Vzla: i fattori decisivi delle elezioni parlamentari

Franco Vielma  www.misionverdad.com

Le elezioni parlamentari, previste per il prossimo 6 dicembre, in Venezuela chiuderanno l’attuale ciclo parlamentare. Tuttavia, l’apertura di un nuovo ciclo sarà definita dalla lotta tra fattori interni ed esterni per la ricerca della stabilità e continuità dell’attuale crisi politica.

Il chavismo lotta con varie opposizioni, alcune di esse piegate all’arena politica ed altre alla strategia astensionista, che sappiamo essere sponsorizzata dalla politica estera USA e da altri alleati. Il quadro nazionale è molto complesso, per cui la sfida politica delle forze partecipanti sta nel dare legittimità, legalità ed una solida presenza politica alla loro intenzione democratica.

Tuttavia, le sfide più complesse si trovano lontane da Caracas. Per questo esse rivestono fattori di peso dietro le elezioni programmate.

I FATTORI DELL’ASTENSIONE

Fondamentalmente, i partiti anti-chavisti del G4, e altri dell’ala più dura anti-chavista, hanno assunto che la continuità della crisi sia percorribile solo nel prolungamento, estemporaneo ed illegale, del parlamento vigente, possibile solo con mezzi artificiali e proiettati all’esterno.

Questa parte dell’opposizione si consoliderà, ora, come forza in esilio sostenuta dalla strategia dell’amministrazione Trump per smantellare il chavismo.

La strategia astensionista va di pari passo con la continuità delle operazioni di asfissia integrale contro il Venezuela. Questa è la punta di diamante dell’operazione di cambio di regime nel paese petrolifero ed è la carta più forte degli avversari del chavismo. Tuttavia, la sostenibilità politica di un indebolito “governo ad interim” guidato da Guaidó pone, oggi, diversi paesi in posizioni di discussione riguardo alla continuità del blocco.

Le elezioni venezuelane sono, per l’emisfero occidentale, più importanti delle stesse elezioni di novembre sul suolo USA. Non molto varierà, dall’America Latina agli USA, se vince Biden o Trump. Ma nel caso del Venezuela, la sua importanza si basa sulla frammentazione del quadro nelle relazioni estere a livello regionale, a causa della divisione delle posizioni tra paesi che riconoscono il legittimo governo di Caracas contro coloro che sostengono Guaidó. Va detto senza mezzi termini: il quadro attuale delle relazioni estere nel continente è segnato da questo fenomeno senza precedenti.

Quindi, la scommessa USA sulla continuità del sovrapposto Juan Guaidó va al di là delle sue portate per il Venezuela. Questa strategia è modello vetrina per i processi destituenti che sono stati imposti in altri paesi e che s’imporranno in altri paesi d’ora in poi.

I FATTORI ANTICHAVISTI NEL PERCORSO ELETTORALE

Lo spostamento all’estero di buona parte dei capi visibili dell’opposizione, che risultarono trionfanti alle elezioni parlamentari del 2015, ha lasciato vincolato il loro naturale spazio politico. In questo modo, all’interno del paese emergono fattori anti-chavisti che hanno assunto la posizione di cercare di capitalizzare la leadership nelle loro basi sociali.

Le tendenze di Henri Falcón, Claudio Fermín e, separatamente, Javier Bertucci ed ora Henrique Capriles, quest’ultimo con una maggiore probabilità di assumere la leadership anti-chavista locale, suppone una rivalutazione della strategia dell’opposizione di fronte agli evidenti fallimenti dell’ “Operazione Guaidó “: il chavismo è ancora al potere, il blocco erode le forme di legittimità dell’opposizione e la strategia astensionista, che non è nuova in Venezuela, si è rivelata dannosa per l’opposizione.

Le controversie interne all’anti-chavismo hanno anche permesso a questi settori dell’opposizione di tentare di riconfigurarsi in un probabile nuovo scenario di governance interna. Rimanere esclusi da questa probabilità sarebbe stato estremamente costoso a lungo termine ed al consolidarsi delle elezioni con o senza di loro.

Presumono inoltre che la quota di politici che traggono vantaggio dallo spostamento all’estero e dall’astensione sarà molto piccola ed escludente, mentre lo spazio interno continuerà ad essere in fermento con aspettative e disaccordi, ideale per le nuove leadership che capitalizzino i seguaci vincolati.

Il calcolo politico degli oppositori nel suffragio punta che un nuovo quadro di partiti anti-chavisti possa avere un posto solido. La sua strategia è a breve e lungo termine. Ottenere una presenza in parlamento sarà fondamentale, per cominciare.

Ma prevedono che, nel medio termine, la separazione dei potenti partiti del G4 dalle rotte elettorali potrebbe prolungarsi oltre queste elezioni e raggiungere le prossime elezioni regionali e comunali. E se ciò non accadesse, perdere queste elezioni ed il posto che hanno nella politica interna gli sarà costoso.

Questi partiti astensionisti che non avrebbero presenza in parlamento, che abbandonano i loro seguaci e che si trasferirebbero ancora più all’estero, non avrebbero la capacità di sostenere le prossime elezioni, se lo volessero fare, come l’hanno fatto negli anni precedenti e avrebbero da litigare con coloro che sono rimasti nell’ambito della politica.

La sfida per queste forze di opposizione emergenti in Venezuela è consolidare una maggiore proiezione, sostegno e protagonismo. Ma sul fronte esterno avranno grandi difficoltà a farsi conoscere come credibili forze anti-chaviste. E questo è, per loro, un problema serio.

Il punto è che, per gli USA, sarà incongruo riconoscere agli artefici del governo parallelo all’estero, la sua esistenza come forza legittima contendendo, in Venezuela, per via elettorale, proprio quando gli stessi USA dichiarano che ciò è impraticabile e che chi partecipa è un collaborazionista del chavismo.

La tragedia per questi anti-chavisti (Falcón, Fermín e Bertucci, tra altri) è che, nonostante la loro provata origine politica e traiettoria, non sono gli oppositori preferiti e, di fatto, sarebbero un ostacolo all’agenda di smantellamento che gli USA hanno in corso.

Henrique Capriles, d’altra parte, potrebbe sbilanciare quel quadro. È quello che ha la lettera di presentazione più forte ed è stato, in effetti, il candidato più formidabile dell’opposizione che, in cifre, ha disputato meglio la presidenza. Tuttavia, non ci sono garanzie nemmeno per lui, tanto meno nella torbidità del percorso irregolare dell’attuale politica USA.

IL QUADRO USA

Lo sviluppo delle elezioni in Venezuela ha l’enfasi che va contemporaneamente all’appuntamento di novembre negli USA. Il quadro in quel paese sembra complesso. In teoria, Biden starebbe guidando l’intenzione del voto nazionale e, secondo i sondaggi nazionali, ha una media di circa 7 punti di vantaggio, il che significa che potrebbe vincere col voto popolare.

Invece, la strategia di Trump è quella di affermarsi negli stati tradizionalmente repubblicani e negli “stati pendolo”, per vincere, ancora una volta, per maggioranza dei collegi elettorali, anche perdendo per voto popolare. Ciò pone maggiormente l’accento sullo stato della Florida, che è chiave.

Trump, sembra, lotti con un pareggio tecnico in Florida e questo lo ha riportato a Doral, una moltitudine di voti dei venezuelani che vivono in quel paese. Trump si appropria del voto di cubani e venezuelani in Florida, essendo questa comunità latina il più forte settore di sostegno a Trump tra la comunità ispanica USA.

La sua pressione su Venezuela e Cuba sta proprio nel capitalizzare il sostegno di quei settori, ma Biden, che anche lui dichiara, falsamente, il Venezuela come una dittatura, ha altre posizioni sui blocchi e si è specificamente riferito a Cuba dicendo che avrebbe smantellato le misure che Trump ha rilanciato. Biden si collega con altri sensi comuni dei cubani delle nuove generazioni, a questi non interessa che il blocco si prolunghi contro l’isola.

Sul Venezuela, i Democratici hanno chiarito la posizione che la strategia di Trump è stata sbagliata e fallita. Questo non vuol dire che non siano inclini all’ostilità, anzi, potrebbero essere peggio di Trump alimentando avventure militari. Ma bisogna ammettere che hanno un diverso riconoscimento della portata del blocco.

L’esito delle elezioni USA potrà cambiare consistentemente gli scenari per il Venezuela, vinca o perda Trump. Dopo le elezioni, il Venezuela perderà rilevanza come centro politico e modello di vetrina della politica USA per la regione. Ciò non implica la cessazione delle ostilità, ma sì apre il ventaglio a nuove possibilità di distensione che fino ad oggi sono state impossibili.

IL MANCATO RUOLO DELLA UE

L’Unione Europea (UE) ha tenuto infruttuosi colloqui a Caracas, naufragando nella sua presunta intenzione di osservare le elezioni parlamentari. Hanno dichiarato di non avere tempo per inviare una missione nel paese ed hanno finito per ratificare che non c’erano condizioni per le elezioni, dato che le istituzioni venezuelane non hanno ceduto nelle loro richieste di rinvio.

I meccanismi delle relazioni internazionali della UE e gli sforzi di Josep Borrell sono finiti per essere sopraffatti dalle lobby USA, ma anche soggetti alle pressioni dei partiti di destra che fanno vita nell’europarlamento e nell’Unione, che hanno puntato su Bruxelles e che hanno il Venezuela, ancora una volta, come tema riutilizzabile per campagne politiche.

Per la UE i rammarichi di società bandiera come Repsol ed ENI, che affrontano gli impatti del blocco in Venezuela relegandoli e separandoli dal paese con le più importanti riserve petrolifere del mondo sono terminati senza rilevanza. Sembra che la UE rispetti e assuma le decisioni USA persino contro i propri interessi.

Tale condotta è anche apprezzabile nelle istanze di offerta che hanno oggi per il gasdotto russo NordStream 2, nell’occhio dell’uragano a causa delle sanzioni USA e della pressione multilaterale sulle aziende affinché l’opera non avanzi e l’Europa rimanga senza gas russo. Senza esagerazioni, l’Europa sembra essere oggetto di un processo di colonizzazione USA. Una particolare ironia della storia nel continente più colonialista di tutta la storia.

IL FATTORE DI CALCOLO DELLA STABILITÀ IN VENEZUELA CON L’ATTUALE QUADRO

A livello interno, la reistituzionalizzazione del parlamento ed il ritorno al primo spazio della sana diatriba nazionale saranno fondamentali per superare il quadro di ostacoli e di eccezionalità che ha svettato negli ultimi anni.

Si vedrà una nuova opposizione interna, la politica interna sarà riconfigurata ed il clima politico avrà un’aria di un ritorno alla normalità e di rinnovamento di alcuni volti nella politica nazionale.

Tutte queste condizioni, di per sé, si traducono in governance politica ed istituzionale, questioni che favoriranno il chavismo. Tuttavia, il mosaico di fattori nella sfera esterna sono estremamente diversi.

L’intenzione venezuelana per le elezioni risiede in una scommessa parzialmente alla cieca di fronte a fattori e possibilità sul fronte esterno. Il paese ha appena indizi e possibilità di un allentamento della situazione avversa ma sono indicibili ed imprevedibili. Ciò indica che le possibilità a favore non sono solide e piuttosto devono essere costruite.

A questo punto il nuovo parlamento deve essere fondamentale, per costruire legittimità dal risultato elettorale del 6D.

In altre battaglie, devono accompagnare l’Esecutivo in tutti i passi possibili ed in tutti gli spazi possibili, per favorire una sedimentazione o uno rottura dei consensi allineati a favore del blocco. Richiedere eccezioni, la disapplicazione de facto o smantellamento formale del blocco, tra molti altri compiti correlati.

La scommessa deve andare all’erosione della sostenibilità del governo e del parlamento artificiali, poiché quello sarà il nodo critico della stabilità del Venezuela.

È anche evidente che l’opposizione astensionista sembra stia delineando apertamente l’agenda 2021. Una consultazione “popolare” arriverà con il rifiuto del risultato del 6D, insieme alla richiesta di applicazione del principio della “responsabilità di proteggere” (R2P) che implica l’incremento di pressioni e nuove richieste di intervento sul Venezuela, ed arriverà la richiesta di criminalizzazione ed interdizione del presidente Nicolás Maduro e del suo governo nei tribunali internazionali.

Cioè, per loro non c’è altro orizzonte, in vista, che la continuità del quadro attuale. Non ci sono novità in vista, né c’è chiarezza su passi più concreti da parte USA.

La sfida per il chavismo e persino per l’opposizione locale sarà quella di dar impraticabilità politica alla continuità di questi scenari, poiché il loro prolungamento ed approfondimento li inghiottirebbe. Per entrambe le forze sarà questione di sopravvivenza politica indebolire o sconfiggere questi affronti sul fronte esterno.

Questo scenario porta anche con sé la possibilità di sviluppare una guerra diffusa nella sua variante paramilitare e mercenaria. Questa possibilità latente, la più pericolosa perché comporta specifici atti di intervento militare irregolare, potrebbe essere la pietra angolare di tutta una nuova struttura d’assedio per l’uso delle armi, l’episodio, più alto e grave, nella guerra contro il paese.

Alla luce degli eventi frustrati, in particolare della fallita Operazione Gedeon , vale la pena dire che ciò non esclude la persistenza di quella tabella di marcia silenziosa e simultanea alle agende a livello politico.

VENEZUELA NELLA “ZONA GRIGIA”: SCENARI

La “Zona Grigia”, dottrina prevista nell’impostazione strategica della politica di sicurezza USA, indica lo “spazio” di operazioni di guerra diffusa dove concorrono le azioni per soggiogare gli obiettivi USA. Questo spazio è il luogo di operazioni di “cambio di regime” come quella in corso in Venezuela.

A questo punto, vale precisare che la “Zona Grigia” è lo spazio esatto tra le azioni “bianche”, strettamente formali ed all’interno del quadro legale, e la zona “nera”, che include l’uso aperto delle armi. Il Venezuela è, da tempo, nella “Zona Grigia”, essendo il blocco, l’assedio politico e la costruzione del proto-governo parallelo, le forme pseudo-legali e l’applicazione della guerra con altri mezzi, mentre l’uso delle armi che esiste in modo frustrato e di bassa intensità, non ha acquisito grandezze ampie, consistenti ed aperte.

In questo contesto, le elezioni marcano diversi scenari.

1.

Il primo di questi risiede nei destini dello Studio Ovale e dell’Ala Ovest della Casa Bianca, nei prossimi mesi. Sia il cambio presidenziale che la permanenza dell’attuale amministrazione implicano, inesorabilmente, un cambio di situazione per il Venezuela.

La continuità dell’amministrazione Trump, senza il Venezuela come tema che rimorchia i voti in Florida, apre le porte a distensioni che oggi sono impossibili a causa delle elezioni di novembre. Mentre i Democratici al potere, d’altro canto, sembrano puntare nella direzione di smantellare la “disastrosa” strategia di Trump. Ma questo non dà garanzie, vale la pena dirlo, poiché con il suo prontuario bellico potrebbe marcare il corso, prendendo le distanze da Trump, che ha mantenuto la sua promessa di non aprire la strada delle armi contro nessun paese in una nuova guerra.

Trump si è separato da Guaidó, nonostante gli appoggi che gli ha dato, per le pressioni della lobby della Florida che sostiene la sua campagna. La “formalità” di Guaidó nei confronti di Washington si è andata sempre più attenuando e dall’Operazione Gedeon la tendenza si è acutizzata. Trump è andato due volte a Doral ed in nessuna occasione ha dato una tribuna ed un posto ad alcun rappresentante venezuelano della “diaspora”.

2.

Le elezioni in Venezuela con un chavismo trionfante ed una nuova opposizione aprirebbero la strada ad una nuova agenda per proclamare all’estero l’esistenza di una risoluzione parziale del nodo critico della politica interna. Con ciò, indebolirebbe il consenso intorno al blocco in un quadro di governance interna.

A meno che gli USA agiscano, in altri modi, più aggressivi, l’opposizione astensionista non avrà una vita prolungata nella politica interna ed il suo sostegno, ora in calo, andrà svanendo sempre più dopo gennaio. Guaidó potrebbe andare in esilio od in prigione, ed il resto dei suoi accoliti plasmeranno ulteriormente il proto-governo parallelo all’estero. Da quanto accadrà a novembre, negli USA, dipenderà la consistenza di quell’opposizione in esilio.

Dobbiamo prestare attenzione all’agenda tracciata dall’opposizione con la “consultazione popolare” ed il dibattito sul tavolo al riguardo. Sembra che l’agenda 2021 definita tramite Zoom. Si noti che Guaidó ed i suoi accoliti fanno una sorta di dibattito che va da un punto all’altro, in modo affrettato nelle loro sessioni online. C’è un’immagine sfocata quando si tratta di definire strategie ed è probabile che, se gli USA si sono smarcati per fare strategia, loro la stanno progettando e stanno alla sua mercé.

L’R2P, presunta caccia internazionale al presidente Maduro, sconvolgimento sociale, l’uso degli impatti del blocco per alimentare la violenza interna, promozione della sedizione interna e la guerra diffusa e l’uso delle armi, sono gli scenari in vista. Gli oppositori esiliati da soli non andrebbero molto lontano. Ciò che accade a Washington continua ad essere determinante e da esso dipenderà il prolungamento e l’approfondimento di queste agende.

3.

La parca posizione europea sul Venezuela potrebbe continuare come una banderuola tra le pressioni USA e gli spasmi dei socialdemocratici all’interno. Tuttavia, gli interessi della UE sono stati almeno meglio disputati, contro gli USA, nel caso dell’Iran e questo apre possibilità per il Venezuela. Questo è un punto di attenzione.

È probabile che i falliti sforzi della UE, che significano ritardare le elezioni venezuelane, hanno avuto lo sfondo di guadagnare tempo per aspettare una definizione negli USA e quindi concertare alternative per il Venezuela, il tutto per non distanziarsi, apertamente, dalla strategia USA e non aumentare i suoi costi politici di fronte a loro.

In ogni caso, è chiaro che ci sono settori nella UE che vogliono uscire dalla fallita strategia contro Caracas, ma calibrano il suo costo di andar per conto proprio, proprio per essere il Venezuela un tema scottante che potrebbe incidere sul dibattito interno. La UE continuerà come un fattore latente, con i suoi partiti di sinistra ed alcuni socialdemocratici, con i quali, probabilmente, si potranno aumentare gli sforzi per indebolire le pressioni contro il paese.

4.

Sulla scena regionale, non ci saranno grandi variazioni a meno che non ci siano negli USA e nella struttura globale di blocco ed isolamento articolato contro il Venezuela. L’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) rimane solida ed il rilancio della destra regionale continua con impeto. In effetti, nemmeno le vittorie delle tendenze socialdemocratiche di sinistra in paesi influenti come il Messico o l’Argentina hanno avuto peso per riconfigurare lo scacchiere in modi parziali e favorevoli per il Venezuela. Gli USA hanno imposto un’agenda in modo solido e la regione continua a essere definita, di fronte a queste inerzie vigenti, con i paesi contro ed a favore del Venezuela chiaramente definiti.


LOS FACTORES DECISIVOS DE LAS ELECCIONES PARLAMENTARIAS EN VENEZUELA

Franco Vielma

Las elecciones parlamentarias previstas para el próximo 6 de diciembre en Venezuela darán cierre al ciclo parlamentario vigente. Sin embargo, la apertura de un nuevo ciclo estará definida por la puja entre los factores internos y externos por la búsqueda de la estabilidad y la continuidad de la crisis política actual.

El chavismo lidia con varias oposiciones, algunas de ellas plegadas al ruedo político y otras a la estrategia abstencionista, que sabemos tiene el patrocinio de la política exterior estadounidense y otros aliados. El cuadro nacional resulta altamente complejo por lo que el reto político de las fuerzas participantes yace en darle legitimidad, legalidad y presencia política sólida a su intención democrática.

Sin embargo, los desafíos más complejos se encuentran lejos de Caracas. Por eso ellos revisten en factores de peso detrás de las elecciones previstas.

LOS FACTORES DE LA ABSTENCIÓN

Los partidos antichavistas del G4, fundamentalmente, y otros del ala más dura antichavista, han asumido que la continuidad de la crisis tiene viabilidad solo en la prolongación extemporánea e ilegal del parlamento vigente, solo posible por vías artificiales y proyectados al ámbito externo.

Esta parte de la oposición se consolidará ahora como una fuerza en el exilio sostenida por la estrategia de la Administración Trump para desmantelar al chavismo.

La estrategia abstencionista viene de la mano de la continuidad de las operaciones de asfixia integral contra Venezuela. Esta es la punta de lanza de la operación de cambio de régimen en el país petrolero y es la carta más sólida de los adversarios al chavismo. Sin embargo, la sostenibilidad política de un debilitado “gobierno interino” liderado por Guaidó coloca hoy a varios países en posiciones en entredicho sobre la continuidad del bloqueo.

Las elecciones venezolanas son, para el hemisferio occidental, más importantes que las propias elecciones en noviembre en suelo estadounidense. No tanto variará de América Latina a EEUU si gana Biden o Trump. Pero tratándose de Venezuela, su importancia se basa en la fragmentación del cuadro en las relaciones exteriores en el ámbito regional, por la división de posturas entre países que reconocen al gobierno legítimo de Caracas frente a quienes respaldan a Guaidó. Hay que afirmarlo sin tapujos: el cuadro actual de las relaciones exteriores en el continente está signado por este fenómeno inédito.

De ahí que la apuesta estadounidense en la continuidad del superpuesto Juan Guaidó va más allá de los alcances de ello para Venezuela. Esta estrategia es modelo en vitrina para los procesos destituyentes que se han impuesto en otros países y que se impondrán en otros países en lo sucesivo.

LOS FACTORES ANTICHAVISTAS EN LA RUTA ELECTORAL

El desplazamiento al extranjero de buena parte de las cabezas visibles de la oposición que resultaron triunfantes en las parlamentarias del 2015, dejó cautivo su espacio político natural. De esta manera emergen factores antichavistas dentro del país que han asumido la postura de intentar capitalizar el liderazgo en sus bases sociales.

Las tendencias de Henri Falcón, Claudio Fermín, y por separado, Javier Bertucci y ahora Henrique Capriles, este último con mayores probabilidades de hacerse con el liderazgo antichavista local, suponen una resignificación de la estrategia opositora frente a los evidentes descalabros de la “Operación Guaidó”: el chavismo sigue en el poder, el bloqueo desgasta las formas de legitimidad opositora y la estrategia abstencionista, que no es nueva en Venezuela, ha demostrado ser nociva para la oposición.

Las disputas internas en el antichavismo también han hecho posible que estos sectores opositores intenten reconfigurarse en un probable nuevo escenario de gobernanza interna. Quedar fuera de esa probabilidad habría sido sumamente costoso al largo plazo y de consolidarse las elecciones con o sin ellos.

Asumen también que la cuota de políticos beneficiarios del desplazamiento al extranjero y de la abstención será muy pequeña y excluyente, mientras que el espacio interno seguirá siendo hervidero de expectativas e inconformidades, ideales para nuevos liderazgos que capitalicen a seguidores cautivos.

El cálculo político de los opositores en el sufragio tiene la apuesta de que un nuevo cuadro de partidos antichavistas pueda tener un lugar sólido. Su estrategia es al corto y largo plazo. Hacerse de una presencia en el parlamento será crucial, para empezar.

Pero ellos avizoran que, al mediano plazo, la separación de los poderosos partidos del G4 de las rutas electorales podría prolongarse más allá de estas elecciones y alcanzar las elecciones regionales y municipales por venir. Y en caso de que ello no ocurra, perder esta elección y el lugar que tienen en la política interna les será costoso.

Estos partidos abstencionistas que no tendrían presencia en el parlamento, que abandonan a sus seguidores y que se desplazarían más aún al extranjero, no tendrían las capacidades para abanderar en próximas elecciones, si es que quisieran hacerlo, tal como lo han hecho en años anteriores y tendrían que disputar lugares con quienes se quedaron en la política.

El reto de estas fuerzas opositoras emergentes en Venezuela es consolidar mayor proyección, respaldos, protagonismo. Pero en el frente externo tendrán la gran dificultad de hacerse reconocer como fuerzas antichavistas creíbles. Y esto es para ellos un serio problema.

El asunto es que, para los estadounidenses, será incongruente reconocer a los artífices del gobierno paralelo en el extranjero, su existencia como una fuerza legítima disputando en Venezuela por la vía electoral, justo cuando los mismos estadounidenses declaran que ello es inviable y que todo aquel que participe es colaboracionista del chavismo.

La tragedia para estos antichavistas (Falcón, Fermín y Bertucci, entre otros) es que, pese a su demostrada procedencia política y su trayectoria, no son los opositores de preferencia y serían, de hecho, un estorbo para la agenda de desmantelamiento que EEUU tiene en marcha.

Henrique Capriles, en cambio, podría desbalancear ese cuadro. Es quien tiene la carta de presentación más sólida y ha sido, en efecto, el candidato más formidable de la oposición quien en cifras ha disputado mejor la presidencia. Sin embargo, para él tampoco hay garantías, menos en la turbiedad de la senda errática de la actual política estadounidense.

EL CUADRO ESTADOUNIDENSE

El desarrollo de las elecciones en Venezuela tiene el énfasis de que va en simultáneo con la cita de noviembre en EEUU. El cuadro en ese país luce complejo. En teoría, Biden estaría liderando la intención de voto nacional y, acorde a encuestas nacionales, promedia unos 7 puntos de ventaja, lo que quiere decir que podría alzarse con el voto popular.

La estrategia de Trump, en cambio, es afianzarse en los estados tradicionalmente republicanos y los “estados péndulo”, para ganar, otra vez, por mayoría de colegios electorales, aun perdiendo por voto popular. Esto da más énfasis al estado de Florida, el cual es clave.

Trump, al parecer, lidia con un empate técnico en Florida y ello lo ha llevado nuevamente a Doral, hervidero de votos de venezolanos radicados en ese país. Trump se hace del voto de cubanos y venezolanos en Florida, siendo esa comunidad latina el sector de apoyo más sólido a Trump entre la comunidad hispana en EEUU.

Su presión sobre Venezuela y Cuba yace precisamente en capitalizar el apoyo de esos sectores, pero Biden, quien igualmente declara falazmente a Venezuela como una dictadura, tiene otras posturas sobre los bloqueos y concretamente se ha referido a Cuba diciendo que desmontaría las medidas que Trump relanzó. Biden se conecta con otros sentidos comunes de los cubanos de las nuevas generaciones, a estos no les interesa que el bloqueo se prolongue contra la isla.

Sobre Venezuela, los Demócratas han dejado la postura clara de que la estrategia de Trump ha sido errática y fallida. Esto no quiere decir que ellos no sean proclives a la hostilidad, de hecho, podrían ser peores que Trump atizando aventuras militares. Pero hay que admitir que ellos tienen un reconocimiento distinto de los alcances del bloqueo.

El resultado de las elecciones estadounidenses podría cambiar consistentemente en los escenarios para Venezuela, gane o pierda Trump. Luego de las elecciones, Venezuela perderá relevancia como foco político y modelo de vitrina de la política estadounidense para la región. Esto no implica el cese de hostilidades, pero sí abre el abanico a nuevas posibilidades de distensión que hasta hoy han sido imposibles.

EL FALLIDO ROL DE LA UE

La Unión Europea (UE) realizó interlocuciones fallidas en Caracas, naufragando en su supuesta intención de observar las elecciones parlamentarias. Declararon que no tenían tiempo de enviar una misión al país y terminaron ratificando que no había condiciones para las elecciones, dado que las instituciones venezolanas no cedieron en sus solicitudes de aplazamiento.

Los mecanismos de relacionamiento internacional de la UE y las gestiones de Josep Borrell terminaron avasallados por el cabildeo estadounidense, pero también, sujetas a las presiones de los partidos de derecha que hacen vida en el europarlamento y en la Unión, que apuntaron a Bruselas y que tienen a Venezuela, nuevamente, como tema reutilizable de campañas políticas.

Para la UE, los pesares de empresas bandera como Repsol y ENI, que lidian los impactos del bloqueo en Venezuela relegándolos y separándolos del país con las reservas de crudo más importantes del mundo, terminaron sin tener relevancia. Tal parece que la UE acata y asume decisiones de EEUU incluso contra sus propios intereses.

Tal conducta es también apreciable en las instancias de puja que hoy tienen por el gasoducto ruso NordStream 2, en el ojo del huracán por sanciones estadounidenses y presiones multilaterales a empresas para que la obra no avance y Europa se quede sin gas ruso. Sin exageraciones, Europa parece ser objeto de un proceso de colonización estadounidense. Una particular ironía de la historia en el continente más colonialista de toda la historia.

EL FACTOR DE CÁLCULO DE LA ESTABILIDAD EN VENEZUELA CON EL CUADRO ACTUAL

En el ámbito interno, la reinstitucionalización del parlamento y el regreso al primer espacio de la sana diatriba nacional serán clave para superar el cuadro de escollo y excepcionalidad que ha campeado en los últimos años.

Se verá una nueva oposición interna, se reconfigurará la política interna y el clima político tendrá aires de un regreso de la normalidad y de renovación de algunos rostros en la política nacional.

Todas estas condiciones, en sí mismas, se traducen en gobernanza política e institucional, cuestiones que favorecerán al chavismo. No obstante el mosaico de factores en el ámbito externo son sumamente diferentes.

La intención venezolana por las elecciones yace en una apuesta parcialmente a ciegas de cara a los factores y posibilidades en el frente externo. El país apenas tiene indicios y posibilidades de un desescalamiento del adverso cuadro, pero ellas son indecibles e impredecibles. Esto indica que las posibilidades a favor no son sólidas y más bien deben ser construidas.

En este punto el nuevo parlamento debe ser clave, para construir legitimidad por el resultado electoral del 6D.

En otras lides, deben acompañar al Ejecutivo en todas las gestiones posibles y en todos los espacios posibles, para propiciar una sedimentación o ruptura de los consensos alineados a favor del bloqueo. Solicitar excepciones, la desaplicación de hecho o el desmantelamiento formal del bloqueo, entre muchas otras tareas afines.

La apuesta debe ir al desgaste de la sostenibilidad del gobierno y el parlamento artificiales, pues ese será el nudo crítico de la estabilidad de Venezuela.

También es evidente que la oposición abstencionista parece estar delineando abiertamente la agenda del 2021. Una consulta “popular” vendrá con el rechazo al resultado del 6D, junto con la solicitud de la aplicación del principio “responsabilidad para proteger” (R2P) que implica el incremento de presiones y nuevas solicitudes de intervención sobre Venezuela, y vendrá la solicitud de criminalización e interdicción del presidente Nicolás Maduro y su gobierno en tribunales internacionales.

Es decir, para ellos no hay otro horizonte a la vista que la continuidad del cuadro actual. No hay novedades a la vista, ni tampoco hay claridad sobre más pasos sólidos al frente por parte de EEUU.

El reto del chavismo y hasta de la oposición local será dar inviabilidad política a la continuidad de estos escenarios, pues su prolongación y profundización les engulliría. Para ambas fuerzas será cuestión de sobrevivencia política debilitar o derribar estas afrentas en el frente externo.

Este escenario también tiene consigo las posibilidades de desarrollarse una guerra difusa en su variante paramilitar y mercenaria. Esa posibilidad latente, la más peligrosa por tratarse de actos específicos de intervención militar irregular, podría ser la piedra angular de toda una nueva estructura de asedio por el uso de las armas, el más alto y grave episodio en la guerra contra el país.

A la luz de los eventos frustrados, especialmente la fallida Operación Gedeón, vale decir que no por ello se descarte la persistencia de esa hoja de ruta silente y simultánea a las agendas en el plano de lo político.

VENEZUELA EN LA “ZONA GRIS”: ESCENARIOS

La “Zona Gris”, doctrina prevista en el planteamiento estratégico de la política de seguridad estadounidense, señala el “espacio” de las operaciones de guerra difusa donde concurren las acciones de avasallamiento de los objetivos estadounidenses. Este espacio es el lugar de las operaciones de “cambio de régimen” como la que hay en marcha en Venezuela.

En este punto vale precisar que la “Zona Gris” es el espacio exacto entre las acciones “blancas”, estrictamente formales y dentro de lo legal, y la zona “negra”, que comprende el uso abierto de las armas. Venezuela está desde hace un tiempo en la “Zona Gris”, siendo el bloqueo, el asedio político y la construcción del proto-gobierno paralelo, formas pseudo legales y la aplicación de la guerra por otros medios, mientras que el uso de las armas que existe de manera frustrada y de baja intensidad no ha adquirido magnitudes grandes, consistentes y abiertas.

En este contexto, las elecciones marcan diversos escenarios.

1.

El primero de ellos yace en los destinos de la Oficina Oval y el ala oeste de la Casa Blanca en los próximos meses. Tanto el cambio presidencial o la permanencia de la actual Administración, suponen un cambio de situación para Venezuela inexorablemente.

La continuidad de la Administración Trump, sin Venezuela como tema remolcador de votos en Florida, abre puertas para distensiones que hoy son imposibles por la elección de noviembre. Mientras que los Demócratas en el poder, por otro lado, parecen apuntar en la dirección de desmantelar la “desastrosa” estrategia de Trump. Pero ello no da garantías, vale decirlo, pues por su prontuario bélico podría marcar la pauta, distanciándose así de Trump, quien ha cumplido su promesa de no abrir el camino de las armas contra ningún país en una nueva guerra.

Trump se ha separado de Guaidó, pese a los espaldarazos que le ha dado, por presiones del lobby de Florida que apoya su campaña. La “formalidad” de Guaidó frente a Washington se ha ido diluyendo cada vez más y desde la Operación Gedeón la tendencia se agudizó. Trump ha ido dos veces a Doral y en ninguna oportunidad dio tribuna y lugar a ningún representante venezolano de la “diáspora”.

2.

Las elecciones en Venezuela con un chavismo triunfante y una nueva oposición abrirían paso a una nueva agenda para pregonar en el extranjero la existencia de una resolución parcial del nudo crítico de la política interna. Con ello, debilitaría los consensos alrededor del bloqueo en un marco de gobernanza interna.

A menos que los estadounidenses actúen por otras vías más agresivas, la oposición abstencionista no tendrá vida prolongada en la política interna y sus hoy menguados respaldos se irán diluyendo cada vez más luego de enero. Guaidó podría ir al exilio o a la cárcel, y el resto de sus acólitos darán más forma al proto-gobierno paralelo en el extranjero. De lo que ocurra en noviembre en EEUU, dependerá la consistencia de esa oposición en el exilio.

Hay que prestar atención a la agenda que traza la oposición con la “consulta popular” y el debate que hay sobre la mesa respecto a ella. Parece la agenda 2021 definida vía Zoom. Nótese que Guaidó y sus acólitos hacen una suerte de debate que va de un punto a otro, en formas atropelladas en sus sesiones en línea. Hay un cuadro difuso a la hora de definir estrategias y es probable que, si los estadounidenses se han desmarcado para hacer estrategia, ellos la estén diseñando y están a su suerte.

La R2P, pretendida cacería internacional al presidente Maduro, conmoción social, utilización de los impactos del bloqueo para atizar la violencia interna, promoción de la sedición interna y guerra difusa y utilización de las armas, son los escenarios a la vista. Los opositores exiliados por sí solos no llegarían muy lejos. Lo que ocurra en Washington sigue siendo determinante y de ello dependerá la prolongación y profundización de estas agendas.

3.

La parca postura europea sobre Venezuela podría continuar como veleta entre las presiones estadounidenses y los espasmos de los socialdemócratas a lo interno. Sin embargo, los intereses de la UE al menos han sido mejor disputados frente a EEUU tratándose de Irán y ello abre posibilidades para Venezuela. Ese es un punto de atención.

Es probable que las fallidas gestiones de la UE, que suponían dilatar las elecciones venezolanas, tuvieran el trasfondo de ganar tiempo para esperar por una definición en EEUU y así concertar alternativas para Venezuela, todo para no deslindarse abiertamente de la estrategia estadounidense y no aumentar sus costos políticos frente a ellos.

En cualquier caso, es evidente que hay sectores en la UE que quieren salir de la estrategia fallida contra Caracas, pero calibran su costo de irse por cuenta propia de ella, precisamente por ser Venezuela un tema caldeado que podría incidir en el debate interno. La UE seguirá como un factor latente, con sus partidos de izquierda y algunos socialdemócratas, con los que probablemente puedan incrementarse las gestiones para debilitar las presiones contra el país.

4.

En la escena regional, no habrá mayores variaciones a menos que las haya en EEUU y en la estructura global de bloqueo y aislamiento articulado contra Venezuela. La Organización de Estados Americanos (OEA) sigue sólida y el reimpulso de la derecha regional sigue en ímpetu. De hecho, ni siquiera las victorias de tendencias de izquierda socialdemócrata en países influyentes como México o Argentina han tenido peso para reconfigurar el tablero de maneras parciales y favorables para Venezuela. EEUU impuso una agenda de manera sólida y la región sigue definida frente a estas inercias vigentes, con los países en contra y a favor de Venezuela claramente definidos.

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