Javier Gómez Sánchez www.cubadebate.cu
Il Premio Gabo è un prestigioso riconoscimento assegnato al giornalismo iberoamericano. Considerato una delle più alte distinzioni al giornalismo realizzato in lingua spagnola e portoghese; è assegnato ogni anno dalla Fondazione Gabo, entità con sede in Colombia creata nel 1995 da Gabriel García Márquez.
La Fondazione è sorta, originariamente, con il nome di Fondazione per il Nuovo Giornalismo Ibero-Americano (FNPI) e sin dai suoi inizi, a partire dalla visione del celebre scrittore e Premio Nobel colombiano, ha avuto come missione elevare il livello giornalistico della regione attraverso seminari, premi, coordinamento di borse di studio ed organizzazione di eventi.
Il Premio ha avuto la sua prima edizione nel 2014 e da allora ha premiato più di 40 giornalisti di circa 15 paesi. Viene assegnato in quattro categorie: Testo, Immagine, Copertura ed Innovazione. L’importo attuale del premio, consegnato in pesos colombiani, equivale a circa $ 10000 per i vincitori e $ 2300 ai finalisti. La cerimonia in cui vengono annunciati e assegnati i premi si celebra nella città di Medellín, nell’ambito del Festival Gabo, benché quest’anno si realizzerà, in forma virtuale, il prossimo 21 gennaio.
Nei primi giorni di quest’anno la Fondazione ha pubblicato i nominati all’ottavo bando del Premio Gabo, per lavori pubblicati tra il 2019 ed il 2020. Delle 1443 opere giornalistiche pervenute, a partire da una selezione di 58 giornalisti, 40 materiali sono stati nominati in finale davanti ad una giuria di 12 membri, composta da direttori di media, giornalisti di fama internazionale, esperti in comunicazione e membri del Consiglio Direttivo della stessa Fondazione.
Senza dubbio l’alto livello di questi professionisti, nonché la qualità e quantità delle opere presentate, fanno del Premio un punto di riferimento per la regione, ed i suoi vincitori ricevono un riconoscimento che conferisce loro prestigio internazionale. Secondo i suoi organizzatori, la selezione delle opere è stata fatta sulla base della loro “solida ricerca, qualità narrativa e capacità di disturbare il potere ritraendo con profondità, rigorosità ed etica le complesse realtà dell’America Latina”. (1)
Tra le opere nominate per l’edizione di quest’anno si trovano problematiche come il costo dell’accesso alla salute per gli immigrati latini negli USA; il narcotraffico, riciclaggio di denaro ed omicidio di giornalisti in Messico; gli incendi in Amazzonia; la precarietà del lavoro in Brasile; la violenza di genere in El Salvador; il genocidio delle comunità indigene in Guatemala; i pericoli della migrazione illegale dalla Libia alla Spagna attraverso il Mediterraneo; la lotta contro il Covid in Perù; il sovraffollamento e disordini nelle carceri in Paraguay e Colombia; l’estrazione mineraria illegale in Venezuela; ed i maneggi politici della monarchia spagnola.
Richiama l’attenzione trovare in questa edizione, in una così ridotta lista dopo una selezione tra 1443 opere, non una bensì due materiali realizzati da giornalisti cubani. E, naturalmente, chiunque si rallegrerebbe che in un concorso così risonante Cuba sia rappresentata, forse come riconoscimento della qualità del giornalismo cubano. Ma quando si va a vedere chi sono, uno si chiede se sia una casualità che siano, niente meno, che due opere prodotte e pubblicate su media digitali che, recentemente, sono stati designati come destinatari di finanziamento del National Endowment for Democracy (NED), Open Society Foundations, ed altri canali associati, come parte dell’ingerenza USA a Cuba.
Ancor più verificando che i due cubani che hanno ricevuto il premio nelle precedenti edizioni sono, anch’essi, giornalisti associati a questo tipo di finanziamento. Nel 2017 il premio è stato assegnato a Jorge Carrasco di El Estornudo; il premio è stato ritirato dal suo editore Carlos Manuel Álvarez. Il sito web anti-cubano del governo USA, Radio Televisión Martí, li ha immediatamente intervistati ed ha celebrato questo riconoscimento come “una mazzata in faccia alla stampa a Cuba” (2).
El Estornudo è un media digitale che si dichiara apertamente finanziato dalla NED -organizzazione creata dal Congresso USA, durante il governo di Ronald Reagan, secondo il New York Times come copertura della CIA, per operazioni di finanziamento di progetti creati o legati all’Agenzia, che fino ad allora erano realizzati direttamente dalla stessa CIA- ed Open Society, entità finanziaria internazionale vincolata alle operazioni di influenza sociale e destabilizzazione in paesi con governi considerati ostacoli geostrategici da Washington nell’Europa orientale ed America Latina. (3)
Nel 2019, è stata decorata, con lo stesso premio, la cubana Mónica Baró con un lavoro realizzato per il sito Periodismo de Barrio (PdB), prima di passare a lavorare, successivamente, per El Estornudo. La pagina digitale PdB è sorta dell’importo monetario ricevuto dalla sua creatrice, Elaine Díaz, come parte di una borsa di studio assegnatale dall’Università di Harvard nel 2014, nell’ambito dei programmi di “formazione di dirigenti” che -attraverso entità di facciata della CIA apparentemente innocenti- sono stati implementati e finanziati in diverse università degli USA, Europa ed America Latina. Successivamente, la pagina è stata finanziata attraverso la Fondazione Svedese per i Diritti Umani.
Dopo aver creato PdB, Díaz è stata invitata e presentata nell’edizione 2016 del Festival Gabo. Lei ed il suo media sono stati promossi in un’intervista condotta dal sito web della Fondazione. Quello stesso anno Mónica Baró, con un lavoro in PdB, è stata inserita tra i finalisti del Premio. Nel 2017, Baró è stata intervistata dal sito web del concorso “a proposito dell’annuncio del Premio 2018”, benché lei non ne fosse parte, né alcun cubano, affinché parlasse di cosa significa fare giornalismo “indipendente” a Cuba, il che non c’entrava nulla, ma era un modo per mantenerla visibile.
Durante quell’edizione del 2018, Elaine Díaz è stata nuovamente invitata al Festival ad una conferenza come direttrice di PdB. L’anno successivo, 2019, finalmente si sforna il premio per un’opera pubblicata su PdB e scritta da Mónica Baró, che poco prima era andata a lavorare per El Estornudo.
Come nota curiosa dell’interesse e familiarità della Fondazione e del Premio verso i media cosiddetti “indipendenti”, ma con finanziamento estero, in contrasto con lo scarso apprezzamento per i media nazionali cubani e dei giornalisti che vi lavorano, nella scheda da concorrente della Baró si descrive con enfasi la sua carriera in PdB e El Estornudo, mentre una riga menziona, poeticamente, che ha lavorato in “una rivista statale chiamata Bohemia”. Così hanno presentato i redattori -secondo la loro conoscenza del giornalismo cubano- due pagine web create un paio di anni prima, in relazione alla più importante ed antica rivista stampata a Cuba, fondata nel 1908.
In quest’anno 2021 la designazione include il cubano Abraham Jiménez, per un lavoro pubblicato parimenti su El Estornudo. L’altro è un testo pubblicato sul sito digitale YucaByte dai giornalisti Cynthia de la Cantera e Alberto Toppin. Insieme ad altri media digitali, YucaByte è stato recentemente presentato dalla televisione cubana come uno dei media che ricevono finanziamenti da fonti USA.
In tutti i casi, sono media digitali creati e sostenuti come parte di un’operazione a lungo termine implementata, dalla CIA, a Cuba per fabbricare una stampa che, da Internet, generasse contenuto politico deliberatamente tossico nei confronti della Rivoluzione cubana, sotto la facciata dell’esercizio del giornalismo. L’operazione -rivelata dal lavoro dei servizi di controspionaggio cubani e dell’agente della CIA Raúl Capote, in realtà un agente della Sicurezza di Stato ed autore del libro di memorie ‘Enemigo’- è stata avviata a partire da una riunione tenutosi all’Avana, nel 2004, tra funzionari dell’allora Ufficio Interessi USA (SINA), oggi Ambasciata, ed ufficiali della CIA.
L’utilizzo di premi internazionali come meccanismo di convalida e fabbricazione di prestigio per favorire le figure emerse nell’ambito dell’operazione, sarebbe stata ampiamente praticata con la primo di esse, la blogger Yoani Sánchez ed il suo blog Generación Y, che ha ricevuto numerosi premi come giustificazione di fondi e meccanismo per posizionare il suo nome, nonché per agevolare il suo accesso alle pagine della stampa internazionale. Attualmente Yoani, sebbene screditata e logorata dall’ informazioni che hanno svelato, negli anni, i suoi legami finanziari, mantiene il giornale digitale ’14 y medio’, dedicato alla manipolazione delle notizie, alla propagazione di fake news ed alla propaganda filo USA, con supporto economico dalle stesse fonti.
Un modello che vediamo, chiaramente, nell’uso sistematico del Premio Gabo per la proiezione internazionale della cosiddetta “stampa indipendente” cubana, con la sua falsa indipendenza, realmente sostenuta da quel background finanziario. Lo stesso Carlos Manuel Álvarez, direttore di El Estornudo ha rivelato, in un’intervista, dopo aver ritirato il premio nel 2017, le possibilità di funzionamento del premio come strumento di convalida ed accesso: “Abbiamo la certezza che le cose possono cambiare d’ora in poi, ma molte dipendono da come ci percepiscano”. (4)
Chiunque si chiederebbe come questo sia avvenuto ed in che modo un prestigioso Premio giornalistico, assegnato da un rispettabile ente culturale, abbia potuto cadere in questo. La Fondazione ha ricevuto sostegno finanziario e collaborazione da entità molto diverse, tanto dal governo della Colombia e dal suo Ministero della Cultura che dall’UNESCO e da agenzie di cooperazione internazionale, tra altre di indubbia rispettabilità. Ma, allo stesso tempo, altri attori finanziari e di “lavoro collaborativo” sono stati interessati alla Fondazione Gabo, sembra dall’inizio degli anni 2000, quando portava ancora il nome di Fondazione per il Nuovo Giornalismo Ibero-Americano (FNPI).
Il legame tra la NED e la Fondazione Gabo -coinvolta, negli anni, in una ragnatela di organizzazioni di facciata giornalistica e finanziaria legate alla prima che, evidentemente, utilizzano e beneficiano del prestigio della seconda e, per estensione, del nome del suo fondatore- solo potrebbe avere spiegazione a partire da un allontanamento dai valori promossi dalla figura di García Márquez, che è stato corrispondente di Prensa Latina, compagno di lunga data della Rivoluzione cubana ed intimo amico del suo dirigente storico Fidel Castro.
Il ricercatore britannico Michael James Barker, autore di saggi come ‘The Soros Media Empire. The Power of Philantropy to Enginner Concent’ (2008) e ‘Under the Mask of Philantropy’ (2017), dichiarato ammiratore dell’opera di García Márquez ha pubblicato, nel 2008, l’articolo ‘The Democracy Manipulators’ in cui commentava la sua delusione al verificare il percorso che era stato dato al progetto originariamente ideato dal famoso romanziere colombiano:
“La FNPI ha ricevuto il suo primo finanziamento dalla NED nel 2000, quando ha ottenuto 75000 $ per formare giornalisti sugli aspetti tecnici della corrispondenza di guerra e stabilire una rete per proteggere i giornalisti e la libertà di espressione in Colombia. L’anno successivo hanno ottenuto altri 72000 $, dalla NED, per continuare questo lavoro, ed altri 70000 per realizzare una serie di seminari. (…) La Fondazione non occulta il suo finanziamento proveniente dalla NED ed, apertamente, lo include sul suo sito web come alleata per il suo Progetto Antonio Nariño, (volto alla protezione del giornalismo dedicato al conflitto colombiano), presentato nel 2001. La Fondazione include, in quella lista, Reporter Senza Frontiere, e presenta come “organizzazioni associate” l’Associazione di Notizie sui Diritti dell’Infanzia, Observatorio da Imprensa, Istituto Stampa e Società e l’International Center for Journalists. Ho illustrato in diversi articoli come queste ultime due organizzazioni siano strumenti di manipolazione della democrazia che ricevono fondi dalla NED “(5).
Oggi diversi link sul sito fundaciongabo.org che mostravano un qualche collegamento con la NED portano a contenuti rimossi dalla stessa ed offrono come risultato “Pagina non trovata”. Ma la directory ‘Alleati Storici della Fondazione’, che lo stesso sito offre, contiene un ampio elenco di collaboratori, che -oltre ad enti rispettabili e riconosciuti a livello internazionale- include non solo l’ambasciata USA a Bogotá ma anche varie organizzazioni e media digitali i cui legami con la NED ed Open Society sono stati esposti e pubblicamente noti. È il caso del forum Distintas Latitudes, del quotidiano digitale salvadoregno El Faro, del Knight Center per il Giornalismo nelle Americhe dell’Università del Texas ad Austin, del Committee to Protect Journalists (CPJ), della Fondazione per la Libertà di Stampa (FLIP) , Fondazione Konrad Adenauer, Global Forum for Media Development, International Center for Journalists, l’ Istituto della Stampa e Società (IPYS), tra altri…. e senz’altro non ci mancava che questo nella lunga lista compaiono le stesse National Endowment for Democracy (NED) e Open Society Foundations.
Nel caso dell’Istituto Stampa e Società (IPYS), questo è un nome ben noto nel nostro paese. L’Unione dei Giornalisti Cubani (UPEC) ha denunciato in una dichiarazione, promossa su Twitter dal Presidente Miguel Díaz-Canel, il 12 ottobre 2019, che questa organizzazione ha effettuato telefonate e inviato messaggi di testo a vari dei suoi giornalisti membri per informarli di essere stati selezionati per un concorso di cronache, organizzato da detto Istituto, al quale non avevano partecipato.
La lista di lavori e giornalisti cubani promossa dalla manovra dell’IPYS mescolava, deliberatamente, nomi di giornalisti del sistema dei media pubblici con media finanziati dagli USA: “L’UPEC ha basi politiche ed etiche molto chiare; nel suo seno ospita molteplici opinioni, ma non siamo in comunicazione né con la NED, né con l’OSA, né con Open Society di Soros, funzionali alle strategie del governo USA per soffocare il nostro paese“. (6)
Secondo l’annuncio della Fondazione Gabo: “Nessuno degli alleati, associati e sponsor interviene nella regolamentazione, annuncio e gestione del Premio”, e magari fosse così.
Per quanto riguarda i lavori cubani nominati quest’anno, le loro storie e tematiche avrebbero potuto essere perfettamente affrontati, e dovrebbe essere così, dai giornalisti in uno dei media del sistema di stampa pubblica a Cuba: Uno, la storia di una donna nera transessuale che supera un duro passato di violenza familiare, discriminazione e marginalità per ottenere di realizzarsi come artista, come persona capace ed utile alla società nonostante gli enormi ostacoli che ha dovuto superare e convertirsi, lei stessa, in attivista per i diritti della comunità LGBTI ed organizzatrice di attività a favore dei bambini di una località disagiata della capitale cubana.
L’altra, una mostra sul nocivo impatto sulla salute che produce, negli abitanti di Moa, la contaminazione ambientale causata dall’estrazione industriale di nichel. Realtà profonde della società cubana che è essenziale affrontare. Entrambi dimostrano che il cosiddetto “giornalismo alternativo”, che il finanziamento USA cerca di attuare a Cuba, consiste nel cercare di occupare i vuoti che gli consentono temi scarsamente trattati dalla stampa istituzionale.
Ma in questo caso, la diversità di complessità di un paese come Cuba, con 11 milioni di abitanti, rimane piuttosto ridotta di fronte alla visione del concorso giornalistico colombiano: Il lavoro premiato nel 2017 riguardava una persona trans nera. Il vincitore, nel 2019, trattava su un insediamento abitativo colpito dalla contaminazione da piombo lasciata da industrie che vi operavano. I candidati di quest’anno, ancora una volta, una storia trans nera e un’altra sull’inquinamento ambientale. Sicuramente la selezione delle opere cubane da nominare e premiare, al di là della validità dei racconti, è caduta in una monotonia tematica. Benché ancora meno monotona rispetto alla ricorrente apparizione del denaro dalla NED e della Open Society.
Al risultare premiato qualcuno dei candidati cubani questo testo avrebbe potuto essere intitolato “Cronaca di un premio annunciato”. Per ora è meglio “La NED sì ha chi scrive per lei“, e sembrerebbe essere chi lo premia. Oltre a ciò ci rimane il giornalismo che Gabriel García Márquez ci ha lasciato in eredità, e non perdere la speranza che una Fondazione ed un Premio che portano il suo nome possano liberarsi dalla rete in cui si sono intrappolate e possano onorare il valore universale di quell’eredità.
1. Premi Gabo: questi sono i 40 candidati all’edizione 2020. Infobae. 7 gennaio 2021.
2. Premio Gabo è una mazzata in faccia per la stampa a Cuba, dice il vincitore. Radio televisione Martí. 1 ottobre 2017.
3. A quien pueda interesar: Nuestra ruta del dinero. El Estornudo. Mayo 13, 2020.
4. El Estornudo y su Cuba de la calle. La Prensa. Octubre 5, 2017.
5. The Democracy Manipulators. ZNET. Abril 26,2008.
6. Dichiarazione dell’Unione dei Giornalisti di Cuba: Né la NED, né Soros, né la OSA. Granma. Ottobre 12, 2019.
La NED sí tiene quien le escriba
Por: Javier Gómez Sánchez
El Premio Gabo es un prestigioso galardón otorgado al periodismo iberoamericano. Considerado una de las más altas distinciones al periodismo realizado en lengua española y portuguesa, es entregado cada año por la Fundación Gabo, entidad con sede en Colombia creada en 1995 por Gabriel García Márquez.
La Fundación surgió originalmente con el nombre de Fundación para el Nuevo Periodismo Iberoamericano (FNPI) y desde sus inicios, a partir de la visión del célebre escritor y Premio Nobel colombiano, tuvo como misión elevar el nivel periodístico de la región a través de talleres, premios, coordinación de becas y organización de eventos.
El Premio tuvo su primera edición en 2014 y desde entonces ha reconocido a más de 40 periodistas de unos 15 países. Se otorga en cuatro categorías: Texto, Imagen, Cobertura e Innovación. El monto actual del galardón, entregado en pesos colombianos, equivale a unos 10 000 dólares para los ganadores y 2300 a los finalistas. La ceremonia en la que se dan a conocer y se entregan los premios se celebra en la ciudad de Medellín, como parte del Festival Gabo, aunque este año se realizará de forma virtual el próximo 21 de enero.
En los primeros días del presente año la Fundación publicó los nominados a la octava convocatoria del Premio Gabo, para trabajos publicados entre 2019 y 2020. De 1443 trabajos periodísticos recibidos, a partir de una selección realizada por 58 periodistas, 40 materiales pasaron a la nominación final ante en un jurado de 12 miembros, conformado por directores de medios de comunicación, periodistas de renombre internacional, expertos en comunicación, y miembros del Consejo Rector de la propia Fundación.
Indudablemente el alto nivel de esos profesionales, así como la calidad y cantidad de los trabajos presentados hacen del Premio un referente para la región, y sus laureados reciben un reconocimiento que les prestigia internacionalmente. Según sus organizadores la selección de los trabajos se hizo a partir de su “sólida investigación, calidad narrativa, y capacidad para incomodar al poder al retratar con profundidad, rigurosidad y ética las complejas realidades de América Latina”. (1)
Entre los trabajos nominados para la edición del presente año se encuentran problemáticas como el costo del acceso a la salud para los inmigrantes latinos en Estados Unidos; el narcotráfico , lavado de dinero y asesinato de periodistas en México; los incendios en la Amazonía; la precarización del empleo en Brasil; la violencia de género en El Salvador; el genocidio de comunidades originarias en Guatemala; los peligros de la migración ilegal desde Libia a España a través del Mediterráneo; la lucha contra la Covid en Perú; el hacinamiento y motines en las cárceles de Paraguay y Colombia; la minería ilegal en Venezuela; y los manejos políticos de la monarquía española.
Llama la atención encontrar en esta edición, en tan reducida lista luego de una selección de entre 1443 trabajos, no uno, sino dos materiales realizados por periodistas cubanos. Y por supuesto, cualquiera se alegraría de que en un certamen tan resonante Cuba esté representada, acaso como reconocimiento a la calidad del periodismo cubano. Pero al ver de quiénes se trata, uno se pregunta si es una casualidad que sean nada menos que dos trabajos producidos y publicados en medios digitales que recientemente han sido señalados como receptores de financiamiento de la National Endowment for Democracy (NED), Open Society Foundations, y otras vías asociadas, como parte de la injerencia de Estados Unidos en Cuba.
Más aun al comprobar que los dos cubanos que han sido agraciados con el premio en ediciones anteriores, son también periodistas de medios asociados a este tipo de financiamiento. En 2017 el premio fue entregado a Jorge Carrasco de El Estornudo, siendo recogido el trofeo por su editor Carlos Manuel Álvarez. La web anticubana del gobierno estadounidense Radio Televisión Martí de inmediato los entrevistó y celebró ese otorgamiento como “un mazazo en la cara de la prensa en Cuba” (2).
El Estornudo es un medio digital que se declara abiertamente financiado por la NED, -organización creada por el Congreso de Estados Unidos durante el Gobierno de Ronald Reagan, según el New York Times como tapadera de la Agencia Central de Inteligencia, para operaciones de financiamiento de proyectos creados o vinculados a la Agencia, que hasta entonces eran realizadas directamente por la propia CIA- y Open Society, entidad financiera internacional vinculada a las operaciones de influencia social y desestabilización en países con gobiernos considerados obstáculos geo estratégicos por Washington en Europa del Este y Latinoamérica. (3)
En 2019 fue privilegiada con el mismo premio la cubana Mónica Baró, por un trabajo realizado para la web Periodismo de Barrio, antes de pasar a trabajar luego para El Estornudo. La página digital Periodismo de Barrio surgió a partir del monto monetario recibido por su creadora, Elaine Díaz, como parte de una beca que le fuera otorgada por la Universidad de Harvard en 2014, dentro de los programas de “formación de líderes” que -a través de entidades fachada de la CIA aparentemente inocentes- se han implementado y financiado en varias universidades de Estados Unidos, Europa y América Latina. Posteriormente la página ha sido financiada a través de la Fundación Sueca de Derechos Humanos.
Luego de crear Periodismo de Barrio, Díaz fue invitada y presentada en la edición del Festival Gabo de 2016. Ella y su medio de comunicación fueron promocionados en una entrevista realizada por la web de la Fundación. Ese mismo año Mónica Baró, con un trabajo en PB, fue ubicada entre los finalistas al Premio. En 2017, Baró es entrevistada por la web del certamen “a propósito de la convocatoria del Premio 2018”, aunque no fuera parte de ella, ni ningún cubano, para que hablara de cómo es hacer periodismo “independiente” en Cuba, lo cual no venía al caso, pero era una manera de mantenerla visible.
Durante esa edición de 2018, Elaine Díaz es nuevamente invitada al Festival a una conferencia como directora de Periodismo de Barrio. Al año siguiente, 2019, finalmente se saca del horno el premio a un trabajo publicado en Periodismo de Barrio y escrito por Mónica Baró, quien poco antes había pasado a trabajar para El Estornudo.
Como nota curiosa del interés y familiaridad de la Fundación y el Premio hacia los medios llamados “independientes”, pero con financiamiento extranjero, en contraste con el poco aprecio a los medios nacionales cubanos y los periodistas que trabajan en ellos, en la ficha de concursante de la Baró se describe con énfasis su trayectoria por Periodismo de Barrio y El Estornudo, mientras una línea menciona poéticamente que trabajó en “una revista estatal llamada Bohemia”. Así presentaron los redactores -según su conocimiento del periodismo cubano-, a dos páginas webs creadas un par de años antes, en relación a la más importante y antigua revista impresa de Cuba fundada en 1908.
En este año 2021 la nominación incluye al cubano Abraham Jiménez, por un trabajo publicado igualmente en El Estornudo. El otro se trata de un texto publicado en el sitio digital YucaByte por los periodistas Cynthia de la Cantera y Alberto Toppin. Junto con otros medios digitales, YucaByte fue recientemente presentado en la televisión cubana como uno de los medios que reciben financiamiento de fuentes estadounidenses.
En todos los casos son medios digitales creados y sostenidos como parte de una operación a largo plazo implementada por la CIA en Cuba para fabricar una prensa que desde Internet generara contenido político deliberadamente tóxico hacia la Revolución cubana, bajo la fachada del ejercicio periodístico. La operación -revelada por el trabajo de los servicios de contrainteligencia cubanos y el agente de la CIA Raúl Capote, realmente agente de la Seguridad del Estado y autor del libro de memorias Enemigo- fue iniciada a partir de una reunión celebrada en La Habana en 2004 entre funcionarios de la entonces Oficina de Intereses de los Estados Unidos (SINA), hoy Embajada, y oficiales de la Agencia Central de Inteligencia.
La utilización de premios internacionales como mecanismo de validación y fabricación de prestigio para favorecer a las figuras surgidas como parte de la operación, sería ampliamente practicada con la primera de ellas, la bloguera Yoani Sánchez y su blog Generación Y, quien recibiera numerosos premios como justificación de fondos y mecanismo para posicionar su nombre, así como facilitar su acceso a las páginas de medios de prensa internacionales. Actualmente Yoani, aunque devaluada y desgastada por la información que se ha develado a través de los años sobre sus vínculos financieros, mantiene el diario digital 14 y medio, dedicado a la manipulación noticiosa, propagación de fake news y propaganda pro estadounidense, con sostén económico de las mismas fuentes.
Un patrón que claramente vemos en la utilización sistemática del Premio Gabo para la proyección internacional de la llamada “prensa independiente” cubana, con su falsa independencia, realmente sostenida por ese trasfondo financiero. El mismo Carlos Manuel Álvarez, director de El Estornudo reveló en una entrevista, luego de recoger el lauro en 2017, las posibilidades de funcionamiento del premio como herramienta de validación y acceso: “Tenemos la certeza de que pueden cambiar las cosas a partir de ahora, pero muchas dependen de cómo nos perciban.” (4)
Cualquiera se preguntaría como esto ha llegado a ocurrir, y de qué manera un prestigioso Premio periodístico, otorgado por una respetable entidad cultural, haya podido caer en eso. La Fundación ha recibido apoyo financiero y colaboración de muy diversas entidades, tanto del Gobierno de Colombia y su Ministerio de Cultura, la UNESCO y agencias de cooperación internacional, entre otras de indudable respetabilidad. Pero al mismo tiempo otros actores financieros y de “trabajo colaborativo” han estado interesados en la Fundación Gabo, al parecer desde inicios de los 2000, cuando todavía llevaba el nombre de Fundación para el Nuevo Periodismo Iberoamericano (FNPI).
El vínculo de la NED y la Fundación Gabo -enredada con los años en una telaraña de organizaciones de fachada periodística y financiera asociadas a la primera que evidentemente utilizan y se benefician del prestigio de la segunda, y por extensión, del nombre de su fundador – solo pudiera tener explicación a partir de un distanciamiento de los valores promovidos por la figura de García Márquez, quien fuera corresponsal de Prensa Latina, compañero de trayectoria de la Revolución Cubana y entrañable amigo de su líder histórico Fidel Castro.
El investigador británico Michael James Barker, autor de ensayos como The Soros Media Empire. The Power of Philantropy to Enginner Concent (2008) y Under the Mask of Philantropy (2017), declarado admirador de la obra de García Márquez publicó en 2008 el artículo The Democracy Manipulators donde comentaba su decepción al comprobar el camino que se le había dado al proyecto concebido originalmente por el célebre novelista colombiano:
“La FNPI recibió su primer financiamiento de la NED en 2000, cuando obtuvo 75 000 dólares para entrenar periodistas en aspectos técnicos de corresponsalía de guerra, y establecer una red para proteger a los periodistas y la libertad de expresión en Colombia. Al año siguiente obtuvieron otros 72 000 dólares de la NED para continuar este trabajo, y otros 70 000 más para realizar una serie de talleres. (…) La Fundación no oculta su financiamiento proveniente de la NED, y abiertamente la incluye en su página web como aliada para su Proyecto Antonio Nariño, (orientado a la protección del periodismo dedicado al conflicto colombiano), presentado en el 2001. La Fundación incluye en esa lista a Reporteros sin Fronteras, y presenta como “organizaciones asociadas” a la Asociación de Noticias de Derechos de la Infancia, Observatorio da Imprensa, Instituto Prensa y Sociedad, y el International Center for Journalists. He ilustrado en varios artículos como estas dos últimas organizaciones son herramientas de manipulación de la democracia que reciben fondos de la NED” (5).
Hoy varios links en la página web fundaciongabo.org que mostraban algún vínculo con la NED conducen a contenidos retirados de la misma y ofrecen como resultado “Página no encontrada”. Pero el directorio de Aliados Históricos de la Fundación que ofrece la misma web, contiene un extenso listado de colaboradores, que -además de entidades respetables y de reconocimiento internacional- incluye no solo a la embajada de Estados Unidos en Bogotá sino a varias organizaciones y medios digitales cuyos vínculos con la NED y Open Society han sido expuestos y conocidos públicamente. Tal es el caso del foro Distintas Latitudes, el diario digital salvadoreño El Faro, el Centro Knight para el Periodismo en las Américas de la Universidad de Texas at Austin, Committe to Protect Journalists (CPJ), Fundación para la Libertad de Prensa (FLIP), Fundación Konrad Adenauer, Global Forum for Media Development, International Center for Journalists, el Instituto Prensa y Sociedad (IPYS), entre otras…. y no faltaba más, avanzada la lista aparecen las mismas National Endowment for Democracy (NED) y Open Society Foundations.
En el caso del Instituto Prensa y Sociedad (IPYS), es un nombre conocido en nuestro país. La Unión de Periodistas de Cuba (UPEC) denunció en una declaración, respaldada en Twitter por el Presidente Miguel Díaz-Canel, el 12 de octubre de 2019, que esta organización hizo llamadas telefónicas y envió mensajes de texto a varios de sus periodistas miembros para notificarles que habían sido seleccionados para un concurso de crónicas, organizado por dicho Instituto, en el que no habían participado.
La lista de trabajos y periodistas cubanos promovida por la maniobra de IPYS mezclaba deliberadamente nombres de periodistas del sistema de medios públicos con medios de financiamiento estadounidense: “La Unión de Periodistas de Cuba tiene bases políticas y éticas muy claras, caben en su seno múltiples opiniones, pero no comulgamos ni con la NED, ni con la OEA, ni con la Open Society de Soros, funcionales a las estrategias del gobierno de Estados Unidos para asfixiar a nuestro país”. (6)
Según la convocatoria de la Fundación Gabo: “Ninguno de los aliados, asociados y patrocinadores interviene en la reglamentación, convocatoria y manejo del Premio”, y ojalá así fuera.
En cuanto a los trabajos cubanos nominados este año, sus historias y temáticas pudieran perfectamente haber sido abordadas, y debería ser así, por periodistas en alguno de los medios del sistema de prensa pública en Cuba: Uno, la historia de una mujer negra transexual que supera un duro pasado de violencia familiar, discriminación, y marginalidad para lograr realizarse como artista, como persona capaz y útil a la sociedad a pesar de los tremendos obstáculos que tuvo que vencer y convertirse ella misma en activista por los derechos de la comunidad LGBTI, y organizadora de actividades a favor de los niños de una localidad desfavorecida de la capital cubana.
El otro, una exposición sobre el nocivo impacto en la salud que produce en los pobladores de Moa la contaminación ambiental por la extracción industrial del níquel. Realidades profundas de la sociedad cubana que es imprescindible abordar. Ambas demuestran que el llamado “periodismo alternativo” que busca implementar en Cuba el financiamiento estadounidense consiste en tratar de ocupar los vacíos que le permiten temas escasamente tratados por la prensa institucional.
Pero en este caso, la diversidad de complejidades de un país como Cuba, con 11 millones de habitantes, queda bastante reducida ante la visión del certamen periodístico colombiano: El trabajo premiado en 2017 trataba sobre una persona trans negra. El premiado en 2019 sobre un asentamiento poblacional afectado por la contaminación por plomo dejada por industrias que funcionaron en el lugar. Los nominados de este año, nuevamente una historia trans negra, y otra de contaminación ambiental. Definitivamente la selección de trabajos cubanos para ser nominados y premiados, amén de la validez de las historias, ha caído en una monotonía temática. Aunque todavía menos monótona que la recurrente aparición del dinero de la NED y Open Society.
De resultar premiado alguno de los nominados cubanos, este texto pudiera haberse titulado “Crónica de un premio anunciado”. Por lo pronto queda mejor “La NED sí tiene quien le escriba”, y parecería ser, quien lo premie. Por encima de eso nos queda el periodismo que nos legó Gabriel García Márquez, y no perder la esperanza en que una Fundación y un Premio que llevan su nombre logren liberarse de la red en la que se han entrampado y puedan honrar el valor universal de ese legado.
1) Premios Gabo: estos son los 40 nominados de la edición 2020. Infobae. Enero 7, 2021.
2) Premio Gabo es un mazazo en la cara a la prensa en Cuba, dice ganador. Radiotelevisión Martí. Octubre 1, 2017.
3) A quien pueda interesar: Nuestra ruta del dinero. El Estornudo. Mayo 13, 2020.
4) El Estornudo y su Cuba de la calle. La Prensa. Octubre 5, 2017.
5) The Democracy Manipulators. ZNET. Abril 26,2008.
6) Declaración de la Unión de Periodistas de Cuba: Ni la NED, ni Soros, ni la OEA. Granma. Octubre 12, 2019.