Venezuela. Intervista a Freddy Bernal

di Geraldina Colotti

Freddy Bernal, protettore del Tachira e chavista da trincea, trova tempo per risponderci al telefono, tra una riunione e l’altra, vulcanico e brillante come di consueto.


Qual è la situazione alla frontiera con la Colombia?

Siamo arrivati a 100 giorni di quarantena per evitare la pandemia da coronavirus. Il presidente Maduro è stato uno dei primi a adottare misure drastiche di contenimento e prevenzione, basate sull’isolamento sociale e epidemiologico. Grazie alla collaborazione di Cina, Russia, Cuba, siamo i primi in America Latina per numero di tamponi effettuati, oltre un milione. Mentre altri capi di stato, prima di agire e mandare le persone ai centri di salute hanno aspettato di vedere gli effetti del covid-19, noi abbiamo inviato subito un esercito di camici bianchi nelle comunità, a effettuare prove rapide e indagini sanitarie. In questo modo abbiamo contrastato per tempo la pandemia. Non avevamo esperienza, però potevamo contare sul potere popolare organizzato che ha accompagnato il personale sanitario a effettuare tamponi casa per casa, nelle comunità, nei mercati, nei negozi. Invece la Colombia di Ivan Duke, con la quale condividiamo 164 km di frontiera sui complessivi 2500, oggi arriva a 100.000 contagiati, e costituisce purtroppo il primo rischio di diffusione del virus da noi. L’86% dei contagiati, in Venezuela, è costituito da casi importati dalla Colombia. Siamo per questo molto accorti e esigenti per evitare che la pandemia si diffonda nel nostro paese. Lo stato Tachira rappresenta un muro di contenzione. In questo momento, sono in quarantena 4.844 persone. Dopo 17 giorni di monitoraggio, durante i quali ricevono un’attenzione integrale sul piano dell’alimentazione e dell’assistenza, anche psicologica, possono tornare a casa. Finora i guariti sono stati 36.404. Per i migranti che vogliono tornare a casa, abbiamo organizzato oltre 1.000 viaggi via terra e 86 viaggi aerei. Abbiamo installato 4.800 Punti di Attenzione Integrale (PASI).

Qual è l’atteggiamento del governo colombiano?

Fino a poco tempo fa, non avevamo rapporto alcuno. Trattavano i nostri migranti come bestie, lanciandoli per i sentieri irregolari. Poi, il presidente Maduro mi ha autorizzato a prendere contatti con le autorità colombiane. Per ragioni umanitarie, mi sono perciò riunito con le autorità migratorie e della salute, l’ultima volta sabato scorso. Duke segue la stessa linea di Bolsonaro, quindi di Trump, ma non tutti sono d’accordo. C’è una certa resistenza, per esempio da parte della sindaca di Bogotá, che sta facendo un grande sforzo, così a Cali e anche nel Nord di Santander, dall’altro lato della frontiera, hanno una posizione interessante, e con loro mi sono riunito. Tutti emettono decreti speciali che contraddicono la linea del governo centrale per preservare vite umane. Noi abbiamo chiesto maggior controllo affinché il ponte internazionale sia l’unica entrata stabilita per il controllo anti-covid.

Come funziona?

È aperto dal lunedì al venerdi, perché nei fine settimana procediamo alla sanificazione di tutta la logistica e al rifornimento. In media, in una settimana arrivano dalle 350 alle 1.800 persone. Tra quelle che abbiamo accolto, almeno 2.000 erano denutrite. Fra chi ritorna da Perù, Colombia, Ecuador, molti sono affetti da gravi patologie come la tubercolosi o malattie veneree. Avevano pensato di trovare il paradiso in quei paesi, invece hanno constatato sulla propria pelle lo sfruttamento, lavorando 18 ore al giorno per un salario irrisorio, la mancanza di alloggi, in molti hanno dormito per strada, il razzismo. Accoglierli rappresenta un grosso impegno per noi, ma il presidente Maduro ha deciso di ricevere tutti i venezuelani che tornano nel proprio paese, senza distinzione. E siamo orgogliosi di questa azione di solidarietà umanista. Nonostante le difficoltà del nostro sistema sanitario, dovuto alla guerra economica, da noi l’assistenza è gratuita, così come tutti gli esami di prevenzione e cura del covid-19. In Colombia, un primo esame costa 80 dollari, la prova Pcr tra i 200 e i 400 dollari, e il trattamento completo si paga fino a 120.000 dollari. Da noi non si paga niente. Per questo, i nostri connazionali fanno a gara per tornare in massa. Questo, però, i media non lo dicono né lo mostrano come invece hanno fatto, speculando, negli ampi reportage in cui “documentavano” folle di persone in fuga dalla “dittatura”. Tacciono perché sarebbero obbligati a ammettere che, nonostante la guerra economica, il nostro è un modello che funziona.

In questi giorni, hai fatto circolare un video in cui si vede una funivia artigianale per il traffico illegale di persone e merci. Qual è la situazione al confine sul piano della sicurezza? È vero che ci sono truppe USA che possono accompagnare un’invasione armata del Venezuela?

Nel settore chiamato La Escalera, a 15 metri d’aria con la Colombia, abbiamo scoperto e distrutto una sorta di teleferico binazionale irregolare costruito da gruppi criminali per far passare il confine illegalmente in cambio di denaro. Lottiamo costantemente contro il crimine organizzato e le bande paramilitari, protette dall’esercito e dalla polizia colombiana, in una doppia battaglia per difendere sia la sovranità nazionale che la salute. Duke ha autorizzato altri 180 assessori Usa e israeliani di alto livello da impiegare nella guerra non convenzionale. Compiono provocazioni arrivando molto vicino alla nostra frontiera. C’è una confluenza di forze oscure per far cadere il governo Maduro, ma questo non ci toglie il sonno. Abbiamo oltre 7.000 uomini e donne dispiegati nei vari punti di controllo lungo la frontiera in perfetta unione civico-militare e di polizia. Siamo attrezzati con strumenti di altissima tecnologia, abbiamo 3 milioni di miliziani e miliziane. Sappiamo che la Colombia si considera come un altro protettorato degli USA, ma abbiamo il nostro piano. Non vogliamo la guerra, ma sappiamo difenderci, perché siamo decisi a restare liberi. Anche dalla vecchia Europa.

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