Non restava altra soluzione che quella del ‘68 e del ‘95

Oggi, 15 maggio s compiono 65 anni dalla scarcerazione di Fidel e dei suoi compagni della Moncada  reclusi nel Presidio Modello, dell’allora Isola de Pinos.

I popolo di Cuba aspettava questo giorno dal momento in cui era stata approvata l’Amnistia, una vera vittoria innegabile dei cubani, che senza dubbio aveva “un aggancio” che conveniva al regime.

La prigione politica di Fidel fu un reclamo che ebbe un precedente nel processo della Moncada, durante il quale lo stesso dirigente rivoluzionario, nella sua qualità d’accusato e avvocato difensore, fece sì che si utilizzassero come testimonianze le accuse espresse nel processo contro i militari che avevano commesso i crimini  denunciati dai sopravvissuti –  testimoni – degli omicidi.

La norma del Tribunale di Direttissima, nella Causa 37, seguita nel Palazzo di Giustizia, non poteva ovviare la sollecitudine del richiedente, a sua volta  accusato. Un giorno quel giovane  letterato, recluso nel’Isola de Pinos, ratificò  la sua domanda nel giudizio  corrispondente.

Parallelamente, dalla stessa  prigione fece in modo che si denunciassero i crimini orrendi commessi nella Moncada e a Bayamo, e scrisse un testo che intitolò «Per Cuba che soffre».

Due donne furono incaricate della sua pubblicazione: Haydée Santamaría e Melba Hernández,  che erano state condannate a otto mesi di prigione nel Carcere Femminile di Guanajay, mentre il loro difensore, il dottor Baudilio Castellano, riusciva  a far considerare come una nobile motivazione la loro funzione di infermiere assieme al dottor Mario Muñoz, assassinato  davanti a loro. Quel piccolo libro raccoglieva tutti i crimini denunciati Fidel necessitava che tutto il popolo di Cuba conoscesse quei crimini che la censura della stampa aveva proibito di pubblicare. L’effetto del piccolo libro che Haydée e Melba fecero circolare clandestinamente, fu una denuncia che commosse tutti cubani che lo lessero.

Poi Fidel diede una nuova responsabilità alle combattenti: far pubblicare l’allegato che egli aveva improvvisato nel processo e ricostruito nell’Isola  de Pinos: «La Storia mi assolverà». La missione fu realizzata.

Il libro circolò in tutta Cuba, sino alle montagne della Sierra Maestra.

Così si formò e si sviluppò la propaganda indispensabile di denuncia dei crimini e il programma della Moncada che il popolo di Cuba nella sua immensa maggioranza  usò come bandiera di combattimento per reclamare l’amnistia, prima di tutto.

Il reclamo dell’amnistia fu allora il grande combattimento sferrato dal popolo, con le armi della verità.

I politicanti volevano tornare alla battaglia elettorale che il regime di Batista reclamava per restare al potere. Ma per quello  Fidel e i suoi compagni dovevano essere amnistiati.

E così divenne indispensabile per gli uni e per gli altri che si firmasse l’amnistia. Fu approvata naturalmente con «l’aggancio» per cui restavano senza effetto le accuse e tutte le cause aperte ai militari dalla data del processo.

Quelle azioni criminali che Fidel aveva chiesto che si usassero come testimonianze.

Il 15 maggio del 1955 i moncadisti uscirono di prigione.

Furono rapidamente a L’Avana e la stazione ferroviaria fu riempita  dal popolo che aspettava l’arrivo del treno di  Batabanó.

La stampa pubblicò le dichiarazioni di Fidel: «La coscienza nazionale rinasce, pretendere d’affogarla provocherà una catastrofe senza precedenti». Era il linguaggio dell’unico leader accettato dalla maggioranza dei cubani e al quale fu presto proibito accedere a una tribuna. Allora dichiarò:  «Le porte adeguate alla lotta civile me le hanno chiuse tutte, ma come martiano penso che sia arrivata l’ora di prenderci i diritti e non chiederli,  di strapparli e non mendicarli …».

E poi : «… così che non resta altra soluzione che quella del ‘68 e del ‘95».

Restò solo sei settimane a L’Avana, poi il Granma, la Sierra Maestra e la vittoria!

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