Trump, annunci e voltafaccia nel farwest nordamericano

di Geraldina Colotti*

Sì, no, forse. Giammai. Sui dietrofront di Donald Trump circa la possibilità di un incontro con il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, si stanno esercitando i media di mezzo mondo. La notizia è rimbalzata dopo le dichiarazioni rilasciati da Trump al giornale digitale Axios.

“Maduro vorrebbe incontrarmi, e io non sono mai stato contrario agli incontri, forse ci penserei”, ha detto il tycoon ammettendo anche di non “riporre completa fiducia” nell’autoproclamato Juan Guaidó, presunto presidente a interim di un circo virtuale messo in piedi dallo stesso Trump.

Dichiarazioni che raggiungono quanto rivelato nel libro dell’ex consigliere per la sicurezza della Casa Bianca, John Bolton, che ha messo in piazza i panni sporchi dell’amministrazione nordamericana, da cui è stato licenziato nove mesi fa.

A detta di Bolton, Trump si era dato da fare per convincerlo a sostenere il deputato di Voluntad Popular, ma in breve tempo si era convinto di aver puntato su un fuoco di paglia, paragonandolo per questo all’ex deputato texano del partito Democratico Beto O’ Rourke, il cui slancio iniziale si era perso per strada, fino al ritiro dalla competizione elettorale. Trump aveva perciò descritto Maduro come il “forte” e Guaidó come “il debole”, nel primitivo far-west hollywoodiano che anima il suo immaginario, e che lo porta a considerare “fantastica” un’invasione del Venezuela, giacché ritiene che sia “davvero parte degli Stati Uniti”.

Le dichiarazioni di Trump alla stampa hanno scatenato un terremoto politico, che alimenta quello provocato dalla pubblicazione del libro, e mette in mostra i giochi elettorali delle varie fazioni a pochi mesi dalle elezioni presidenziali di novembre.

Contro la possibilità di un incontro con Maduro, sulla cui testa Trump ha persino messo una taglia da 15 milioni, bollandolo come “narcotrafficante”, sono ovviamente insorte le mafie di Miami, capitanate dal senatore repubblicano Marco Rubio, referente della lotta al socialismo bolivariano e a quello cubano, in Florida e non solo.

I voti della Florida, dove vive la vasta comunità di venezuelani e cubani, in maggioranza avversi ai governi dei loro paesi d’origine, sono un boccone ghiotto, sia per i repubblicani che per i democratici. I dem sono infatti subito partiti all’attacco con Joe Biden, avversario di Trump alle presidenziali. “Trump fa la voce grossa sul Venezuela, ma ammira i delinquenti e i dittatori come Nicolas Maduro. Come presidente, io sarò col popolo venezuelano e a favore della democrazia».

Più che col popolo, con la borghesia, perché il “popolo” immaginato da Biden dietro a Guaidó esiste solo nel regno di Narnia. Quello reale, in Venezuela, ha votato e continua a sostenere il suo legittimo presidente, Nicolas Maduro, percepito non a caso come “forte” anche dal pazzo della Casa Bianca, di cui ha respinto gli attacchi proprio con la forza organizzata e cosciente del popolo.

Trump ha subito faccio marcia indietro: “Incontrerei Maduro solo per discutere una cosa: una pacifica uscita dal potere!”, ha twittato. Poi ha aggiunto: “a differenza della sinistra radicale, sono sempre stato contro il socialismo e con il popolo del Venezuela. La mia amministrazione è sempre stata dalla parte della libertà e contro l’oppressivo regime di Maduro!”».

Intanto, Rubio ha guidato il gruppo di senatori repubblicani che ha presentato il disegno di legge dal titolo “Stop the Profits of the Cuban Regime” nel quale si chiede al Dipartimento di Stato di rendere pubblico l’elenco dei paesi che usufruiscono del programma di missioni mediche cubane, per sanzionarli in quanto complici nella “tratta di esseri umani”.

Rivendicando l’appoggio USA, l’autoproclamato si è rifatto vivo in un video in cui compare insieme a quella parte dell’opposizione che persiste nella via golpista: per rivendicare i “grandi sforzi” compiuti per ottenere l’applicazione del TIAR (con il quale legittimare l’invasione armata del proprio paese) o l’asfissia del popolo venezuelano in questi tempi di pandemia. La piovra filo-atlantica che, anche in Europa, trova linfa nei recenti accordi del progetto “Nato 2030”, recentemente, ha dato spazio a una conferenza virtuale con Maria Machado, che ha rinnovato le richieste di ingerenza.

A Londra, intanto, in un tribunale commerciale sono cominciate le udienze per decidere il destino di 21 tonnellate di oro, depositata dalla Banca Centrale del Venezuela (BCV) nei forzieri della Banca d’Inghilterra (BOE). Oro sottratto al popolo venezuelano dagli “sforzi” dell’autoproclamato, riconosciuto dal governo britannico, per appropriarsene.

Di recente, ancora una volta, il governo bolivariano ha chiesto alla BOE di liberare urgentemente l’oro per venderlo e versare il ricavato a un fondo speciale del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Pnud) che lo utilizzerà per finanziare progetti di lotta alla pandemia da coronavirus in Venezuela.

Il tema compare nel volume di Bolton. Si rivela come l’ex ministro degli Esteri britannico Jeremy Hunt, in visita a Washington, disse di essere “lieto di cooperare per iniziative che potrebbero portare, ad esempio, a congelare i depositi d’oro del Venezuela nella Banca d’Inghilterra”.

Sulla demenziale incoerenza di Trump, capace di licenziare collaboratori a raffica, benché tutti chiaramente situati all’estrema destra dell’establishment, nessuno ha dubbi. Così come le dichiarazioni dell’insulso Biden non inducono all’ottimismo circa un cambio sostanziale nella politica estera degli Stati Uniti, tanto meno nel contesto di scontro globale e sistemico che si prefigura nel post-pandemia.

Trump ha firmato un Ordine esecutivo per imporre sanzioni alla Corte Penale Internazionale (CPI) che ha osato aprire un processo agli USA per i crimini commessi in Afghanistan e in altri paesi. Una campagna condotta dal falco Bolton nel 2018.

Lo stesso Bolton che, nel 2002, da sottosegretario di Stato per il controllo delle Armi e la sicurezza nazionale di George W. Bush ha annunciato la decisione degli USA di ritirarsi dallo Statuto di Roma, fondativo della CPI. Gli Stati Uniti hanno oltre 200.000 militari dispiegati in 180 paesi nei cinque continenti, nonché agenti della CIA e mercenari che così risultano al di sopra delle leggi internazionali. E Trump sta cercando di demolire tutte le istituzioni internazionali, a cominciare dall’ONU.

Finché il sistema politico nordamericano non verrà sovvertito nel profondo, gli attacchi alla rivoluzione bolivariana potranno solo ammantarsi con un po’ più di ipocrisia.

Tuttavia, a fronte della crisi conclamata in cui si dibatte il sistema statunitense, esplosa anche dopo l’uccisione di George Floyd, emerge la superiorità del socialismo bolivariano e la statura del suo presidente. Commentando le contorsioni di Trump, Nicolas Maduro ha ricordato all’agenzia AVN l’incontro “lungo e rispettoso” avuto nel 2015 con l’allora vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, provocato da Pepe Mujica a margine dell’elezione di Dilma Rousseff.  “Quando sarà necessario – ha detto Maduro – farò lo stesso con Trump. Nel rispetto reciproco, né più, né meno”.

*Articolo scritto per il Cuatro F

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