Ripieghi, pressioni e calcoli

gli ultimi movimenti nello scacchiere politico di fronte al 6D

Questo martedì, 11 agosto, la Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV) è ricomparsa come attore sulla scena politica venezuelana, in congruenza al suo divenire negli ultimi 20 anni. Solo che, questa volta, l’hanno fatto in contro corrente rispetto ad un gruppo di partiti dell’anti-chavismo venezuelano.

La Presidenza della CEV ha emesso un comunicato in merito alle elezioni parlamentari che si terranno quest’anno in Venezuela, smarcandosi dalle tendenze anti-chaviste che chiedono l’astensione. Al contrario, hanno invitato gli attori dell’opposizione a partecipare alle elezioni che si realizzeranno il prossimo 6 dicembre.

In un comunicato hanno qualificato “immorale” ogni manovra “che ostacoli la soluzione politica e sociale dei problemi reali presenti nel paese”. Hanno fatto appello alla “vocazione democratica” del popolo venezuelano e hanno delineato la via elettorale come maniera “pacifica e razionale” di uscita da quella che qualificano come una crisi politica.

Intanto hanno fustigato i partiti politici che hanno detto che non parteciperanno alla tornata, sottolineando che “questo non basta”, perché “la sola astensione aumenterà la frattura politico-sociale nel paese e la disperazione di fronte al futuro”. Hanno esortato gli oppositori a “cercare soluzioni e generare proposte” di fronte ai loro seguaci.

“Questa decisione di astenersi priva i cittadini venezuelani dello strumento valido per difendere i loro diritti nell’Assemblea Nazionale. La mancata partecipazione alle elezioni parlamentari e l’appello all’astensione portano all’immobilizzazione, all’abbandono dell’azione politica ed alla rinuncia a mostrare le proprie forze”, ha affermato l’istituzione che rappresenta la congregazione cattolica in Venezuela.

Inoltre, hanno ricordato che l’abbandono delle elezioni parlamentari, nel 2005, non ha portato alcun risultato positivo per la parte anti-chavista.

Diatriba e contesto

 

L’appello a partecipare alle elezioni da parte della CEV è inoltre accompagnato da osservazioni e critiche ai meccanismi politici che dovevano essere utilizzati per formare il nuovo Consiglio Nazionale Elettorale.

Vale la pena ricordare la recente avanzata giudiziaria intrapresa dal Tribunale Supremo di Giustizia venezuelano (TSJ) per nominare le autorità elettorali, alla luce dello stallo parlamentare che è stato causato dall’ala legata al deputato Juan Guaidó nell’Assemblea Nazionale (AN), che hanno immobilizzato qualsiasi accordo per boicottare le elezioni e dichiararsi in carica a tempo indeterminato, come sarebbe stato successivamente avallato (in evidente orchestrazione) dal governo USA, che ha indicato la “permanenza” del “presidente ad interim” nella sua “carica”, anche se si abbiano elezioni parlamentari in Venezuela.

La sedimentazione politica si avvicina al contesto venezuelano da diverse parti ed il boicottaggio delle elezioni è una componente con qualità di un nodo critico nell’agenda USA per smantellare il chavismo dal potere.

Ma l’agenda di Washington per il Venezuela, che continua a prendere la forma del giro del cappio, sta trovando reazioni non solo all’interno della nazione petrolifera. Dietro le quinte inoltre sono in corso negoziati, questa volta e quasi contemporaneamente al comunicato del clero venezuelano, dall’Unione Europea (UE), a nome del suo Alto Rappresentante Josep Borrell.

In un comunicato, il funzionario ha affermato di essere in contatto con il chavismo e l’opposizione venezuelana, facendo trattative per creare nuove “garanzie” per elezioni parlamentari “libere e giuste”.

Ha indicato che è sul tavolo prorogare i termini elettorali in modo che il chavismo soddisfi nuove richieste degli oppositori e per coniugare, con la UE, la possibilità di avere una missione di “osservazione elettorale”. Sulla stessa linea, secondo Borrell, il chavismo starebbe chiedendo una missione di “accompagnamento” elettorale.

È indispensabile precisare che le tonalità della UE nella gestione del caso venezuelano sono sembrate una banderuola, muovendosi secondo i venti delle sue inerzie interne e quelli che soffiano da Washington, quindi potranno essere indeboliti tutti gli apparenti sforzi, che realizzano gli europei, affinché le elezioni si svolgano senza sabotaggi ed astensioni, se gli USA nuovamente si impongano mediante pressioni sulla UE.

Nel frattempo, per l’opposizione venezuelana, la possibilità di auto-relegarsi dalle elezioni parlamentari presenta nuovi pericoli. La CEV fa intravedere nel suo comunicato che l’opposizione sarebbe priva di rappresentanza politica sulla scena nazionale, con l’uscita formale di Guaidò dall’arena politica, non importa quanto Washington la sostenga.

Il futuro prevedibile per questa parte dell’opposizione, in questo scenario, sarebbe il proprio definitivo spostamento verso l’auto esilio politico che, si sa, gli ha lasciato enormi dividendi economici per la captazione di denaro e beni sottratti alla nazione ed ora destinati a fattori dell’anti-chavismo attraverso gli auspici USA. Questi sono elementi indispensabili per spiegare perché parte dell’anti-chavismo non vuole misurarsi elettoralmente.

In una recente udienza dinanzi al Senato del suo paese e nel mezzo di aspre spiegazioni del fallimento dell’amministrazione Trump in Venezuela, Elliott Abrams è stato obiettato dal senatore democratico Chris Murphy, che ha avvertito che Guaidó e gli oppositori non avrebbero partecipato alle elezioni, ciò che lascerebbe Washington nella “vergognosa” posizione di sostenere qualcuno che “non controlla il governo, non controlla le forze armate e che non avrà alcuna carica politica” nel gennaio 2021.

Ciò indica che le pressioni multidirezionali affrontate dall’opposizione per andare alle elezioni hanno un apice nelle “preoccupazioni” dei democratici, che interpretano la politica venezuelana come una palude, con il consenso internazionale sempre più rotto sulla strategia di blocco del paese ed il sostegno a Guaidó.


Repliegues, presiones y cálculos: los últimos movimientos en el tablero político de cara al 6D

 

Este martes 11 de agosto la Conferencia Episcopal Venezolana (CEV) reapareció como actor en la escena política venezolana, en congruencia a su devenir en los últimos 20 años. Solo que, en esta oportunidad, lo han hecho a contracorriente de un grupo de partidos del antichavismo venezolano.

La Presidencia de la Conferencia Episcopal Venezolana emitió un comunicado a propósito de las elecciones parlamentarias a realizarse este año en Venezuela, desmarcándose de las tendencias antichavistas que convocan a la abstención. Por el contrario, llamaron a los actores de la oposición a participar en los comicios que se realizarán el próximo 6 de diciembre.

En su comunicado, calificaron de “inmoral” cualquier maniobra “que obstaculice la solución política y social de los verdaderos problemas presentes en el país”. Apelaron a la “vocación democrática” del pueblo venezolano y reseñaron a la vía electoral como manera “pacífica y racional” de salida a lo que califican como una crisis política.

Entretanto, fustigaron a los partidos políticos que han dicho que no participarán en la contienda, señalando que “eso no basta”, pues “la sola abstención hará crecer la fractura político-social en el país y la desesperanza ante el futuro”. Instaron a los opositores a “buscar salidas y generar propuestas” ante sus seguidores.

“Esta decisión de abstenerse priva a los ciudadanos venezolanos del instrumento válido para defender sus derechos en la Asamblea Nacional. No participar en las elecciones parlamentarias y el llamado a la abstención lleva a la inmovilización, al abandono de la acción política y a renunciar a mostrar las propias fuerzas”, aseguró la institución representante de la feligresía católica en Venezuela.

Adicionalmente, recordaron que el abandono de las elecciones parlamentarias en 2005 no trajo resultado positivo alguno para el bando antichavista.

Diatriba y contexto

El llamado a participar en las elecciones por parte de la CEV también viene acompañado de señalamientos y cuestionamientos a los mecanismos políticos que tuvieron que emplearse para conformar el nuevo Consejo Nacional Electoral.

Vale recordar la reciente avanzada judicial emprendida por el Tribunal Supremo de Justicia (TSJ) venezolano para nombrar las autoridades electorales, a la luz del estancamiento parlamentario que fue propiciado por el ala afecta al diputado Juan Guaidó en la Asamblea Nacional (AN), quienes inmovilizaron todo acuerdo para boicotear las elecciones y declararse en sus cargos por tiempo indeterminado, tal como luego sería refrendado (en evidente orquestación) por el gobierno estadounidense, el cual indicó la “permanencia” del “presidente interino” en su “cargo”, aunque haya elecciones parlamentarias en Venezuela.

La sedimentación política aborda al contexto venezolano desde diversos flancos y el boicot a las elecciones es un componente con cualidad de nudo crítico en la agenda de los estadounidenses para desmantelar al chavismo del poder.

Pero la hoja de ruta de Washington para Venezuela, que sigue tomando forma de bucle, está encontrando reacciones no solo dentro de la nación petrolera. También están teniendo lugar gestiones tras bastidores, esta vez y casi en simultáneo al comunicado del clero venezolano, desde la Unión Europea (UE), a nombre de su Alto Representante Josep Borrell.

En un comunicado el funcionario afirmó mantener comunicación con el chavismo y la oposición venezolana, haciendo gestiones para crear nuevas “garantías” para unas elecciones parlamentarias “libres y justas”.

Indicó que está sobre la mesa ampliar los plazos electorales para que el chavismo atienda nuevas demandas de los opositores y para conjugar con la UE la posibilidad de que haya una misión de “observación electoral”. En esa misma línea, según Borrell, el chavismo les estaría solicitando una misión de “acompañamiento” electoral.

Es indispensable precisar que las tonalidades de la UE en el manejo del caso venezolano han parecido una veleta, moviéndose acorde a los vientos de sus inercias internas y los que soplan desde Washington, de ahí que podrían ser endebles todos los aparentes esfuerzos que realizan los europeos para que las elecciones tengan lugar, sin sabotajes y abstenciones, si es que los estadounidenses nuevamente se imponen mediante el cabildeo sobre la UE.

Entretanto, para la oposición venezolana, la posibilidad de auto-relegarse de las elecciones parlamentarias reviste nuevos peligros. La Conferencia Episcopal da a entrever en su comunicado que la oposición estaría sin representación política en la escena nacional, con la salida formal de Guaidó del ruedo político, por más que Washington lo sostenga.

El futuro previsible para esta parte de la oposición, en ese escenario, sería su desplazamiento definitivo al autoexilio político, el cual, es sabido, les ha dejado enormes dividendos económicos por la captación de dinero y activos retenidos a la nación y ahora destinados a factores del antichavismo mediante el auspicio estadounidense. Estos son elementos indispensables para explicar por qué parte del antichavismo no quiere medirse electoralmente.

En una reciente audiencia ante el Senado de su país y en medio de accidentadas explicaciones del fracaso de la Administración Trump en Venezuela, Elliott Abrams fue objetado por el senador demócrata Chris Murphy, quien alertó que Guaidó y los opositores no participarían en las elecciones, lo cual dejaría a Washington en la “vergonzosa” posición de apoyar a alguien que “no controla el gobierno, no controla la Fuerza Armada y que tampoco tendrá cargo político alguno” en enero de 2021.

Ello indica que las presiones multidireccionales que lidia la oposición para ir a elecciones tienen un ápice en las “preocupaciones” de los demócratas, quienes entienden a la política venezolana como un pantano, con consensos internacionales cada vez más rotos alrededor de la estrategia de bloqueo al país y el apoyo a Guaidò

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