Benzina, sanzioni ed il multiforme attacco all’industria petrolifera

A maggio, sbarcava sulle coste venezuelane la prima delle cinque petroliere iraniane cariche di carburante e materiali per le raffinerie attenuando, notevolmente, gli effetti delle sanzioni USA contro l’industria petrolifera venezuelana.

Successivamente, alcuni media annunciavano la riattivazione di alcune raffinerie nel paese, in particolare l’avvio dell’impianto di cracking catalitico di Cardón, che fa parte del Centro di Raffinazione di Paraguaná (CRP), uno dei più grandi complessi industriali di lavorazione del petrolio del mondo.

Tuttavia, riavviare il processo di raffinazione dell’industria petrolifera del paese è stato complesso e con molte difficoltà, poiché ogni parte o pezzo che compone l’infrastruttura delle raffinerie venezuelane, affinché la sua operatività sia al 100%, ha un brevetto USA.

In questo senso, e tenendo conto delle misure coercitive unilaterali USA, in particolare quelle iniziate nell’agosto 2017, sono evidenti le difficoltà per la dovuta manutenzione delle raffinerie, ostacolando continuamente la loro operatività.

Questo è il motivo per cui il governo venezuelano ha optato per l’opzione commerciale di importare benzina, nel mezzo del costante assedio e persecuzione del settore petrolifero che, alla fine, porta alla scarsità di carburante.

Attualmente, il portale di monitoraggio delle navi cisterna Tanker Trackers informa i suoi abbonati che, in via non ufficiale, le petroliere iraniane Forest, Faxon e Fortune si stanno apparentemente dirigendo in Venezuela attraverso il Canale di Suez con spedizioni di carburante.

Esempi reali degli impatti delle sanzioni nel settore petrolifero

I mass media ed i portavoce oppositori al governo venezuelano, affermano che le complicazioni nella produzione e raffinazione ricadono solo su un presunto “disinvestimento” e sulla ripetuta “mancanza di efficienza”, ignorando completamente gli effetti delle sanzioni unilaterali, che non solo impediscono il normale funzionamento del parco di raffinazione ma vietano anche le dinamiche proprie del commercio petrolifero.

Il Venezuela non è l’unico paese produttore di petrolio che è stato sanzionato dagli USA, infatti l’Iran ha il focus storico su questa questione, così come la Siria e tutto ciò che si sa sulla Libia.

Nel caso della Siria, dal 2011, gli USA, sotto il governo di Barack Obama, hanno imposto sanzioni al trasporto marittimo della Siria ed alle attività assicurative relazionate con questo, vietando così qualsiasi attività commerciale o assistenza finanziaria di prodotti chimici e derivati del petrolio. Subito dopo, la produzione di questo paese arabo decade drasticamente.

Salvo le differenze, analogamente a quanto accaduto con l’Iran, anche nel periodo dell’amministrazione Obama sono state applicate sanzioni al settore petrolifero.

In questo contesto l’Iran è stato uno dei principali esportatori di petrolio in India, offrendo condizioni di importazione commercialmente attrattive. Entro il 2012, le sanzioni imposte a Teheran hanno costretto l’India a ridurre della metà le sue importazioni di petrolio iraniano. Ciò ha spianato la strada all’Arabia Saudita ed all’Iraq che sono diventati i principali fornitori di greggio dell’India, per non parlare dell’aumento delle esportazioni USA in quel paese.

Cioè, la presa di quote di mercato si ottiene grazie a questo folle gioco di sanzioni, a parte i danni alle industrie petrolifere che sono indubbi. L’International Energy Agency ha infatti pubblicato un grafico che indica il calo della produzione, dell’ Iran, con le sanzioni imposte.

La minaccia continua

Il Venezuela non è l’ eccezione, cercare di ignorare completamente gli effetti delle sanzioni rappresenta un argomento semplicistico. Le sanzioni finanziarie, del 2017, sono state la scorciatoia per limitare l’emissione del debito venezuelano. La recrudescenza è avvenuta, quasi parallelamente all’auto-proclamazione di Guaidó, nel 2019, dirigendo la coercizione alle transazioni di PDVSA con qualsiasi entità.

La minaccia allo Stato venezuelano proviene da tutti i fronti e tende ad intensificarsi con l’avvicinarsi della data delle elezioni, sia quella presidenziale USA che quella dell’Assemblea Nazionale, il 6 dicembre, in Venezuela. Naturalmente, la sfera comunicativa non rimane indietro nel nutrire la guerra psicologica.

Si ricorda l’allarmante e controversa notizia circa il presunto sequestro di navi iraniane con benzina venezuelana, si osservava come i funzionari federali USA correvano a comunicare detto sequestro, che sarebbe stato poi “confermato” da Donald Trump in conferenza stampa.

Anche nel libro della storica Audra Wolfe ‘Freedom’s Laboratory: The Cold War Struggle for the Soul of Science’, viene spiegato, in dettaglio, il ruolo della guerra psicologica USA durante la Guerra Fredda, che oggi non è cambiato in modo rilevante. Oltre a questo, Wolfe aggiunge anche la guida NSC 10/2 che elenca la propaganda, guerra economica, sabotaggio e sovversione come parte del manuale del Consiglio di Sicurezza Nazionale.

L’attacco al Venezuela da parte USA è multiforme ma sistematico, cercando di soffocare l’industria petrolifera venezuelana con il suo potere geopolitico. Il tema della benzina è un altro vertice dei crimini che continuano ad essere perpetrati contro questa nazione.

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