Cuba nella gestione della pandemia

ha pensato alla persona e non al profitto

Molto si è parlato delle missioni che i medici cubani stanno portando avanti in diversi paesi del mondo per aiutare a combattere la pandemia da corona virus. Il personale medico cubano come è noto si trova anche nel nostro paese in Lombardia a Crema ed a Torino. Molto meno invece si è parlato di come a Cuba il governo ha affrontato la crisi da Covid 19.

I primi casi di contagio nell’isola si sono registrati l’11 marzo nella città turistica di Trinidad. Tre turisti provenienti dall’Italia arrivati a Cuba due giorni prima hanno manifestato i tipici sintomi del virus: febbre e difficoltà nella respirazione. Trasportati in ospedale sono stati subito ricoverati presso l’istituto per la cura delle malattie tropicali Pedro Kuri di L’Avana.

Il giorno successivo, il 12 marzo, sono state messe in atto le prime misure di prevenzione per la popolazione. Ogni locale pubblico è stato dotato di soluzioni a base di cloro da usare prima di entrare per lavarsi le mani, nei ristoranti ed nei bar sono state applicate misure di distanziamento tra i tavoli e le persone, sono stati chiusi tutti i locali notturni e le discoteche. Tutte le persone che avevano avuto contatto con i tre turisti italiani sono state identificate e messe in quarantena per evitare, se contagiate, potessero propagare il virus ad altri individui. Gli aeroporti, punto principale di ingresso al paese, sono stati messi sotto controllo: i viaggiatori in arrivo controllati.

Nei giorni successivi le misure di prevenzione sono state implementate. Il piano messo a punto in precedenza dal Ministero della Salute Pubblica prevedeva di limitare al massimo la circolazione delle persone e l’ingresso nel paese di estranei che avrebbero potuto introdurre il virus nell’isola. Il 23 marzo è stato deciso di non permettere più l’ingresso di turisti nel paese mentre era permesso ai cittadini cubani di rientrare fino al 1’ aprile, giorno in cui sono state chiuse le frontiere. Tutti i cittadini cubani che rientravano nel paese erano trasportati in centri di quarantena dove dovevano restare per 14 giorni. Infine sono stati soppressi tutti i trasporti extraurbani, i ristoranti ed i bar sono stati chiusi.

Il piano prevede di limitare al massimo l’ingresso di persone che possono introdurre il virus nell’isola e arginarne il più possibile la diffusione tra la popolazione. Ogni caso considerato a rischio viene messo in quarantena, ogni persona contagiata è isolata in ospedale. Al momento che viene rilevato un contagio si ricostruisce la catena di contatti e tutte le persone che hanno avuto un contatto con il soggetto infetto sono testate e messe in vigilanza clinica. Periodicamente il personale medico visita le abitazioni per sincerarsi se nessuno del nucleo famigliare presenti sintomi sospetti.

L’ambulatorio del medico di famiglia è il primo punto di controllo: se qualcuno manifesta uno dei sintomi tipici della malattia e si presenta dal medico di famiglia viene subito accompagnato in ospedale per il primo test. Non si aspetta l’insorgenza della febbre ma si cerca di identificare i soggetti contagiati dal primo momento. Scatta inoltre la vigilanza clinica delle persone con cui il soggetto ha avuto contatto fino all’esito del test.

Ogni persona è invitata a restare nella propria abitazione e limitare al massimo i contatti con parenti ed amici e deve indossare la mascherina protettiva quando esce di casa.

Insomma per farla breve lo stato cubano fin dal primo contagio ha cercato in tutti i modi di evitare l’ingresso di persone che avrebbero potuto introdurre il virus nell’isola e di evitare il più possibile che il virus circolasse liberamente tra la popolazione. Una scelta che è costata molto al paese caraibico perché ha dovuto in pochi giorni decidere di chiudere le frontiere rinunciando alla maggiore entrata di moneta straniera ovvero il turismo. Il governo presieduto da Miguel Diaz Canel ha messo al primo posto la salute delle persone poi ha messo l’economia. Scelta non facile visto che stiamo parlando di un paese povero del terzo mondo che per di più è sottoposto dal 1962 al più lungo blocco economico, commerciale e finanziario della storia, blocco promosso e portato avanti dagli Stati Uniti.

Stati Uniti che invece sono comandati da un Presidente che ha recentemente dichiarato che bisogna riaprire il paese anche se questo comporterà la morte di molte persone. In poche parole l’economia è già stata condizionata dalla pandemia anche troppo e non ci possiamo permettere altre soste.

Due modi di vedere la crisi completamente diversi: quello cubano in cui la persona è messa al centro delle politiche, quello statunitense dove invece al primo posto è messo il profitto. Due diversi modi di affrontare la crisi messi in atto da due paesi che hanno due sistemi economici diversi: il socialismo a Cuba, il capitalismo negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Cuba però, a differenza della maggioranza dei paesi del mondo dove la pandemia ha ucciso migliaia di. persone, è considerata una nazione che viola sistematicamente i diritti umani della propria popolazione ed un paese dove non c’è la nostra democrazia. Se i diritti umani iniziassimo a misurarli in termini reali e non soggettivi come avviene adesso ci accorgeremo che i paesi messi all’indice dalla comunità internazionale come Cuba e Venezuela si troverebbero al primo posto.

Secondo i dati forniti oggi 7 maggio dal Ministero della Salute Pubblica cubano i contagi nell’isola sono 1729 ed i deceduti 73, in Venezuela, altro paese dell’asse del male, la situazione va ancora meglio, i contagiati sono 379 ed i deceduti 10. In Venezuela il il lock down è entrato in vigore dal 13 marzo. Numeri che dovrebbero far impallidire e vergognare i nostri governanti. Cuba non è stata baciata dalla sorte ma ha invece semplicemente affrontato la pandemia come avrebbe dovuto affrontarla qualunque altra nazione. Evitare la mobilità delle persone e impedire la propagazione del virus.

In Italia abbiamo chiuso le  porte delle stalle quando le vacche erano già scappate. Non è servito a nulla chiudere i voli dalla e per la Cina quando poi abbiamo lasciato muovere indisturbatamente le persone, quando sono state lasciate entrare nel paese persone provenienti da tutte le altre parti del mondo. A Cuba in un giorno si è deciso di fermare la quasi totalità delle attività non essenziali sapendo benissimo che il turismo sarebbe caduto a picco, in Italia a causa delle pressione esercitate dagli industriali  sembra che la dichiarazione di zona rossa nel bergamasco sia stata prorogata per giorni lasciando che i lavoratori propagassero liberamente il virus. Si è fatto di tutto con la speranza che andasse bene ma chi visse sperando sappiamo di cosa è morto.

Inoltre a Cuba il sistema sanitario nazionale è pubblico al cento per cento. Non ci sono ospedali che operano in convenzione come in Italia. Il sistema soffre molto per il blocco ma si muove come un corpo unico che il governo modella a secondo delle esigenze. Se Cuba aveva un piano di emergenza che è entrato a regime dal momento che sono stati rilevati i primi tre casi come una nazione come la nostra, tra le sette più industrializzate al mondo ha potuto reagire con tanta superficialità? Il piano cubano non è altro che la messa in atto dei protocolli previsti internazionalmente dall’Organizzazione Mondiale per La Sanità per arginare le epidemie.

L’economia al primo posto: giusto in un paese capitalista. Ma allora perché il mondo è in piena recessione? Non abbiamo messo l’economia davanti a tutto? Forse qualcosa non è andato per il verso giusto se oggi le stime sul calo del PIL italiano danno un crollo stimato su base annua del 9,5 per cento. Se avessimo fatto come hanno fatto Cuba e Venezuela che hanno pensato per prima cosa alla salute della propria gente invece di pensare solo al profitto i dati sarebbero tanto diversi? Sicuramente molte migliaia di persone non avrebbero perso la vita ed il PIL sarebbe inevitabilmente caduto lo stesso.

di Andrea Puccio

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