Di genitori pazzi, ma assennati

Ho visto i miei compagni, alla festa del papà, deambulare da una parte all’altra, parlare ad alta voce e gesticolare davanti a nessuno. Se non avessero avuto un cellulare in mano, li avrei creduti pazzi. Un pò lo sono. Questo è quello che mi ha detto mio figlio, e ho saputo che aveva ricevuto bene il messaggio della nostra assenza:”sempre orgoglioso di te”, ha scritto, e tutto l’orgoglio dell’universo è entrato nel mio cuore.

Enrique Ubieta Gómez  www.granma.cu

È una brigata composta da 38 uomini e, quasi tutti, o tutti, si potrebbe dire, siamo genitori e figli. Non riesco a immaginare come la brigata cubana in Giamaica abbia celebrato la festa della mamma, perché dei suoi 140 membri, 97 sono donne; o a Granada, dove anche le cinque cooperanti inviate lo sono.

Non è che la paternità o la maternità siano requisiti per la felicità, o che non ci siano genitori cattivi, dell’uno o dell’altro sesso, né uomini e donne che lo siano senza esserlo biologicamente. I legami familiari, a Cuba, sono forti, ed i figli che partoriamo o alleviamo o semplicemente amiamo sono la nostra speranza, la nostra ragione di essere. Quando marciamo, lo facciamo anche per loro. È un’assenza che si trasforma in presenza e canalizza le loro vite. Niente di materiale può compensare l’assenza di un padre o di una madre; un figlio lo accetta solo dall’orgoglio, dalla comprensione del suo significato morale. Fu l’unica ed enorme eredità che il figlio di Martí ricevette, e anche i figli del Che e quelli dei nostri Cinque Eroi. Lego un’estremità della corda degli esempi e prendo l’altra per tenderla.

Ho visto i miei compagni, alla festa del papà, deambulare da una parte all’altra, parlare ad alta voce e gesticolare davanti a nessuno. Se non avessero avuto un cellulare in mano, li avrei creduti pazzi. Un pò lo sono. Questo è quello che mi ha detto mio figlio, e ho saputo che aveva ricevuto bene il messaggio della nostra assenza:”sempre orgoglioso di te”, ha scritto, e tutto l’orgoglio dell’universo è entrato nel mio cuore. Perché l’orgoglio può condividersi, moltiplicarsi. Mai è patrimonio di una sola persona. Ed io, circondato da gente semplice, che fa ciò che gli altri non possiamo, salvare vite -niente di più, niente di meno-, senza credere di far gran cosa, ma senza lamentarsi o cedere nell’impegno.

Oggi è successo. Una donna anziana quasi muore, si sono lanciati su di lei, l’hanno salvata, hanno combattuto corpo a corpo con la morte. Nonostante la differenza di età, si sono convertiti nei suoi genitori, loro, che vengono da un’isola lontana. Quegli uomini che accompagno si trasformano in genitori di sconosciuti. Stanno salvando figli ovunque. Cosa posso dirti, figlio mio? Guarda il tuo intorno, guarda il mio intorno. La vita è piena di genitori, non tutti li ha partoriti una donna.

María Isabel Polanco, o meglio, Mary o Maribel, come tutti le dicono, una cubana di Granma che vive in Italia da 24 anni, quel giorno ci ha portato cibo della terra natale, fatto con le sue mani: zuppa di fagioli, riso congrì, carne di maiale, yucca, banane fritte, ciccioli di maiale. Ha voluto Voleva avere un gesto da cubana con i suoi connazionali. Se non mi avessi detto da quanto tempo è in questo paese, avrei pensato che fosse stato ieri che è scesa dall’aereo. «Ho voluto portarvi un pezzettino di Cuba; quando ho letto che erano qui, mi sono detta, oh, staranno alla festa del papà ed ho detto a mio marito: gli preparerò un buon pranzo. Mi si sono drizzati i capelli quando li ho visti all’aeroporto in televisione. Nessuno se lo aspetta, no? Che in un paese capitalista sviluppato vengano i medici di un paese socialista sottosviluppato , è duro. Mi ha reso orgogliosa. Sono venuta subito qui a vederli, ma all’inizio era impossibile, e ho lasciato il messaggio: saluto i medici cubani, dite loro che anch’io sono cubana».

IL PIANISTA, I DRONI E LA FESTA DI SAN JUAN

Oggi sono accaduti due eventi indipendenti, sebbene originati da questo ospedale Covid: l’inaspettata e felice visita del pianista -ricordate, quello che era malato, troppo gioviale per essere mai stato descritto come irascibile-, perché va cospirando in qualcosa che ancora non sappiamo (ha a che fare con il nostro addio); e la nostra visita al Dormitorio per donne in situazioni di strada. L’ultimo è dovuto al fatto che una squadra della televisione italiana sta realizzando un documentario sulla presenza medica cubana a Torino a causa della pandemia. Ma ci sono anche fotografi che preparano libri illustrati. In breve, che le telecamere si mescolano, si sovrappongono tra loro (compresa la mia) in questi ultimi giorni, ed uno non può conversare senza il sussulto di sapersi captato addirittura perseguitato da qualche obiettivo. Oggi pomeriggio -non so se rivelare i segreti delle riprese- i ragazzi hanno dovuto entrare e uscire dall’ospedale diverse volte, mentre due droni li filmavano dall’alto.

Mentre ciò accade, alcuni strani movimenti hanno avuto luogo all’interno della zona rossa. Adrian, di solito guardiano della Dogana dei Mondi, ha indossato la sua tuta “spaziale” ed ha attraversato il confine con Michelle. Entrambi stanno portando un grande schermo che devono installare e provare in uno dei loro cubicoli. All’esterno, un gruppo tecnico prepara le condizioni per la trasmissione. Ancora non so bene cosa stia succedendo, ma mi vesto ed entro dietro di loro, tenendo conto delle dovute attenzioni e della vigilanza degli altri membri della brigata. Poi mi spiegano: domani è il giorno di San Giovanni (San Juan), patrono della città. L’intenzione è che i malati godano della trasmissione in diretta della tradizionale festa.

La mia prima interlocutrice nella zona rossa è da 42 giorni ricoverata in ospedale ed è risultata positiva a dieci test covid-19; la seconda ha 32 giorni di ricovero ed otto test positivi (conto solo i giorni trascorsi in questo ospedale). Sono asintomatiche. Camminano con una certa libertà e non sembrano malate, ma lo sono, finché il tampone non mostri il contrario. Sono amiche. Entrambi lavorano nel settore. María Pía è assistente dentale e Martina Marongiu è infermiera in un centro per malati terminali. Hanno preso il virus al lavoro. Martina commenta: “i tagli al budget hanno influito sulla capacità della salute pubblica e privata di combattere il virus”. E aggiunge: “mancava personale e dispositivi di protezione, sia nei centri pubblici che in quelli privati”. Si sentono ben curate. Tuttavia, bramano la luce del sole. Tutte le finestre nella zona rossa sono chiuse e coperte con carta nera.

Si emozionano nel sapere che vedranno la celebrazione, che è sia pagana che religiosa, ed avviene dal Medioevo: una festa che ha visto passare molte pandemie e le ha creduto superate, ma che annuncia sempre la vita e la inalbera. Martina è più loquace di ciò che la sua fede impone: spiega la sua devozione al Santo e mi racconta cosa succede di solito oggi, dalla processione che parte dalla Cattedrale, sino agli spettacoli di strada. “E i fuochi d’artificio di San Giovanni!”, esprime con gioia la bambina che batte in lei. Quest’anno non accadrà nulla di tutto ciò.

Martina e María non sanno quando finirà l’isolamento. Il risultato dei più recenti tamponi è ancora positivo. Si riferiscono con affetto ai medici italiani e cubani: “È incredibile come si siano integrati in un’unica squadra, e ci curano e ci portano allegria”. Sono tra le ospiti più anziane. La corsa è contro il tempo. Il 10 luglio, questo ospedale chiuderà provvisoriamente le sue porte. Se il virus rimane ostinatamente nei loro corpi, probabilmente dovranno essere spostate di centro.

Ma il giorno dopo, al mattino, ricevono una sorpresa, loro e una donna di 94 anni, che ha già un tampone negativo, il Dr. Miguel li porta a prendere il sole attraverso la porta sul retro che nessuno usa, dove nessuno passa. La vecchia, che per giorni non era riuscita ad addormentarsi, è riuscita finalmente a dormire, rilassata, alla luce del giorno, sulla sedia a rotelle. Fa caldo a Torino -e questa è un’affermazione che, detta da un cubano, deve essere presa in considerazione-, ma gli esseri umani hanno bisogno del sole, che è sinonimo di vita.

La sera viene trasmesso il concerto di celebrazione. Sono intervistate per strada persone che vagano alla ricerca dello splendore festivo di altri tempi, e che invocano il Santo Patrono con le loro richieste: “che io possa trovare lavoro per me e per mio marito”, “che non ci ammaliamo”, “che finisca la pandemia».

Quest’anno le luci non illuminano il cielo di Torino, né i giovani piemontesi escono per contemplare lo spettacolo ed a baciarsi sulle rive del Po. Lo sforzo del comune si concentra sulla trasmissione televisiva e nelle reti. Ma un alito di speranza circonda le nostre vite.


De padres locos, pero cuerdos

He visto a mis compañeros, el Día de los Padres, deambular de un lado al otro, hablar alto y gesticular ante nadie. Si no tuviesen en sus manos un celular, los creería locos. Un poco lo son. Eso me dijo mi hijo, y supe que había recibido bien el mensaje de nuestra ausencia: «siempre orgulloso de ti», escribió, y todo el orgullo del universo cupo en mi corazón

Autor: Enrique Ubieta Gómez

Es una brigada compuesta por 38 hombres, y casi todos, o todos, podría decir, somos padres e hijos. No puedo imaginar cómo celebró la brigada cubana en Jamaica el Día de las Madres, porque de sus 140 integrantes, 97 son mujeres; o en Granada, donde las cinco cooperantes enviadas también lo son.

No es que la paternidad o la maternidad sean requisitos para la felicidad, o que no existan malos padres, de uno u otro sexo, ni hombres y mujeres que lo son sin serlo biológicamente. Los lazos familiares en Cuba son fuertes, y los hijos que parimos o criamos o simplemente amamos, son nuestra esperanza, nuestra razón de ser. Cuando marchamos, también lo hacemos por ellos. Es una ausencia que se transforma en presencia, y enrumba sus vidas. Nada material puede retribuir la ausencia de un padre o de una madre; un hijo la acepta solo desde el orgullo, desde la comprensión de su significado moral. Fue la única y la enorme herencia que recibió el hijo de Martí, y también los hijos del Che, y los de nuestros Cinco Héroes. Amarro un extremo de la cuerda de los ejemplos y tomo el otro para tensarla.

He visto a mis compañeros, el Día de los Padres, deambular de un lado al otro, hablar alto y gesticular ante nadie. A veces, la voz se adelgazaba hasta hacerse inaudible o se quebraba, suspendida en la última palabra, partida a la mitad. Si no tuviesen en sus manos un celular, los creería locos. Un poco lo son. Eso me dijo mi hijo, y supe que había recibido bien el mensaje de nuestra ausencia: «siempre orgulloso de ti», escribió, y todo el orgullo del universo cupo en mi corazón. Porque el orgullo puede compartirse, multiplicarse. Nunca es patrimonio de una única persona. Y yo, rodeado de gente sencilla, que hace lo que otros no podemos, salvar vidas –nada más, nada menos–, sin creer que hacen gran cosa, pero sin cejar, ni ceder en el empeño.

Hoy sucedió. Una anciana casi muere, se abalanzaron sobre ella, la rescataron, pelearon cuerpo a cuerpo con la muerte. A pesar de la diferencia de edad, se convirtieron en sus padres, ellos, que vienen de una isla lejana. Esos hombres a los que acompaño, se transforman en padres de desconocidos. Van salvando hijos por doquier. ¿Qué puedo decirte, hijo mío? Mira a tu alrededor, mira a mi alrededor. La vida está llena de padres, no todos han gestado a una mujer.

María Isabel Polanco, o mejor, Mary o Maribel, como todos le dicen, una cubana de Granma que vive en Italia desde hace 24 años, nos llevó ese día comida de la tierra, hecha con sus manos: potaje de frijoles, arroz congrí, carne de cerdo, yuca, mariquitas, chicharrones… Quiso tener un gesto de cubana con la brigada de sus coterráneos. Si no me dice el tiempo que lleva en este país, hubiese creído que fue ayer que se bajó del avión. «Quería traerles un pedacito de Cuba; cuando leí que estaban aquí, me dije, ay, van a estar el Día de los Padres, y le dije a mi marido: voy a prepararles una buena comida. Se me erizaban los pelos cuando los vi en el aeropuerto por televisión. Nadie se lo espera ¿no?, que a un país capitalista desarrollado vengan médicos de un país socialista subdesarrollado, es duro. Me hizo sentir orgullosa. Vine enseguida hasta aquí a verlos, pero no se podía al principio, y dejé el recado: saludo a los médicos cubanos, díganles que yo soy cubana también».

EL PIANISTA, LOS DRONES Y LA FIESTA DE SAN JUAN

Dos hechos nada relacionados, aunque originados por este hospital covid, sucedieron hoy: la inesperada y feliz visita del pianista –¿se acuerdan?, el que estuvo enfermo, demasiado jovial para haber sido catalogado alguna vez de irascible–, porque anda conspirando en algo que todavía no sabemos (tiene que ver con nuestra despedida); y la visita nuestra al Dormitorio de mujeres en situación de calle. La última se debe a que un equipo de la televisión italiana anda, por estos días, haciendo un documental sobre la presencia médica cubana en Turín con motivo de la pandemia. Pero también hay fotógrafos que preparan libros de imágenes. En fin, que las cámaras se mezclan, se superponen entre ellas (incluyendo la mía) en estos días finales, y uno no puede conversar sin el sobresalto de saberse captado o incluso perseguido por algún lente. Hoy en la tarde –no sé si revelo secretos de filmación–, los muchachos tuvieron que entrar y salir varias veces del hospital, mientras dos drones los filmaban desde lo alto.

Mientras esto ocurre, unos extraños movimientos han tenido lugar en el interior de la zona roja. Adrián, habitualmente guardián de la Aduana de los Mundos, se ha enfundado el traje «espacial» y ha atravesado la frontera junto a Michelle. Ambos cargan una gran pantalla que deben instalar y probar en uno de sus cubículos. Afuera, un grupo técnico prepara las condiciones para la transmisión. Todavía no sé bien qué ocurre, pero me visto y entro detrás de ellos, teniendo en cuenta los debidos cuidados y la vigilancia de otros brigadistas. Entonces me explican: mañana es el Día de San Giovanni (San Juan), patrón de la ciudad. La intención es que los enfermos disfruten de la transmisión en vivo de la fiesta tradicional.

Mi primera interlocutora en la zona roja lleva 42 días hospitalizada y ha dado positivo a diez pruebas de covid-19; la segunda tiene 32 días de ingreso y ocho pruebas positivas (solo cuento los días transcurridos en este hospital). Se encuentran asintomáticas. Caminan con cierta libertad y no parecen enfermas, pero lo están, mientras que el tampón no demuestre lo contrario. Son amigas. Ambas trabajan en el sector. María Pía es asistente dental y Martina Marongiu es enfermera en un centro para pacientes en estado terminal. Adquirieron el virus en el trabajo. Martina comenta: «los recortes presupuestarios afectaron la capacidad de la salud pública y de la privada para luchar contra el virus». Y añade: «había falta de personal, y de dispositivos de protección, tanto en los centros públicos como en los privados». Se sienten bien atendidas. Sin embargo, añoran la luz del sol. Todas las ventanas de la zona roja están cerradas y cubiertas con papel negro.

Se emocionan al saber que verán la celebración, que es a la vez pagana y religiosa, y ocurre desde la Edad Media: una fiesta que vio pasar muchas pandemias y las creyó superadas, pero que siempre anuncia la vida y la enarbola. Martina es más locuaz en cuanto a lo que le dicta su fe: explica su devoción por el Santo y me cuenta lo que habitualmente sucede este día, desde la procesión que parte de la Catedral, hasta los espectáculos callejeros. «¡Y los fuegos artificiales de San Giovanni!», expresa con alegría la niña que late en ella. Este año nada de esto sucederá.

Martina y María no saben cuándo acabará el encierro. El resultado del más reciente tampón sigue siendo positivo. Se refieren con afecto a los médicos italianos y cubanos: «Es increíble cómo se han integrado en un solo equipo, y nos curan y nos traen alegría». Son de las inquilinas más antiguas. La carrera es contra el tiempo. El día 10 de julio, este hospital cerrará provisionalmente sus puertas. Si el virus se mantiene terco en sus cuerpos, probablemente tengan que ser trasladadas de centro.

Pero al día siguiente, en la mañana, reciben una sorpresa, a ellas y a una anciana de 94 años, que ya tiene un tampón negativo, el doctor Miguel las lleva a tomar el sol por la puerta del fondo que nadie usa, por donde nadie pasa. La anciana, que llevaba días sin poder conciliar el sueño, pudo por fin dormir, relajada, a la luz del día, en su silla de ruedas. Hace calor en Turín –y esta es una afirmación que, dicha por un cubano, debe ser tenida en cuenta–, pero los seres humanos necesitamos del sol, que es sinónimo de vida.

En la noche se transmite el concierto de celebración. Son entrevistadas en la calle personas que deambulan en busca del esplendor festivo de otros tiempos, y que invocan con sus peticiones al Santo Patrón: «que pueda conseguir trabajo para mí y para mi esposo», «que no nos enfermemos», «que termine la pandemia».

Este año las luces no iluminan el cielo de Turín, ni han salido los jóvenes piamonteses a contemplar el espectáculo y a besarse a orillas del río Po. El esfuerzo de la alcaldía se centra en la trasmisión televisiva y en las redes. Pero un hálito de esperanza circunda nuestras vidas.

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