más difícil es para los estudiantes de nacionalidad estadounidense, pues ellos se arriesgan a una condena de diez años de prisión y multas de hasta 200.000 dólares, porque las leyes del bloqueo les prohíben visitar Cuba. Ello a pesar de que en Estados Unidos 45 millones de personas viven sin cobertura médica y formar un médico cuesta 300.000 dólares.

Algunos estiman que esta ayuda “humanitaria” no es más que una maniobra de comunicación, una inversión que le permitiría al gobierno de La Habana cosechar apoyos diplomáticos inesperados frente a la hostilidad persistente de Estados Unidos. Por ejemplo, la elección de Cuba en el Consejo de Derechos Humanos de Naciones Unidas -creado en marzo de 2006- por voto secreto fue de 135 votos sobre los 191 Estados miembro de la ONU. En tanto que las candidaturas de Nicaragua y Venezuela, donde se respeta el pluralismo político, no prosperaron. Las declaraciones de un “diplomático occidental” a la cadena BBC no estarían lejos de la realidad: “se trata de una iniciativa con tantos beneficiados que bien podría ser aplaudida incluso por sus enemigos políticos” .

(Fuente original : Le Monde Diplomatique, agosto 2006)

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