Quello strano modo di “tradire” l’eredità di Chavez

di Augusto Márquez, da Misión Verdad

(La scorta protegge il presidente Nicolás Maduro dopo l’esplosione di un drone armato durante la celebrazione dell’82° anniversario della Guardia Nazionale Bolivariana in Avenida Bolívar a Caracas)

In questi giorni, due anni fa, si è verificato un evento che continua a essere presente nella memoria collettiva del Paese e che, a mio avviso, ha cambiato il nostro modo di vedere le cose, nel bene e nel male.

Ricordo che quel 4 agosto, nel pomeriggio, ero a casa a svolgere le normali attività domestiche di ogni fine settimana. Da un bel po’ di tempo ormai, più per decisione di terzi che per mia stessa determinazione, vivo relativamente vicino all’iconica Avenida Bolívar di Caracas, in un edificio fatiscente da cui la si può osservare da un capo all’altro.

Il viale ha un significato speciale. Ho sempre creduto che trasudi storia. Su questa strada, il chavismo ha dato le più energiche dimostrazioni di forza e di mobilitazione di strada della sua storia nella vita politica del Paese, sia in tempi di elezioni che in tempi di conflitto.

Una delle tante accese dispute con l’Impero americano si è concretizzata anche nelle sue strade quando Chavez, nel 2008, ha decretato lo storico “Andate all’inferno, yankee di merda, qui c’è un popolo degno”, frase che ha accompagnato la rottura delle relazioni diplomatiche con Washington in risposta al colpo di Stato separatista in Bolivia.

Nel paesaggio della Bolívar c’è una sorta di memoria emotiva del processo rivoluzionario: lì si sono vissuti momenti di gioia collettiva ma anche di incertezza e di ansia quando i tamburi di guerra hanno cominciato a suonare all’inizio della presidenza di Nicolás Maduro.

Forse anche a causa di queste caratteristiche il 4 agosto è stato vissuto in modo particolare. Ricordo che stavo prendendo un caffè e ascoltavo il discorso di Maduro lontano dalla TV in salotto. In realtà non avevo prestato molta attenzione all’evento a cui assistevo. Improvvisamente ci fu un’esplosione che violò la calma del giorno, fece tremare i muri per una frazione di secondo e fece cadere il caffè sul pavimento insieme alla tazza, al piattino e al cucchiaio.

Uno non è abituato al suono di una bomba, ma il boato ti permette di farti un’idea. È stata un’esplosione bestiale, perfettamente equivalente alla unione di 60 tumbarranchos natalizi che irrompono in cielo all’unisono, un’audacia dell’arte pirotecnica che avrebbe spaventato anche i veterani del quartiere di San Agustín, con i loro decenni di lavoro dedicati a togliere il sonno alla gente durante le feste di dicembre.

Quello che è successo dopo è già noto a tutti: due droni, armati di dinamite e proiettili, hanno cercato di colpire la tribuna dove si trovavano il presidente Maduro e quasi tutti i rappresentanti delle autorità pubbliche. Se avessero raggiunto il loro obiettivo, il risultato sarebbe stato sanguinoso. Uno dei droni ha sterzato e ha colpito un appartamento vicino al viale, sconvolgendo la vita di una famiglia innocente. L’altro è stato neutralizzato ed è esploso a una distanza pericolosamente ravvicinata.

Come le prove hanno presto dimostrato, l’attacco terroristico è stato preparato e organizzato dalla Colombia, cosa che ha rappresentato un atto di guerra senza precedenti: sia per l’uso di droni a scopo omicida sia per l’esternalizzazione di tale operazione ad attori non statali, anche se con il via libera governativo.

Erano passati pochi mesi dalla vittoria presidenziale di Nicolás Maduro, e l’evento era una dichiarazione di guerra che si sarebbe trasformata l’anno successivo in una finzione giuridica: il falso governo ad interim di Guaidó; in qualche misura, l’avventura di Guaidó era una continuazione dell’attentato con altri mezzi.

Perché in entrambi i casi si tentava di distruggere la Costituzione, sia materialmente mettendo fuori gioco Maduro, sia istituzionalmente trasformando il Parlamento in un ufficio di interessi economici e commerciali del Dipartimento di Stato gringo.

Anche il fatto che l’attacco sia avvenuto in Avenida Bolivar non è casuale. Uccidere il presidente della Repubblica e decapitare l’intera dirigenza dello Stato venezuelano nella stessa piazza dove il chavismo conserva parte della sua memoria affettiva era un fatto che aveva come obiettivo quello di generare una rottura storica ed emotiva. Assassinare Maduro, e anche moralmente il chavismo, di rinterzo.

Con l’evolversi della guerra e l’acuirsi della deriva criminale di Washington, non posso fare a meno di pensare che questo attacco in realtà “ha cambiato tutto”, un’espressione che è diventata di moda con la pandemia di Covid-19.

Credo che abbia cambiato tutto, perché ha spinto la situazione verso nuovi limiti e ha esposto Maduro come un vero e proprio bersaglio di guerra. Non solo perché ha contribuito a “normalizzare” eventi simili, perché come sappiamo “tutte le opzioni sono sul tavolo” dal 2017, ma perché è stata un’esposizione di motivazioni e intenzioni.

L’assassinio sventato del 4 agosto, ora lo comprendiamo molto più chiaramente, è stato il passo precedente alla ricompensa di 15 milioni di dollari lanciata dal Dipartimento di Stato americano per incoraggiare la cattura o l’omicidio di Nicolás Maduro. Il 4 agosto è stata anche l’inaugurazione della fallita Operazione Gedeón.

I primi droni che mi hanno assordato quel giorno hanno creato le condizioni per ulteriori mosse altrettanto esplosive.

Ma il tempo, mentre scorre, lascia dietro di sé lezioni in modo incessante. I tentativi di far fuori Maduro sono in aumento.

Tuttavia, nonostante questa innegabile realtà, è stata avanzata la tesi che Maduro abbia tradito ciò che ha avuto in eredità, che abbia consegnato il Paese ai vecchi e ai nuovi capitalisti, e che la sua leadership di governo abbia infranto il programma adottato dalla Rivoluzione Bolivariana a partire dall’11 aprile 2002.

L’ipotesi che può essere letta tra le righe è che Guaidó, distrutto a livello di immagine e credibilità, rinchiuso in casa sua senza altra proiezione mediatica di quella fornita dal suo computer, alla fine abbia trionfato.

Ma qualcuno sano di mente può considerare Guaidó e i settori che lo sostengono come vincitori?

Credo che l’affermazione sfidi ogni logica, perché se fosse vero che Maduro ha fatto tutto quello che dicono, non ci sarebbe bisogno di lanciare droni, taglie e incursioni guidate da mercenari statunitensi. Non sarebbe stato un presidente assediato, ma un uomo di sinistra che finalmente ha “rettificato” e cambiato rotta come Lenín Moreno.

Non ha senso dire che Maduro ha messo da parte la Rivoluzione Bolivariana, e che Elliott Abrams, con tono disperato, dica: “Stiamo lavorando sodo perché Maduro non sia più al potere entro la fine dell’anno”.

E al momento ci sono seri dubbi che la Casa Bianca sia così interessata a far fuori Maduro per salvare l’eredità di Hugo Chávez. Sembrerebbe che il loro bisogno di punirlo sia motivato da questo interesse.

O sarà, piuttosto, che alcuni settori della sinistra vedono nel tentativo di Abrams un “passaggio necessario” per recuperare il tracciato originale chavista che si presume Maduro abbia distrutto?

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