Lotta di classe in Bolivia, possibile un autogolpe

di Geraldina Colotti

Proteste, repressione, denunce, caos istituzionale. Non si placa la tensione in Bolivia a nove mesi dal golpe che, a novembre 2019, ha rovesciato il governo di Evo Morales accusandolo di brogli elettorali. Un piano preparato a lungo nelle stanze di Washington, attivato dalle oligarchie locali con la complicità dei grandi media privati, che si è avvalso dell’intervento diretto di Luis Almagro, Segretario generale dell’OSA.

Diverse inchieste hanno successivamente dimostrato Morales aveva vinto le elezioni al primo turno e che i brogli sono stati un pretesto per organizzare il colpo di stato con la complicità degli alti comandi dell’esercito. Intanto, però, il presidente era stato obbligato a lasciare il paese e si era creata una situazione di fatto, così come de facto è il “governo” dell’autoproclamata Janine Añez la quale, a dispetto degli “accordi” di andarsene entro 90 giorni e di convocare nuove elezioni, ora non ha più nessuna intenzione di farlo. Anzi, ha deciso di candidarsi.

Anche la Bolivia è preda della pandemia e della pessima gestione dei golpisti, che seguono il modello di Trump e Bolsonaro in fatto di scandali, inettitudine, e repressione. Nel paese, situato nel centro del Sudamerica e su una superficie di poco più di 1 milione di km quadrati, fino al 12 agosto, gli infetti da coronavirus erano ufficialmente 58.414, i morti 3.827.

Añez sta usando l’emergenza covid per rimandare continuamente la data delle elezioni. Dapprima i boliviani avrebbero dovuto recarsi alle urne a maggio, poi a settembre, poi il 18 ottobre, adesso si cerca di posporre ancora la data. Tutte le inchieste attribuiscono ad Añez un gradimento bassissimo, dato anche lo scontro interno alla stessa destra boliviana, che la vorrebbe fuori dal gioco elettorale. Luis Arce, del MAS, potrebbe vincere al primo turno con un gradimento di almeno 40% e un distacco di oltre 10 punti dal candidato di centro-destra Carlos Mesa.

La situazione, intanto, è drammatica per circa il 40% della popolazione, che non conta su alcuna entrata, mentre solo il’8,5% dei boliviani afferma di non essere stato toccato dalla crisi determinata dal Covid-19. Così, a fine luglio, ha scritto in twitter Morales: “I boliviani tornano a vivere in penuria: larghe file per comprare alimenti, medicine e gas nell’incertezza e nella pandemia. Il popolo non solo deve lottare contro il Coronavirus ma anche per sopravvivere come può, in totale abbandono”.

Il messaggio di @evoespueblo, accompagnato da un video, ha ricevuto un like anche dal presidente della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), Joel Hernandez. Apriti cielo. Il 5 agosto, è arrivata la protesta del Procuratore Generale dello Stato, José Maria Cabrera, che ha ritenuto il messaggio “un’opinione politica sediziosa e diretta allo scontro tra boliviani come parte di una campagna orientata alla disinformazione e alla destabilizzazione del paese”.

La Procura ha perciò denunciato una presunta parzialità della CIDH e ha chiesto una rettifica, minacciando di rivolgersi all’OSA, che la CIDH rappresenta nella totalità dei suoi membri. Almagro è così tornato a farsi sentire, non per denunciare la prostrazione in cui ha fatto precipitare la Bolivia, ma per accusare nuovamente Morales di promuovere i blocchi stradali nel paese, e addirittura di “genocidio” per un presunto audio in cui avrebbe invitato i suoi a bloccare i rifornimenti.

Dal 3 agosto, sono esplose nuovamente le proteste: manifestazioni e blocchi stradali convocate dalla Central Obrera Boliviana (COB). Il governo de facto ha denunciato agli organismi internazionali che il MAS impedisce l’accesso di alimenti, medicine e ossigeno per le urgenze da covid-19, e che ha provocato danni economici milionari, a scapito delle famiglie.

I tribunali boliviani hanno accolto la denuncia “per terrorismo” contro Morales e altri dirigenti del MAS. L’intenzione è infatti quella di proscrivere il partito per evitare contendenti e concedere poi un simulacro di elezioni. Uno schema che ha preso avvio con il golpe contro Manuel Zelaya in Honduras, nel 2009, ed è proseguito poi gonfiandosi di altri elementi di contesto, dal Paraguay di Fernando Lugo, fino al Brasile e, per altri versi, all’Ecuador con il tradimento di Lenin Moreno.

Una delle possibilità è che adesso si crei una giunta civico-militare che, con un autogolpe, consolidi la gestione autoritaria servendosi dell’emergenza pandemia e dell’esigenza di “riportare ordine”.

A scendere in piazza non sono solo sindacati, studenti, lavoratori informali, intere comunità che si mobilitano dal tropico di Cochabamba, alla capitale La Paz alla città di El Alto, una delle più popolose.

Si mobilita anche la destra razzista di Santa Cruz, la seconda città del paese, con i comitati civici che hanno animato il golpe, guidati dal candidato Luis Fernando Camacho, e che ora chiedono la sospensione sine die delle elezioni.

Per comprendere quali poderosi interessi si scontrino in Bolivia, torna utile rivedere i 4 capitoli del documentario di Ruben Hernandez, Bolivia, Pais bolivariano, girato prima della vittoria di Morales, nel 2006. Per impedire la vittoria dell’”indio analfabeta”, in una miscela deflagrante di nazismo e spinte secessioniste, si era scatenata l’oligarchia di Santa Cruz.

Il dipartimento di Santa Cruz è un’area pari a un terzo della Bolivia, un territorio ricco di idrocarburi e di un potente settore agroindustriale, dove si produce oltre il 30% del Pil.  Camacho, un ricco avvocato la cui fortuna è custodita in almeno tre società offshore con sede a Panama, si è fatto interprete della rabbia delle oligarchie colpite nei propri secolari privilegi durante tutti e tre i mandati del governo Morales, spingendo per la “secessione”.

E anche durante il golpe i suoi comitati civici si sono resi protagonisti di violenze e aggressioni razziste. Camacho ha per padrino l’imprenditore di Santa Cruz Branko Marinkovic, in fuga dopo aver partecipato al tentativo di colpo di Stato del 2008 e al suo coinvolgimento per assassinare Morales, insieme a nazisti europei.

Marinkovic si è formato nelle UJC, squadre paramilitari separatiste, razziste e anticomuniste fondate nel 1957 e attive durante tutti i tentativi di destabilizzazione contro i governi Morales. Tornato adesso nel paese, l’imprenditore è stato nominato ministro di Pianificazione del governo de facto alla vigilia delle proteste.

Il 10 agosto, Morales ha proposto una bozza di accordo per rendere sicuro e garantito l’appuntamento elettorale del 18 ottobre, anticipandolo anzi di una settimana. Una bozza che mira a rappresentare e a tenere unito quell’oltre 45% di elettorato, prevalentemente composto da aree rurali e settori popolari urbani che appoggia il suo partito.

Gli avversari, cercano invece di coagulare quella parte di società, composta prevalentemente dalle classi medie urbane e dalla piccola borghesia, che non ha un progetto comune, ma si ritrova nell’opposizione al MAS.

Al centro, c’è la demolizione della figura di Morales, oggetto di una campagna sporca orchestrata dal governo de facto e dai centri di comando che li manovrano da fuori. L’obiettivo è quello di impedire con ogni mezzo che le forze di alternativa si riorganizzino per invertire la tendenza, facendo tesoro degli errori compiuti.

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