Colombia. Jesús Santrich: “L’Accordo di Pace è a pezzi”

Di Sasha Yumbila Paz. Resumen Latinoamericano, 27 luglio 2020.

Intervista a Jesús Santrich, comandante delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, Esercito del Popolo (FARC-EP) Segunda Marquetalia ed ex congressista della Colombia. Di inizi, tensioni e dibattiti in questa primo articolo.

Suggerisco di mettersi comodi/e, accompagnare la lettura dell’intervista con un caffè caldo. Seuxis Paucias Hernández Solarte, meglio conosciuto dal suo nome di guerra Jesús Santrich, uno dei negoziatori del processo di pace a L’Avana, ex congressista e che ha trascorso 400 giorni in prigione senza alcuna prova contro di lui per una montatura giudiziaria da parte del governo USA attraverso la DEA.

Dalla clandestinità ci racconta della Seconda Marquetalia, dettagli poco noti sulla consegna delle armi, del Partito de La Rosa e come lui afferma: “di personaggi oscuri come Timoleón Jiménez e Carlos Antonio Lozada”

Cosa sono le FARC-EP, Seconda Marquetalia? Esistono diverse espressioni che si chiamano FARC, si percepisce nel paese una marcata contraddizione tra coloro che non hanno si sono mai avvalsi del processo di pace e quelli che sono entrati nel processo, poi ne sono usciti ed hanno fondato la Seconda Marquetalia. Perché le contraddizioni se le radici sono le stesse?

 

Le FARC-EP, Segunda Marquetalia, sono un’organizzazione guerrigliera rivoluzionaria, comunista, di ideologia marxista, leninista e bolivariana. In tal senso, sono una struttura essenzialmente politica, ciò che implica essere un partito e, nel frattempo, assumiamo la via armata della lotta per i nostri principali scopi, ci costituiamo anche come esercito, con una linea di comando gerarchica ed una disciplina militare tale che chiunque militi con noi deve accettarla volontariamente e coscientemente prima di fare il passo della sua unione come componente.

La sigla ha lo stesso significato di quello dell’organizzazione insurrezionale originaria; cioè, Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, Esercito del Popolo, perché siamo continuazione dello stesso progetto fondato e guidato per decenni dal Comandante Manuel Marulanda Vélez e Jacobo Arenas. In sostanza, marciamo sotto le direttrici delle stesse concezioni strategiche e programmatiche, adattate alle variazioni della realtà nazionale ed internazionale, a cui si aggiunge la nuova situazione che si è configurata con la firma del fallito Accordo di Pace dell’Avana, con il tradimento dello stesso e le conseguenze avverse, di discredito della buona fede, del pacta sunt servanda, del valore della parola data e del dialogo come strumento per la risoluzione di conflitti che ha generato la perfidia istituzionale.

Si tratta di punti di vista diversi sulla gestione della politica, ma che sostanzialmente non comportano, per quanto ci riguarda, aspetti di ordine ideologico, perché non si tratta che l’uno o l’altro abbiano messo in discussione, in qualche momento, ad esempio, la legittimità o la pertinenza della lotta armata o degli scopi strategici riguardanti l’istituzione della giustizia sociale, la costruzione del socialismo e la conquista del comunismo.

Ciò non è mai accaduto, almeno per quanto riguarda il settore insorgente che porta avanti il progetto Segunda Marquetalia. La questione del fallimento, secondo me, è stato più di ordine tattico, riferito alla forma di far avanzare la lotta nel momento specifico che si stava vivendo quando la dirigenza d’allora ha preso la decisione di sedersi al tavolo dei colloqui con il governo. Ciò obbediva ad una linea guida strategica concepita attraverso la nostra storia di lotta, consistente nel fatto che la soluzione dialogata al conflitto era parte principale della visione strategica fariana, con la precisazione sì, che a quella uscita a cui mai nessuno internamente si è opposto mai, nessuno che si considerasse genuinamente marulandista, l’ha pensata includendo la consegna delle armi, ed ancor meno con la rinuncia ai principi comunisti di origine, che è dove risisede il problema di ciò che è accaduto dopo la firma dell’Accordo.

Su questo aspetto nodale si è presentata una distorsione che non ha mai contato sull’approvazione di quelli di noi che hanno ripreso le armi, ma che è stata imposta con la manipolazione della linea di comando, della disciplina militare e della subordinazione, al grosso dello Stato Maggiore Centrale e della guerriglia, da un settore arrendevole che oggi è molto evidente.

Contro quel settore si sono fatti accesi dibattiti, che non sono di sufficiente conoscenza pubblica e che sono di quasi nulla gestione di quella che era la maggioranza delle basi di guerriglia. I punti di scontro con il settore arrendevole si sono posti particolarmente in evidenza durante la Decima Conferenza, quando la disarticolazione dello schieramento strategico era già irreversibile e nel Congresso Costitutivo del Partito de La Rosa, quando il disarmo militare era già avvenuto e si cominciava ad evidenziare con più forza il disarmo ideologico.

Quindi, come lei ha detto, sebbene con le stesse radici, si percepiscono contraddizioni tra le FARC-EP Segunda Marquetalia ed altri settori che anche si denominano FARC ma che non hanno mai accettato il processo di pace come sì hanno fatto i primi. Forse questo è il punto principale delle differenze, l’aver accettato o meno l’Accordo, ciò che non costituisce in alcun modo una contraddizione inconciliabile, anche se da essa altre emergano.

Ma per risolverle, devi sederti a dialogare, che è ciò che non è ancora accaduto ma dovrà accadere, e forse per questo motivo ci sono incomprensioni o ignoranza di quale fosse la nostra posizione durante i colloqui, ai quali quelli di noi che sono andati lo hanno fatto per un decisione non personale ma dell’Organizzazione, e di cui è stato nostro fermo atteggiamento conseguente con la linea rivoluzionaria dopo la firma dell’Accordo.

Ed esistono queste ignoranze, semplicemente perché la comunicazione in un’organizzazione gerarchica e compartimentata come lo erano le FARC la gestiva il comando superiore e quando si è allargata la possibilità di un dibattito aperto, il tradimento era un fatto sia da parte del governo che da parte del settore arrendevole che purtroppo, in larga misura, ha continuato a guidare il partito de La Rosa, affogando la critica con la stigmatizzazione, la segregazione dei contraddittori e persino con la sua espulsione. Tutto ciò, unito alla determinazione che ha preso Iván Duque di stracciare l’Accordo e di continuare le politiche controinsurrezionali di sterminio che stanno portando la Forza Alternativa Rivoluzionaria Comune alla bancarotta.

In quali altri punti specifici avete contraddizioni e dibattiti?

Vedrai, tra i settori che non fanno parte delle FARC-EP Segunda Marquetalia, alcuni compagni come il caso di Gentil Duarte sì erano nel processo di pace ed hanno preso la determinazione di continuare la lotta armata dopo la Decima Conferenza, quando le armi non erano ancora state consegnate. Altri, persino, erano in prigione e sono stati rilasciati a seguito della firma dell’Accordo e poi hanno ripreso la lotta armata. Altri lo abbiamo fatto successivamente perché così ce l’hanno imposto le circostanze. Quindi, insisto, la contraddizione non sta nell’assumere il percorso della soluzione dialogata come opzione, ma nella distorsione che ha preso la concezione fariana verso la consegna delle armi prima, e poi verso la sconfitta ideologica.

E non c’è mai stato un Piano B su cosa fare in caso di non adempimento dello stabilito o che fare in caso di una distorsione interna, poiché tali scenari non erano previsti; e non lo erano semplicemente perché a nessuno, mai, è passato per la mente che ci sarebbe stata una consegna delle armi. Ciò di cui abbiamo parlato era “collocare le armi fuori del loro uso in politica”, che era ciò che significava ABBANDONO DELLE ARMI. Ed è qui che si trova l’aspetto essenziale della distorsione interna che ci ha portato alla rottura, perché senza alcun tipo di consultazione e con tutte le manovre immaginabili, iniziando a distaccare per affrontare il tema delle armi una Commissione Parallela che inizialmente è stata inviata per effettuare le negoziazioni, l’ ABBANDONO l’hanno trasformata in CONSEGNA, in tempi record, di tutte le armi senza definire effettive garanzie di adempimento di quanto concordato.

Per questo motivo ritengo che Gentil e coloro che hanno deciso di non continuare essendo stati nel processo, abbiano assolutamente ragione nella determinazione presa. E quelli che da prima hanno mostrato la loro riluttanza anche la hanno perché il processo in generale, specialmente quando è iniziato quel dibattito sull’ABBANDONO delle armi, ha assunto, da parte di quella seconda delegazione guidata da Carlos Antonio Lozada, un insolito segretismo che ha compartimentato lo stesso resto della Delegazione che si trovava a L’Avana, portando a scontri quasi di rottura, che non si sono prodotti perché tutti coloro che ci opponevamo eravamo troppo esposti e senza possibilità di gestione di truppe né di territorio, e come ho già detto, con un isolamento rispetto alle comunicazioni con i Fronti ed il resto della militanza. Molto complessa la questione in un ambiente in cui tutti iniziamo a diffidare di tutti e dove nessuno osava dire all’altro la sua reale visione sul percorso da intraprendere e quando farlo.

Per non soffermarmi troppo su questo, suggerisco di leggere il libro del compagno Iván Márquez ‘La Segunda Marquetalia’, in cui si dettaglia, con più informazione ciò che è accaduto ed in cui sono inclusi i principali documenti di fondazione delle FARC-EP Segunda Marquetalia, posto che effettivamente le nuove circostanze ci hanno portato ad apportare alcune variazioni tattiche al Piano di Campagna Bolivariana per la Nuova Colombia, che non possiamo imporre a nessuno che non faccia parte della squadra di lavoro che le ha discusse ed approvate e che ovviamente non possono essere elementi per squalificare nessuno di coloro che non siano stati in tale dibattito.

Per noi la sigla FARC-EP è una costruzione storica che ora non dipende solamente da coloro che la abbiamo portata fino alla Decima Conferenza, o fino alla Nona se vogliamo essere più radicali, perché c’era un processo politico che è lì, nel bene o nel male, con alcuni risultati tangibili che non possono essere cancellati o nascosti. Una delle conseguenze è stata la divisione della nostra organizzazione, l’emergere di sfumature tattiche su questioni come il trattamento delle trattenute economiche e delle truppe governative; la definizione degli obiettivi militari specifici, ecc. Su questo dovremo sederci a discutere e giungere a conclusioni con i compagni delle varie FARC che esistono oggi, incluso la Seconda Marquetalia, che prende tale denominazione per due motivi principali: uno, è rendere omaggio al comandante Manuel Marulanda, che nei suoi ultimi giorni di esistenza contemplava e quindi lo stava preparando, fare una grande offensiva militare dalla zona in cui si trovava, con quel nome.

Ed una seconda ragione è che con le nostre determinazioni ed azioni non possiamo compromettere il nome di coloro che non sono strutturati con noi; è una questione di rispetto e riconoscimento. Ma neppure noi possiamo impegnarci in determinazioni ed azioni di strutture di cui non facciamo parte; è una questione di responsabilità. Quindi, rispondiamo solo per quello che fanno all’interno delle linee dei nostri piani, coloro che agiscono strutturati nella Seconda Marquetalia. Questo è il marchio che ci differenzia, per ora.

È possibile un’unificazione di coloro che criticano il fallito Processo di pace?

Certo che è possibile perché esistono gli elementi per farlo: abbiamo le stesse radici, abbiamo gli stessi scopi strategici, una lunga storia di lotta comune, un’ideologia marxista-leninista e bolivariana che ci affratella ed una condizione di rivoluzionari che ci impone non solo la necessità ma il dovere di prendere la strada dell’unità o almeno quella del coordinamento a beneficio delle comunità che ancora credono in noi e che, in un modo o nell’altro, hanno i loro affetti condivisi e confusi.

Questo è noto al nemico e per questo motivo compie enormi sforzi per generare e moltiplicare scontri ed allontanamenti, pubblicando comunicati apocrifi dell’uno contro l’altro e realizzando anche azioni inammissibili a nome dell’una o dell’altra struttura fariana che includono attentati contro gente innocente. Tutto ciò deve chiamare la nostra attenzione ad essere molto riflessivi prima di giungere a conclusioni di fronte a fatti che si presentano in questa confusa situazione del confronto. Osservare sempre che il regime cerca di fare i suoi interessi e mantenerci fratturati in modo da distruggerci tra noi, creando od incoraggiando discordia e persino creando i suoi propri gruppi che li fanno agire come FARC.

Come valuta il settore delle FARC che continua ad agire in base agli Accordi di novembre 2016?

Ho valutazioni segmentate e differenziate, perché i membri del Partito de La Rosa non sono più un gruppo con identità o unità ideologica e politica; ci sono settori e tendenze chiaramente definiti. Ma vorrei iniziare dicendo che la prima cosa che dovrebbe essere evidenziata è che l’Accordo di Pace, al di là del tradimento sofferto da parte dell’istituzionalità e di un settore tollerante all’interno delle FARC ha convertito la Forza Alternativa Rivoluzionaria Comune, ha offerto una possibilità di cambio per trovare la pace con giustizia sociale, o che potesse almeno servire da base per tale scopo, che ha suscitato la volontà di milioni di persone che in Colombia hanno scommesso su tale alternativa e quella di migliaia di guerriglieri che, in buona fede, hanno anche creduto in tale percorso, e lo hanno intrapreso e persistono ancora nella disputa per realizzare gli obiettivi che sono stati delineati in termini di superamento della miseria, disuguaglianza ed esclusione politica, soprattutto.

Ho la convinzione che la maggior parte dei compagni/e che continuano ad agire, ostinatamente, secondo gli Accordi del 2016, lo fanno credendo, contro ogni avversità, nell’onorevole e necessario compito di costruire la pace democratica e della ricerca di soluzioni ai problemi sociali che assillano il paese, e lo fanno anche credendo nella necessità e possibilità di una soluzione politica al conflitto che si è ripotenziato con le nuove e vecchie insurrezioni che persistono nella rivolta armata, sia per causa del tradimento o perfidia istituzionale riguardo al patto dell’Avana o semplice e chiaramente perché le cause che hanno generato il conflitto non sono state superate.

Nel percorso delle FARC come organizzazione insorta in armi, l’abbiamo detto pubblicamente, quelli di noi che riprendono o continuano questo percorso hanno una lunga storia comune di successi ed errori, di coincidenze e contraddizioni, di sacrifici alla ricerca di ideali intorno a cui ci siamo identificati e che ancora sicuramente ci fanno coincidere con la maggior parte della militanza della Forza Alternativa, e per questo e per la prima cosa che ho espresso per rispondere a questa domanda, indipendentemente dalle ragioni ideologiche o politiche che in quanto alla definizione di vie e forme della rivoluzione ci allontanano, sono molte quelle che ci danno identità, e molto più grandi sono i sentimenti affettivi profondi che non dipendono propriamente dalle direzioni che prende l’azione politica o dalle decisioni capricciose di pochi dirigenti che hanno distorto il cammino, si sono disinteressati dei propri vecchi compagni d’armi e della militanza di base in ​​generale, inoltre hanno intrapreso la triste e deplorevole impresa di ripetere le calunnie diffamatorie ​​dei nemici di tutto il processo rivoluzionario che brulicano nell’Istituzione, nel Blocco di Potere Dominante ed in alcuni settori opportunistici che si mimetizzano dietro posizioni apparentemente conseguenti.

A questo proposito, quindi, differenzio le basi militanti, ex combattenti o meno, da personaggi oscuri come Timoleón Jiménez e Carlos Antonio Lozada che si sono distinti come rinnegati o apostati dalla loro precedente condizione di guerriglieri comunisti e nel loro nuovo ruolo di ciarlatani dedicati ad insultare o denigrare la dirigenza del progetto politico FARC-EP (Seconda Marquetalia) e delle insurrezioni in generale, usando le stesse spregovoli calunnie dei nostri nemici del regime, in particolare con la logora accusa che siamo narcotrafficanti e non combattenti politici, o l’accusa di essere stati quelli che “hanno disertato la pace”, come se ignorassero le nostre ragioni fondate sulla perfidia istituzionale e, soprattutto, ignorando gli sforzi che quelli di noi che oggi sono tornati alla lotta armata hanno fatto per far avanzare l’accordo, o per ottenere la liberazione dei nostri prigionieri o la realizzazione dei progetti di reincorporazione e per le urgenti trasformazioni sociali, etc.

In questo quindi, noi non critichiamo coloro che hanno sempre creduto, o hanno optato, ora, per la lotta legale, ma sì siamo obbligati a dare dibattito a coloro che assolutizzando quel percorso si erigono a sensori della nostra lotta, criticando o squalificando coloro che seguono ammettendo come legittimo il diritto alla ribellione armata, specialmente se le critiche si fanno per disfattismo o per aver fatto una virata a destra, e di conseguenza hanno deciso di disconoscere le circostanze del terrorismo di stato che la Colombia continua a soffrire. Un’altra cosa è che per convinzione o per tattica e strategia politica, si assuma la determinazione di trovare nuove strade ed intraprendere la marcia per esse, ciò che è anche valido ed ha il suo merito per qualsiasi Partito.


Colombia. Jesús Santrich: “El Acuerdo de Paz está vuelto trizas”

Por Sasha Yumbila Paz. Resumen Latinoamericano, 27 de julio de 2020.

Entrevista a Jesús Santrich, comandante de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, Ejército del Pueblo (FARC-EP) Segunda Marquetalia, y ex-congresista de Colombia. De comienzos, tensiones y debates en esta primera entrega.

Les sugiero ponerse cómodos/as, acompañar la lectura de la entrevista con café caliente. Seuxis Paucias Hernández Solarte, más conocido por su nombre de guerra Jesús Santrich uno de los negociadores del proceso de paz en La Habana, exc-ongresista y quien pasó 400 días en la cárcel sin ninguna prueba en su contra por un montaje judicial de el gobierno de Estados Unidos a través de la DEA.

Desde la clandestinidad nos cuenta sobre la Segunda Marquetalia, detalles poco conocidos de la entrega de armas, del Partido de la Rosa y como él afirma: “de personajes oscuros como Timoleón Jiménez y de Carlos Antonio Lozada”

¿Qué son las FARC-EP, Segunda Marquetalia? Hay varias expresiones que se llaman FARC, se percibe en el país una marcada contradicción de los que nunca se acogieron al proceso de paz y los que entraron al proceso, luego se salieron y fundaron la Segunda Marquetalia. ¿Por qué las contradicciones si las raíces son las mismas?

Las FARC-EP, Segunda Marquetalia, son una organización guerrillera revolucionaria, comunista, de ideología marxista, leninista y bolivariana. En tal sentido, son una estructura esencialmente política, lo cual implica ser un partido, y en tanto, asumimos la vía armada de la lucha por nuestros propósitos mayores, nos constituimos también como ejército, con una línea de mando jerárquica y una disciplina militar tal que quien milite con nosotros debe acogerla voluntaria y conscientemente antes de dar el paso a su vinculación como integrante.

La sigla tiene el mismo significado que la de la organización insurgente originaria; es decir, Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, Ejército del Pueblo, porque somos continuación del mismo proyecto fundado y conducido durante décadas por los Comandante Manuel Marulanda Vélez y Jacobo Arenas. En lo esencial marchamos bajo las directrices de las mismas concepciones estratégicas y programáticas, ajustadas a las variaciones de la realidad nacional e internacional, a lo que se agrega la nueva situación que se configuró con la firma del fallido Acuerdo de Paz de La Habana, con la traición del mismo y las consecuencias adversas, de descrédito a la buena fe, del pacta sunt servanda, del valor de la palabra empeñada y del diálogo como instrumento para la resolución de conflictos que generó la perfidia institucional.

Se trata de puntos de vista diferentes en el manejo de la política, pero que de fondo no entrañan, en lo que a nosotros concierne, aspectos de orden ideológico, porque no se trata de que unos u otros hayan cuestionado en algún momento, por ejemplo, la legitimidad o la pertinencia de la lucha armada o de los propósitos estratégicos en cuanto al establecimiento de la justicia social, la construcción del socialismo y la conquista del comunismo.

Eso nunca ha ocurrido, al menos en lo que respecta al sector insurgente que adelanta el proyecto Segunda Marquetalia. El asunto de quiebre, a mi entender, fue más de orden táctico, referido a la forma de adelantar la lucha en el momento específico que se estaba viviendo cuando la dirección de entonces tomó la determinación de sentarse en la mesa de conversaciones con el gobierno. Eso obedecía a una pauta estratégica concebida a través de nuestra historia de lucha, consistente en que la salida dialogada al conflicto era parte principal de la visión estratégica fariana, con la precisión sí, de que a esa salida a la que jamás nadie internamente se opuso, nunca tampoco nadie que se considerara genuinamente marulandista la pensó incluyendo la entrega de las armas, y menos con la rendición de los principios comunistas de origen, que es donde está el problema de lo acontecido tras la firma del Acuerdo.

Sobre tal aspecto nodal se presentó una distorsión que nunca contó con el beneplácito de quienes retomamos las armas, sino que fue impuesta con la manipulación de la línea de mando, la disciplina militar y la subordinación, al grueso del Estado Mayor Central y de la guerrillerada, por un sector entreguista que hoy por hoy está muy en evidencia.

Contra ese sector se hicieron enconados debates que no son de suficiente conocimiento público y que son casi que de nulo manejo de lo que era la mayoría de las bases guerrilleras. Los puntos de choque con el sector entreguista se pusieron en evidencia sobre todo durante la Décima Conferencia, cuando la desarticulación del despliegue estratégico ya era irreversible y en el Congreso Constitutivo del Partido de La Rosa, cuando el desarme militar ya se había dado y se comenzaba a evidenciar con más fuerza el desarme ideológico.

Entonces, como usted lo ha dicho, aunque con las mismas raíces, se perciben contradicciones entre las FARC-EP Segunda Marquetalia y otros sectores que también se denominan FARC pero que nunca se acogieron al proceso de paz como sí lo hicieron los primeros. Quizás ese es el punto principal de las diferencias, el haberse acogido o no al Acuerdo, lo cual no constituye de ninguna manera una contradicción irreconciliable así de ella se desprendan otras.

Pero para resolverlas hay que sentarse a dialogar, que es lo que todavía no ha ocurrido pero deberá ocurrir, y quizás por ello existen malos entendidos o desconocimiento de lo que fue nuestra posición durante las conversaciones, a las cuales los que fuimos lo hicimos por una decisión no personal sino de la Organización, y de cual fue nuestra firme actitud consecuente con la línea revolucionaria después de la firma del Acuerdo.

Y existen estos desconocimientos, sencillamente porque la comunicación en una organización jerárquica y compartimentada como lo eran las FARC, la manejaba el mando superior, y cuando ya se expandió la posibilidad del debate abierto la traición era un hecho tanto por parte del gobierno como por parte de sector entreguista que desafortunadamente, en gran medida, siguió conduciendo al partido de La Rosa, ahogando la crítica con la estigmatización, la segregación de los contradictores y hasta con su expulsión. Todo lo cual, sumado a la determinación que tomó Iván Duque de hacer trizas el Acuerdo y de continuar las políticas contrainsurgentes de exterminio están llevando a la Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común a la bancarrota.

¿En qué otros puntos específicos tienen contradicciones y debates?

Verás, entre los sectores que no hacen parte de lo que son las FARC-EP Segunda Marquetalia, algunos camaradas como el caso de Gentil Duarte sí estuvieron en el proceso de paz y tomaron la determinación de seguir la lucha armada después de la Décima Conferencia, cuando todavía no se había hecho entrega de las armas. Otros, incluso, estaban en prisión y salieron en libertad como consecuencia de la firma del Acuerdo y luego retomaron la lucha armada. Otros lo hicimos con posterioridad porque así nos lo impusieron las circunstancias. Entonces, insisto, la contradicción no está en asumir el camino de la solución dialogada como opción sino en la distorsión que tomó la concepción fariana hacia la entrega de las armas primero y luego hacia la claudicación ideológica.

Y nunca hubo un Plan B sobre qué hacer en caso de incumplimiento del establecimiento o qué hacer en caso de una distorsión interna, porque esos escenarios, no estaban previstos; y no lo estaban simplemente porque nunca, jamás, a nadie se le pasó por la mente que habría entrega de armas. De lo que hablamos era de “colocar las armas fuera de su uso en política” que era lo que significaba DEJACIÓN DE ARMAS. Y ahí es donde está el aspecto esencial de la distorsión interna que nos fue conduciendo a la ruptura, porque sin ningún tipo de consulta y con todas las maniobras imaginables, comenzando por destacar para tratar el tema de las armas, a una Comisión Paralela a la que inicialmente se envió a hacer las negociaciones, la DEJACIÓN la convirtieron en ENTREGA, en tiempo record, de todos los fierros sin definir garantías efectivas de cumplimiento de lo acordado.

Por ello creo que Gentil y quienes toman la determinación de no continuar habiendo estado en el proceso, tienen toda la razón en la determinación tomada. Y quienes desde antes mostraron sus reticencias también la tienen porque el proceso en general, sobre todo cuando inició ese debate sobre la DEJACIÓN de armas, tomó por parte de esa segunda delegación en cabeza de Carlos Antonio Lozada, un inusitado secretismo que compartimentó al mismo resto de la Delegación que estaba en La Habana, llevándonos a choques casi de ruptura, que no se produjo porque todos quienes nos oponíamos estábamos demasiado expuestos y sin posibilidades de manejo de tropas ni de territorio, y como ya dije, con un aislamiento respecto a las comunicaciones con los Frentes y resto de la militancia. Muy complejo el asunto en un ambiente donde todos comenzamos a desconfiar de todos y donde nadie se atrevía a decirle al otro su real visión sobre el camino a tomar y en qué momento hacerlo.

Para no extenderme mucho en esto, sugiero leer el libro del camarada Iván Márquez La Segunda Marquetalia, en el que se detalla con más información lo ocurrido, y donde se incluyen los documentos fundacionales principales de las FARC-EP Segunda Marquetalia, puesto que efectivamente las nuevas circunstancias nos llevaron a hacer algunas variaciones tácticas al Plan Campaña Bolivariana por la Nueva Colombia, las cuales no podemos imponérselas a nadie que no haga parte del equipo de trabajo que las discutió y las aprobó, y que obviamente no pueden ser elementos para descalificar a ninguno de quienes no hayan estado en ese debate.

Para nosotros la sigla FARC-EP es una construcción histórica que ya no depende solamente de quienes la portamos hasta la Décima Conferencia, o hasta la Novena si queremos ser más radicales, porque hubo un proceso político que está ahí, para bien o para mal, con unos resultados tangibles que no se pueden borrar ni ocultar. Una de las consecuencias fue la división de nuestra organización, el surgimiento de matices tácticos sobre temas como el tratamiento de las retenciones económicas y a las tropas gubernamentales; la definición de los objetivos militares específicos, etc. Sobre ello tendremos que sentarnos a debatir y llegar a conclusiones con los compañeros de las diversas FARC que existen hoy por hoy, entre ellas la Segunda Marquetalia, que toma esa denominación por dos razones principales: una, es la de rendir un homenaje al comandante Manuel Marulanda, quien en sus últimos días de existencia contemplaba y así lo estaba preparando, hacer una gran ofensiva militar desde el área donde se encontraba, con ese nombre.

Y una segunda razón es que con nuestras determinaciones y acciones no podemos comprometer el nombre de quienes no están estructurados con nosotros; es un asunto de respeto y reconocimiento. Pero tampoco nosotros podemos comprometernos en determinaciones y acciones de estructuras de las que no hacemos parte; es un asunto de responsabilidad. De ahí, que solo respondemos por lo que hagan dentro de las líneas de nuestros planes, quienes actúen estructurados en la Segunda Marquetalia. Ese es el sello que nos diferencia, por ahora.

¿Es posible una unificación de los que critican al fallido Proceso de paz?

Claro que es posible porque existen los elementos para hacerlo: tenemos las mismas raíces, tenemos los mismos propósitos estratégicos, una larga historia de lucha en común, una ideología marxista-leninista y bolivariana que nos hermana y una condición de revolucionarios que nos impone no solamente la necesidad sino el deber de tomar el camino de la unidad o al menos el de la coordinación en beneficio de las comunidades que creen todavía en nosotros y que de una u otra forma tienen sus afectos compartidos y confundidos.

Eso lo sabe el enemigo y por ello hace ingentes esfuerzos por generar y multiplicar choques y distanciamientos publicando comunicados apócrifos de unos contra otros y realizando también acciones inadmisibles a nombre de una u otra estructura fariana que incluyen atentados contra gente inocente. Todo lo cual nos debe llamar la atención en cuanto a ser muy reflexivos antes de llegar a conclusiones frente a hechos que se presentan en este río revuelto de la confrontación. Siempre observar en que el régimen trata de hacer su agosto y mantenernos fracturados para que nos destruyamos entre nosotros mismos, creando o alentando discordias e incluso creando sus propios grupos que los ponen a actuar como FARC.

¿Cómo valoran al sector de las FARC que sigue actuando bajo los Acuerdos de noviembre de 2016?

Tengo valoraciones segmentadas y diferenciadas, porque los integrantes del Partido de La Rosa ya no son un conjunto con identidad o unidad ideológica y política; hay sectores y tendencias claramente definidas. Pero iniciaría diciendo que lo primero que habría que resaltar es que el Acuerdo de Paz, más allá de la traición que sufrió por parte de la institucionalidad y de un sector tolerante dentro de las FARC convertida en Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común, ofreció una posibilidad de cambio para encontrar la paz con justicia social, o que pudo al menos servir de base para tal propósito, que concitó la voluntad de millones de personas que en Colombia le apostaron a tal alternativa y la de millares de guerrilleros que de buena fe también creyeron en tal camino, y lo emprendieron y todavía persisten en la disputa por hacer realidad los objetivos que se trazaron en cuanto a superación de la miseria, la desigualdad y la exclusión política, sobre todo.

Tengo el convencimiento de que la mayoría de los compañeros y compañeras que continúan actuando de manera obstinada en función de los Acuerdos de 2016, lo hacen creyendo, contra cualquier adversidad, en la honrosa y necesaria tarea de la construcción de la paz democrática y de la búsqueda de soluciones a los problemas sociales que agobian al país, y lo hacen creyendo además en la necesidad y posibilidad de la solución política del conflicto que se ha repotenciado con las nuevas y antiguas insurgencias que persisten en el alzamiento armado ya sea por cuenta de la traición o perfidia institucional respecto al pacto de La Habana o simple y llanamente porque las causas que generaron el conflicto no han sido superadas.

En el recorrido de las FARC como organización insurgente alzada en armas, lo hemos dicho públicamente, quienes retomamos o continuamos tal camino tenemos un largo tramo de común historia de aciertos y desaciertos, de coincidencias y contradicciones, de sacrificios en búsqueda de ideales en torno a los que nos hemos identificado y que seguramente todavía nos hacen coincidir con la mayoría de la militancia de la Fuerza Alternativa, y por ello y por lo primero que expresé para responder a esta pregunta, independientemente de las razones de orden ideológico o político que en cuanto a la definición de vías y formas de la revolución nos distancian, son más las que nos dan identidad, y mucho más grandes son los sentimientos afectivos profundos que no dependen propiamente de los rumbos que tome la acción política, o las decisiones caprichosas de algunos pocos dirigentes que torcieron el camino, se desinteresaron de sus propios viejos compañeros de armas y de la militancia de base en general, además de que se embarcaron en la triste y deplorable empresa de repetir las mentiras difamadoras de los enemigos de todo proceso revolucionario que pululan en el Establecimiento, en el Bloque de Poder Dominante y en ciertos sectores oportunistas que se camuflan tras posturas supuestamente consecuentes.

Al respecto, entonces, diferencio a las bases militantes, excombatientes o no, de personajes oscuros como Timoleón Jiménez y de Carlos Antonio Lozada que han sobresalido como renegados o apóstatas de su antigua condición de guerrilleros comunistas, y en su nuevo papel de charlatanes dedicados a denostar o denigrar de la dirigencia del proyecto político FARC-EP (Segunda Marquetalia), y de las insurgencias en general, usando las mismas calumnias rastreras de nuestros enemigos del régimen, sobre todo con la manida acusación de que somos narcotraficantes y no luchadores políticos, o la acusación de haber sido quienes “desertamos de la paz”, como si ignoraran nuestras razones fundadas en la perfidia institucional y, sobre todo, desconociendo los esfuerzos que quienes hoy volvimos a la lucha armada hicimos por sacar adelante el acuerdo, o por lograr la liberación de nuestros prisioneros, o la concreción de los proyectos para la reincorporación y para las trasformaciones sociales urgentes, etc.

En esto entonces, nosotros no cuestionamos a quienes han creído siempre, o han optado ahora, por la lucha legal, pero sí estamos obligados a dar el debate a quienes absolutizando ese camino se erigen en sensores de nuestra lucha, cuestionando o descalificando a quienes siguen admitiendo como legítimo el derecho a la rebelión armada, sobre todo si los cuestionamientos los hacen por derrotismo, o por haber hecho un giro hacia la derecha, y en consecuencia decidieron desconocer las circunstancias de terrorismo de Estado que sigue padeciendo Colombia. Otra cosa es que por convencimiento o por táctica y estrategia política se asuma la determinación de hallar nuevos caminos y emprender la marcha por ellos, lo cual también es válido y tiene su mérito para cualquier Partido.

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