Non pochi messaggi nelle reti sociali prevedono che dopo la crisi epidemiologica che oggi stiamo vivendo saremo migliori, più solidali, apprezzeremo di più la vita e, soprattutto, saremo capaci di costruire un mondo diverso, migliore.
Karima Oliva Bello www.granma.cu
Non pochi messaggi nelle reti sociali prevedono che dopo la crisi epidemiologica che oggi stiamo vivendo saremo migliori, più solidali, apprezzeremo di più la vita e, soprattutto, saremo capaci di costruire un mondo diverso, migliore.
Tuttavia, senza essere pessimisti, dobbiamo considerare che il mondo non sarà necessariamente migliore dopo questa crisi, spontaneamente, per il semplice fatto che noi lo aneliamo. Al contrario, nel suo libro ‘Doctrina dello Shock’, Naomi Klein ha documentato come negli ultimi decenni, su scala globale, gli scenari di crisi (in cui le popolazioni affondano nella paura e nel disorientamento, le economie sono devastate e gli Stati superati nella loro capacità di risposta) sono stati i terreni propizi per l’applicazione di riforme economiche strutturali a favore del libero mercato ed a scapito del bene pubblico. L’avanzata dell’ondata di privatizzazioni ha smantellato il ruolo sociale dello Stato, anche in settori strategici come la salute o la difesa nazionale; la spesa sociale è diminuita e la precarietà (fino alle ultime possibili conseguenze) delle condizioni di lavoro ha danneggiato la base delle garanzie conquistate dai lavoratori in tanti anni di lotta collettiva, lasciandoli totalmente indifesi. Il neoliberalismo non ha avuto terreno più fertile del disastro per imporsi, al punto da averlo creato: le guerre in Medio Oriente, cinicamente orchestrate in nome della democrazia, ne sono l’esempio più chiaro. Sono stati un affare molto redditizio, mentre le morti dei civili sono state considerate, semplicemente, danni collaterali. L’Ecuador è, in America Latina, uno dei casi paradigmatici di come il vuoto della funzione sociale dello Stato sia alla base della debacle sanitaria che oggi ci terrorizza. Ma casi simili sono quelli che eccedono in questi giorni.
La crisi è sistemica, non c’è altro modo di intenderla. La globalizzazione ha promesso che se si sarebbero spazzati i confini nazionali a favore del progresso economico e che questo, per se stesso, si sarebbe tradotto in sviluppo sociale. Ma, in pratica, la sua tendenza neoliberale ha portato, fondamentalmente, alla privatizzazione dei profitti, nelle mani di una ridottissima élite mondiale ed alla socializzazione di tutti i costi. Il risultato? Lo vediamo oggi: i costi vengono pagati in vite e ciò che continua a essere universalizzato è la morte dei più svantaggiati.
Per quanto il pensiero neoliberale ci voglia convincere che ognuno può salvarsi individualmente, la realtà che ci viene nascosta è un’altra: di fronte a crisi sistemiche, le soluzioni biografiche sono insufficienti. Non è male che cerchiamo di essere persone migliori dopo aver superato questa crisi, che apprezziamo di più la vita, che sfruttiamo meglio il tempo di condivisione con coloro che amiamo, che diamo nuovi significati ai nostri legami e diciamo più volte ti amo, o iniziamo a godere di più di ciò che abbiamo. Sarebbe bello se lo facessimo. Ogni processo di crescita personale è necessario, ma non comprometterà le strutture di potere responsabili della crisi umanitaria che oggi stiamo vivendo e che potrebbero ripetersi. Il nostro benessere personale, anche quello che ha a che fare con il godimento di noi stessi e dei nostri spazi più intimi di relazione, si realizzerà pienamente solo con la nostra capacità di sviluppare una coscienza critica sulla società, cultura e sull’epoca che ci tocca vivere, e di articolarci con altri sulla strada per difendere, fino alle ultime conseguenze, le garanzie collettive ed il bene comune.
È necessario guardare al di là del puramente individuale, focalizzare il mondo e cercare di comprendere appieno il sistema che a livello globale causa i danni che stiamo vivendo. Non possiamo fare concessioni al capitalismo a questo punto della storia: quale altro sistema possiamo responsabilizzare per il cambio climatico, le condizioni di lavoro precario di milioni di persone, la morte dei più vulnerabili per malattie curabili, fame o guerre; la mancanza di acqua potabile, alimenti e medicine per vasti settori della popolazione mondiale; la precarietà dei sistemi di sanità pubblica, allo stesso tempo in cui si destinano milioni di dollari alla fabbricazione di armi di sterminio, perché è più redditizio?
È necessario difendere, da ogni spazio possibile, l’alternativa contro-egemonica che rappresenta la costruzione del socialismo, i diritti e le garanzie che la Rivoluzione cubana ha conquistato e mantenuto; valorizzare la capacità che lo Stato ha sempre manifestato a Cuba, e che oggi torna a dimostrare con sicurezza, di difendere, sopra ogni cosa, il diritto di ogni persona alla vita.
Ciò non è poca cosa in un mondo come quello in stiamo vivendo. Che la nostra società continui a cambiare e che lo faccia per il meglio, che il pensiero critico rivoluzionario non manchi e che sia un esercizio sistematico, che gli spazi e le modalità della partecipazione politica continuino ad essere perfezionati, ma che i cambi, critiche e partecipazione continuino ad avere, come orizzonte, la difesa del bene comune attraverso il socialismo.
Nosotros, después de que superemos el virus
No pocos mensajes en las redes sociales pronostican que luego de la crisis epidemiológica que hoy vivimos seremos mejores, más solidarios, valoraremos más la vida y, sobre todo, seremos capaces de construir un mundo diferente, para bien
Autor: Karima Oliva Bello
No pocos mensajes en las redes sociales pronostican que luego de la crisis epidemiológica que hoy vivimos seremos mejores, más solidarios, valoraremos más la vida y, sobre todo, seremos capaces de construir un mundo diferente, para bien.
Sin embargo, sin ser pesimistas, debemos considerar que el mundo no va a ser necesariamente mejor después de esta crisis, de forma espontánea, por el simple hecho de nosotros anhelarlo. Al contrario, en su libro Doctrina del Shock, Naomi Klein ha documentado cómo en las últimas décadas, a escala global, los escenarios de crisis (en los que las poblaciones se hunden en el miedo y la desorientación, las economías quedan asoladas y los Estados rebasados en su capacidad de respuesta) han sido los terrenos propicios para la aplicación de reformas económicas estructurales a favor del libre mercado y en perjuicio del bien público. El avance de la oleada privatizadora desmanteló el rol social del Estado, incluso, en sectores tan estratégicos como la salud o la defensa nacional; el gasto social ha disminuido y la precarización (hasta las últimas consecuencias posibles) de las condiciones de empleo ha lesionado la base de las garantías conquistadas por los trabajadores en tantos años de lucha colectiva, dejándolos totalmente desprotegidos. El neoliberalismo no ha tenido terreno más fértil que el desastre para imponerse, a tal punto, que lo ha creado: las guerras en Medio Oriente, cínicamente orquestadas en nombre de la democracia, son el más claro ejemplo. Han sido un negocio altamente lucrativo, mientras las muertes de los civiles se han considerado, simplemente, daños colaterales. Ecuador es, en América Latina, uno de los casos paradigmáticos de cómo el vacío de la función social del Estado está en la base de la debacle sanitaria que hoy nos aterroriza. Pero casos similares son los que sobran en estos días.
La crisis es sistémica, no hay otra forma de entenderla. La globalización prometió que se barrerían las fronteras nacionales en pos del progreso económico y que este, por sí solo, se traduciría en desarrollo social. Pero, en la práctica, su tendencia neoliberal condujo, fundamentalmente, a la privatización de los beneficios, en manos de una reducidísima élite mundial y a la socialización de todos los costos. ¿El resultado? Lo vemos hoy: los costos se están pagando con vidas y lo que se sigue universalizando es la muerte de los más desfavorecidos.
Por más que el pensamiento neoliberal nos quiera convencer de que cada cual puede salvarse individualmente, la realidad que se nos oculta es otra: ante las crisis sistémicas, son insuficientes las soluciones biográficas. No está mal que tratemos de ser mejores personas después de que superemos esta crisis, que valoremos más la vida, que aprovechemos mejor el tiempo de compartir con los que amamos, que resignifiquemos nuestros vínculos y digamos más veces te quiero, o comencemos a disfrutar más lo que tenemos. Sería bueno que lo consiguiéramos. Todo proceso de crecimiento personal es necesario, pero no socavará las estructuras de poder responsables de la crisis humanitaria que vivimos hoy y que pudiera repetirse. Nuestro bienestar personal, incluso, aquel que tiene que ver con el disfrute de nosotros mismos y de nuestros espacios más íntimos de relación, se realizará plenamente solo con nuestra capacidad de desarrollar una conciencia crítica sobre la sociedad, la cultura y la época que nos tocó vivir, y de articularnos con otros en el camino de defender, hasta las últimas consecuencias, las garantías colectivas y el bien común.
Es necesario llevar la mirada más allá de lo puramente individual, focalizar el mundo e intentar comprender a fondo el sistema que a nivel global causa los estragos que estamos viviendo. No podemos hacerle concesiones al capitalismo a estas alturas de la historia: ¿a qué otro sistema podemos responsabilizar por el cambio climático, las condiciones de empleo precario de millones de personas, la muerte de los más vulnerados por enfermedades curables, hambre o guerras; la falta de agua potable, alimentos y medicinas para sectores amplísimos de la población mundial; la precariedad de los sistemas de salud pública, al mismo tiempo en que se destinan millones de dólares a la fabricación de armas de exterminio, porque es más lucrativo?
Es preciso defender, desde todos los espacios en que nos sea posible, la alternativa contrahegemónica que representa la construcción del socialismo, los derechos y garantías que ha conquistado y mantenido la Revolución Cubana; valorar la capacidad que siempre ha manifestado el Estado en Cuba, y que hoy vuelve a demostrar con aplomo, de defender, por encima de todo, el derecho de cada persona a la vida.
Eso no es poca cosa en un mundo como en el que estamos viviendo. Que nuestra sociedad siga cambiando y que lo haga para bien, que el pensamiento crítico revolucionario no falte y sea un ejercicio sistemático, que se sigan perfeccionando los espacios y vías de participación política, pero que cambios, crítica y participación sigan teniendo, como horizonte, la defensa del bien común a través del socialismo.