Rotte le vetrine della «democrazia»

con cui gli USA hanno preteso di dare lezioni al mondo

Letteralmente, mercoledì 6 gennaio, sono stati infranti i vetri della« vetrina della democrazia», con cui gli USA hanno preteso di dare lezioni al mondo, quando seguaci violenti del presidente Donald Trump hanno invaso ed hanno provocato il caos nel Capitolio di Washington, sede del Congresso, nel momento in cui questo forum si disponeva a confermare il democratico Joe Biden come prossimo mandatario.

L’assalto è la situazione più grave nella storia dell’edificio, simbolo del potere statunitense, da quando i britannici, il 24 agosto del 1814, dopo la vittoria della battaglia di Bladensburg, lo incendiarono con la Casa Bianca e altre istituzioni governative.

Questa gravità forse ricorda altri fatti nei contorni della città, come l’uccisione di Abraham Lincoln, a cui spararono un proiettile nella testa mentre seguiva una rappresentazione nel teatro Ford, risultato di una grande cospirazione nel contesto della Guerra di Secessione; o i fatti del 1º marzo del 1954, quando i patrioti di Puerto Rico, Lolita Lebrón, Rafael Cancel Miranda, Irvin Flores e Andrés Figueroa entrarono con la forza nella sala della Camera dei Rappresentanti, nel Capitolio, per richiamare l’attenzione del mondo sulla situazione coloniale di Puerto Rico e la repressione del Governo USA contro il movimento indipendentista dell’isola caraibica.

Un fatto a cui pochi alluderanno, sicuramente, è quello ancora latente dell’alba del 30 aprile del 2020 quando, vicinissimo alla Casa Bianca, un terrorista ha sparato con un fucile AK-47 contro l’Ambasciata cubana, un’altra azione violenta diluita nel silenzio complice dell’attuale amministrazione statunitense.

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