Il ‘normale’

P. Curcio (*); da: lahaine.org – https://ciptagarelli.jimdofree.com

Siamo stati invitati, come umanità, ad una “nuova normalità”. L’invito viene dal sistema delle Nazioni Unite.

Il “normale” è ciò che è “ampiamente accettato”, è il noto, l’abituale, l’ordinario – ci piaccia o no, che lo consideriamo giusto o no.

Davanti a cotanta responsabilità, la domanda che dobbiamo farci è “perché è questa e non un’altra la normalità che caratterizza oggi il mondo?”. Chi ci guadagna questa normalità dell’oggi e quindi chi sono coloro che decidono ciò che è ‘normale’ e ciò che non lo è? Come sono riusciti a convincerci di questa normalità? Ciò che si considera normale oggi è appropriato per i 7500 milioni di esseri che abitano questo pianeta? Cosa deve essere cambiato?

Sembrano domande molto complesse e filosofiche ma, visto che siamo stati invitati, pensiamo allora a come ci piacerebbe il nuovo mondo, mettiamo in discussione e riflettiamo sull’attuale “normalità”, liberiamoci dai paradigmi che ci hanno imposto, immaginiamo qualcosa di diverso, pensiamo un altro mondo possibile.

Diceva Galeano (Eduardo, uruguayano, uno dei più grandi scrittori latinoamericani, n.d.t.) citando Fernando Birri: “A cosa serve l’utopia? L’utopia è all’orizzonte e se sta all’orizzonte io non la raggiungerò mai, perché se faccio 10 passi l’utopia si allontana di 10 passi, e se faccio 20 passi anche l’utopia si sposta di 20 passi; ovvero io so che non la raggiungerò mai. Allora a cosa serve l’utopia? A questo, a camminare”.

Il “normale” oggi

A  quanto sembra, il “normale” è che circa 820 milioni di persone nel mondo si trovino oggi in situazione di insicurezza alimentare; che di queste 150 milioni soffrano la fame nonostante che, secondo la FAO, tutti i giorni si producano alimenti sufficienti per ogni e per tutti gli  abitanti della Terra.

Si stima che nel 2020 circa 12.000 persone moriranno di fame ogni giorno in conseguenza dell’impatto della pandemia, un numero più alto di quelli che si stima moriranno per il Covid-19. La fame è oggi la causa del 45% delle morti di bambini minori di 5 anni nel mondo.

Questa è la “normalità” che viviamo mentre 8 delle più grandi società di alimenti e bevande hanno distribuito ai loro azionisti più di 18.000 milioni di dollari dal gennaio di quest’anno, cioè in piena pandemia. Cifra che è 10 volte superiore a quella che le Nazioni Unite stimano necessaria per evitare che la gente continui a soffrire la fame.

Sembrerebbe una cosa “normale” che l’1% della popolazione del mondo si appropri  dell’82% di tutta la produzione mondiale o, per lo meno, questo è ciò che accade da decenni. Come è altrettanto “normale” che più della metà dei 7.500 milioni di persone di questo pianeta vivano in povertà.

E’ “normale” che, in una situazione di contrazione della produzione mondiale, si generino circa 450 milioni di disoccupati, come è altrettanto “normale” in questo mondo in cui viviamo che, mentre questi milioni di operai disoccupati non hanno cibo ogni giorno per i loro figli, i 12 più grandi multimilionari del mondo abbiano battuto tutti i records aumentando del 40% le loro ricchezze dal gennaio di quest’anno? Normale?

Brilla come “normale” – o per lo meno questo ci hanno dato ad intendere da molti anni – il fatto che le relazioni nel processo sociale del lavoro debbano essere di dipendenza, di dominazione e di sfruttamento. Perché è “normale” che noi che produciamo e aggiungiamo valore dobbiamo essere quelli che timbrano il cartellino all’entrata e all’uscita, quelli a cui si concede solo mezz’ora per mangiare, quelli a cui contano e detraggono il tempo di lavoro e, ciliegina sulla torta, ci corrisponda solo il 18% di tutto ciò che produciamo, nonostante siamo il 99% della popolazione, mentre l’altro 1% si tiene l’82%?

E’ diventato così tanto “normale” questo fatto dello sfruttamento del lavoratore che a volte alcuni non sono neppure coscienti di appartenere alla classe sfruttata e, persino, dichiarano che è “normale”.

Immaginiamo per un attimo che il “normale” non sia il capitalismo, che il borghese non continui ad appropriarsi del valore della nostra forza lavoro. Pensiamo a relazioni di lavoro più umane, alla giusta distribuzione della ricchezza in funzione dell’apporto nel processo produttivo.

E’ urgente pensare a come si reinventeranno i capitali in questa “nuova normalità”, che oltretutto incorporerà non solo nuove relazioni di lavoro basate sulla dominazione ma anche nuove tecnologie.

E’ necessario anticipare i fatti per evitare che ci impongano, nuovamente, un’altra “nuova normalità”.

Il “normale” è, per esempio, che le donne  e le bambine del mondo dedichino 12.500 milioni di ore giornaliere a realizzare attività come la cura dei bambini, degli anziani, dei malati e degli handicappati, oltre a compiti domestici come cucinare, lavare o andare in cerca di  acqua o di legna, senza che questi lavori siano riconosciuti come un valore aggiunto all’economia e tanto meno remunerati.

I blocchi economici fanno già parte della “normalità” di questo mondo, o per lo meno è ciò che pretendono di farci credere gli interessi dei grandi capitali.

Ormai è “normale” partecipare ogni anno all’Assemblea delle Nazioni Unite e che tutti i paesi, eccetto due, votino contro il bloqueo a Cuba, come è anche “normale” che questa votazione non faccia un baffo agli USA.

Le imposizioni e le minacce criminali ai popoli del mondo da parte degli USA sono parte di questa “normalità” che deve essere cambiata. Perché un paese deve decidere il destino di altri popoli?

E’ “normale” da Bretton Woods in poi che una sola moneta, il dollaro statunitense, sia il riferimento mondiale e che un solo sistema di pagamenti, lo SWIFT  (Swift è una rete di pagamenti globale con sede in Belgio che consente alle istituzioni finanziarie di tutto il mondo di inviare e ricevere informazioni sulle transazioni finanziarie. Il management del sistema afferma che Swift è politicamente neutrale e indipendente, sebbene in passato sia stato utilizzato per bloccare le transazioni e far rispettare le sanzioni statunitensi contro vari Paesi, in particolare l’Iran. n.d.t.), sia la gabella obbligata delle transazioni finanziarie.

Dagli anni ’70 è “normale” che il petrolio si compri e si venda in dollari con la necessità di tutti i paesi di detenere la “preziosa” moneta. Chissà che non sia venuta l’ora di una “nuova normalità” monetaria e finanziaria, di togliere il privilegio ed il potere conferito agli USA durante la “normalità” post 2° guerra mondiale.

Chissà sia venuta l’ora che il  “normale” siano molte monete di riferimento con cui commercializzare e molti sistemi di compensazione dei pagamenti.

Perderemmo una grande opportunità come umanità se, in questi tempi di pandemia, essendo tutti stati convocati ad una “nuova normalità”, ci limitassimo a pensare e a prospettare solo un nuovo mondo in cui la mascherina diventasse un accessorio imprescindibile del nostro vestiario quotidiano.

Ci meritiamo un mondi di uguali, senza sfruttati né sfruttatori, senza distinguo né esclusioni, senza razzismo né xenofobia, ecologicamente sostenibile.

Il mondo che vogliamo deve garantire il diritto dei popoli alla loro autodeterminazione, deve essere multicentrico e multipolare, senza dominazione imperiale, in cui prevalga la cooperazione e la solidarietà. Un mondo in cui le norme internazionali siano rispettate e realizzate da tutti.

Vogliamo un mondo in cui la giustizia, la vera libertà e la pace siano la “normalità”.

Camminiamo, senza deviare, verso questo orizzonte.

(*) Giornalista venezuelana, insegna nel Dipartimento di Scienze Economiche e Amministrative all’Università Simòn Bolìvar di Caracas

traduzione di D. Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

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