Discordo alla CNGS

Rosa Miriam Elizalde http://it.cubadebate.cu

Discorso a nome dei Premiati dalla Commissione Nazionale dei Gradi Scientifici, del Ministero di Educazione Superiore di Cuba

davide_golia_illustrazione“Ringrazio la Commissione Nazionale dei Gradi Scientifici per l’onore che mi fa scegliendomi tra i premiati per offrire queste brevi parole a nome di tutti, e confesso che non riesco a superare la sorpresa. Ho avuto molte volte responsabilità professionali come giornalista ed investigatrice, ma mai come questa, che oltre alla responsabilità del compito da svolgere, si unisce il peso delle colonne di questa Aula Magna, tanto imponente nella sua bellezza, tanto opprimente nei nostri ricordi.

La prima volta che sono venuta qui è stato per ascoltare il dottore Carlos Rafael Rodriguez 30 anni fa. Vi giuro che non capii quello che disse. E non credo che sia stato per la mia giovane età e per la mia ignoranza. La ragione, sicuramente, è perché il suo messaggio era scritto in un codice che si può leggere oggi ed è arrivato adesso in nostro aiuto. Rileggendo nella collezione Lettera con filo il discorso di quel giorno, risulta che Carlos Rafael ci parla della necessità del rigore nella formazione scientifica, della trascendenza che ha per il socialismo la capacità di esaminare criticamente le proprie idee e le tradizioni culturali in cui siamo cresciuti. Fermo in questo stesso luogo, il vecchio comunista si metteva a posto i suoi grossi occhiali ed indagava sulla capacità che abbiamo, ognuno di noi, di vederci non solo come cittadini appartenenti ad una nazione, bensì come esseri umani vincolati agli altri esseri umani da lacci di riconoscimento ed inquietudine mutua.

E se fosse poco, c’esige: “Di fronte a quello che c’imputano i nostri avversari, ripudiamo come opposta al socialismo la comunità degli automi, amministrati dalla propaganda o dall’imposizione, e patrociniamo per la sua antitesi: l’uomo pieno, delineato nel Manifesto Comunista. Quando domandavano a Carlo Marx, quale era il suo precetto favorito, replicò: ‘De omnibus dubitandum‘ (Dubitare di tutto), non predicava lo scetticismo come norma, bensì ci faceva vedere che il dubbio metodico, formula incompleta del razionalismo cartesiano, è una parte inseparabile del razionalismo materialista che ci guida; che una fede cieca ed ignorante è l’antipode del marxismo chiarificatore.”

Non so che cosa pensano i miei compagni, ma io non avrei potuto dire nulla di meglio per questa occasione come voce collettiva che deve rispondere alla domanda che cosa può aspettarsi Cuba dai suoi dottori; domanda che non merita essere risposta solo con una frase ovvia: appoggiare la trasformazione di una società equa che offra spazi per la solidarietà, per l’uguaglianza, per l’inclusione, per la partecipazione effettiva e per la sostenibilità.

La prospettiva scientista e tecnocratica che immagina la scienza come una condizione necessaria e sufficiente per trattare i temi umani, non può essere oggi niente di più che quell’atto di crudele dogmatismo del quale ci parlava Carlos Rafael. Se qualcosa abbiamo imparato nell’investigazione è che le soluzioni ai problemi di un’organizzazione o di un paese non sono né nelle teorie asettiche, slegate dai dilemmi sociali, né nelle messe a fuoco magiche che abbandonano alla tecnologia la salvazione delle nostre anime.

Questo però non significa che la ricerca di un sapere obiettivo che ci permetta di capire ed arrivare a consensi, al di là della soggettività, su aspetti rilevanti dell’universo naturale e sociale, sia un’attività secondaria. Non è certo che siamo entrati nell’era della conoscenza. Siamo entrati nell’era dell’apprendistato. Dove incomincia ad abbozzarsi una risposta che non deve finire in un cassetto, da qui comincia, in realtà, il cambiamento. Come dice l’investigatore Pedro Urra, fondatore di Infomed, non si possono dirimere i problemi delle società complesse del mondo attuale solo con il buonsenso. Sono necessarie, come mai prima, la scienza e l’etica. Una scienza che faccia parte del cuore della nostra cultura e, benché il suo potere possa essere utilizzato solo per preservare interessi dominanti di classe o di genere, può invece essere impiegata per alleviare la sofferenza umana e promuovere una prospettiva liberatrice.

In realtà abbiamo la certezza che sarà impossibile costruire una società più ugualitaria ed un futuro più promettente dando le spalle alla conoscenza ed ai compromessi razionali della scienza. Ed, inoltre, quella società che sogniamo sarà impossibile senza i giovani. Chi ha 30 anni di meno per affacciarsi per la prima volta a questa Aula Magna? Chi osa negare che viviamo un momento privilegiato per quelli che soffrono “la passione della conoscenza”, della quale più di una volta ci parlò Fidel in questa stessa Università? Oggi sappiamo più di astronomia che Tolomeo o Kepler, di fisica che Newton -e perfino di Einstein -, di medicina più di Ippocrate, di chimica più di Lavoisier. Abbiamo nei nostri laboratori pietre che vengono dalla Luna. Le sonde esplorano i pianeti vicini e la settimana scorsa un astronauta replicò nello spazio una chiave inglese con una stampante 3D. La nostra misura dell’universo è più esatta di quella di Copernico, e dialoghiamo con le stelle fuori dall’orbita terrestre. Nonostante quello che non sappiamo e quello che non c’immaginiamo che non sappiamo, possiamo dire che le conoscenze che abbiamo sono maggiori che quelle che avevano i greci, o quelle che si avevano due secoli o due anni fa.

Se la pensiamo così, non possiamo fare altro che domandarci come siamo arrivati dai Sette Saggi della Grecia fino alla nostra realtà contemporanea, passando inoltre per Felix Varela, per Finlay, per Martì, per Mella, per Ruben, per Fidel. Tutto questo ha evidentemente la pista di un’avventura incomparabile: è la storia dello sforzo intellettuale dell’uomo per comprendere il mondo nel quale gli è toccato vivere, e per trasformarlo. E là andiamo, ma non in un modo qualsiasi. Il Dottore Agustin Lage lo disse in modo insuperabile: “La scienza è un compito sociale: la fanno le collettività umane attraverso determinati individui, non all’inverso” (come ancora alcuni la descrivono, certamente). Lottiamo e studiamo a Cuba affinché sia così, affinché quello che si fa in comune si goda in comune, e per essere cittadini del mondo senza mai smettere di essere cubani.

Per terminare, compagni, non voglio dimenticare alcune notizie recenti. Il 17 dicembre Washington ha messo sul tavolo il suo nuovo consenso su Cuba. Si è impadronito dei guanti di seta, ma la sentenza di morte dell’Isola si mantiene vigente, e ciò obbliga David ad essere più astuto che mai di fronte a Golia; e l’università, ad essere più rigorosa, compromessa, emancipata e più antidogmatica che mai.

Con questo spirito, mi permetto di terminare questo discorso con un’allerta: quella che ha affermato un intellettuale cubano, tesoro delle Lettere e delle Scienze Sociali e delle Umanistiche di questo paese, che ho intervistato varie volte come giornalista, ed al quale sono ritornata molte volte di più come investigatrice, Cintio Vitier. Dice Cintio nel suo libro ‘Resistenza e libertà’, e con questo finisco: “Questo inizio di secolo ripropone, molto aggravato ed a modo suo, la problematica del 98: l’imperialismo allora nascente è oggi egemonico, l’indipendentismo allora schiacciato è oggi irriducibile, l’eterno riformismo cerca di ritornare con i suoi privilegi e l’annessionismo con le sue prepotenze”.

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