Gli USA usano la Guyana per molestare il Venezuela

Andrés Gaudin, Internationalist 360°

Il governo venezuelano è impegnato a difendere la rivendicazione del Paese sulla Striscia di Essequibo. (Stampa presidenziale)

 

Il petrolio è sempre il grande desiderio e le società mappano il terreno per Biden. Una volta che l’attrezzatura militare diretta viene esclusa, inseriscono un cuneo nella vecchia disputa di confine mentre persistono azioni destabilizzanti.

Da quando la nuova Assemblea Legislativa del Venezuela si insediò (5 gennaio) e Joe Biden prese possesso della Casa Bianca (20 gennaio) nel pieno di un tumultuoso tentativo di colpo di Stato, ci furono movimenti di pezzi sullo scacchiere globale. La diplomazia non conta più. La flotta statunitense effettuò nuove manovre con la Guyana su acque sovrane in conflitto col Venezuela (9 gennaio) e la USCGC Stone, nuova stella della IV Flotta, effettuò la sua navigazione inaugurale sulla giurisdizione marittima di diversi Paesi del Sud Atlantico, in entrambi i casi col pretesto di reprimere la pesca illegale.

In questo contesto, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) delle Nazioni Unite si dichiarò competente ad intervenire nella centenaria disputa territoriale tra Guyana e Venezuela in cui non ha nulla a che fare, e la Guyana si unì al gioco degli Stati Uniti e delle suoi grandi compagnie petrolifere per “fabbricare” il conflitto. L’obiettivo è sempre il Venezuela, territorio in cui Biden ha una storia che risale al 2015, quando da vicepresidente di Barack Obama redasse l’insolito decreto che definiva il governo di Nicolás Maduro come “insolita e straordinaria minaccia alla sicurezza” degli Stati Uniti.

Ora forse l’opzione militare per rovesciare il governo di Caracas è stata scartata, ma persistono azioni destabilizzanti, sanzioni economiche, vessazioni diplomatiche, blocco e confisca dei beni venezuelani all’estero. In tale contesto, il Venezuela ha trattenuto due pescherecci della Guyana che operavano nelle sue acque. La sfiducia di Caracas ha le sue ragioni. Dopo che l’ICJ decise di agire nel conflitto tra i vicini sull’Essequibo, territorio di 159500 chilometri quadrati in una zona mineraria e forestale, la Guyana ebbe il sostegno esplicito degli Stati Uniti e della compagnia petrolifera Exxon Mobil, che rese la sua legge aziendale disponibile.

Il movimento dei pescherecci fu abbastanza grottesco ma le onde si placarono non appena il Venezuela rilasciò i lavoratori delle navi, Lady Nayera e Sea Wolf. Per ora le pressioni continuano a puntare allo strangolamento economico, ma in Europa come negli USA ci sono settori che immaginano un dialogo tra il governo venezuelano e l’opposizione venezuelana. Un numero crescente di Paesi non riconosce più lo status di Juan Guaidó come presidente ad interim e l’opposizione continua a sgretolarsi.

Anche Henrique Capriles, due volte candidato alla presidenza, squalificò Guaidó ed elogiò “i Paesi democratici che insistono nella ricerca di una soluzione politica pacifica e negoziata”. Ma le compagnie petrolifere statunitensi. fondamentalmente Exxon Mobil. giocano un gioco diverso. Il motivo è molto semplice: dopo la scoperta di un promettente giacimento petrolifero nelle acque dell’area contesa, la compagnia ha proseguito le sue esplorazioni e non le resta che entrare a pieno titolo nella giurisdizione venezuelana.

Gli Stati Uniti vedono nella radicalizzazione della disputa della sovranità un altro meccanismo di pressione contro il governo Maduro, dopo il fallimento del maldestro tentativo di Trump di intronizzare Guaidó. Biden, col suo ribadito sostegno alla Guyana nell’istanza aperta all’ICJ, sembra scommettere su uno scontro prolungato che rafforzi l’assedio economico e diplomatico imposto a Caracas.

In un’intervista all’agenzia Sputnik, il politologo venezuelano William Serafino notava che alcuna analisi “può perdere di vista il fatto che gli Stati Uniti hanno un preciso interesse geopolitico nell’area, coll’obiettivo di rafforzare la propria presenza nei Caraibi per limitare i movimenti della Cina, potenza orientale che guadagna terreno in investimenti e scambi commerciali”. L’esperto ritiene che gli Stati Uniti definiscano una strategia di provocazione costante e crescente. E disse che ciò fu ratificato dalla recente visita in Guyana del capo del comando meridionale, ammiraglio Craig Faller, allo scopo di rendere praticabili accordi militari, forniture di armi e addestramento alle forze della Guyana. Il portale spagnolo infodefensa rivelava che le esercitazioni militari si conclusero con la firma di un accordo di cooperazione che prevede, nello specifico, la consegna di equipaggiamenti e armamenti per moltiplicare la capacità militare del Paese in caso di emergenza. Per quanto se ne sa, al di là della disputa col Venezuela, che quest’ultimo insiste a risolvere attraverso il dialogo, la Guyana non ha nemici.

Autodeterminazione

Se fosse vero che Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca intriso di nuovo spirito, e voleva dimenticare l’istigazione all’odio di Donald Trump in quattro anni in carica, approvato da 70 milioni di nordamericani e commando paramilitari come quelli che attaccarono il Congresso il 6 gennaio, avrebbe dovuto adottare l’ordine del giorno che non è nei suoi piani immediati. Nessun presidente degli Stati Uniti potrà proclamare che la grande potenza rispetterà l’autodeterminazione dei popoli o smetterà di intervenire nella vita dei Paesi latinoamericani. L’Osservatorio per la chiusura della School of the Americas, entità negli Stati Uniti ed estesa al Sud America, propose un’agenda minima, non basilare, che Biden dovrebbe promuovere se davvero vuole un cambiamento nelle relazioni con la regione. Tra gli altri punti propone: “La fine dell’addestramento militare e di polizia delle truppe latinoamericane presso la famigerata e sinistra School of the Americas, o qualsiasi altra accademia che promuove violenze e guerra; chiusura delle basi piazzate in America Latina, compresa Guantanamo, e ritorno a Cuba del territorio usurpato dal 1903; chiusura di tutte le istituzioni dove si sviluppano armi biologiche, compreso il Centro di ricerca sulle malattie tropicali dell’US Navy in Perù e la sua affiliata nella base militare di Soto Cano in Honduras; la fine della politica dei blocchi, minacce e interventi negli affari di altri Paesi, in particolare il Venezuela, dove le sanzioni economiche sono un crimine di guerra.

Traduzione di Alessandro Lattanzio


Il piano generale USA per Guyana e Caraibi

Arturo Rosales,Internationlist 360°

Riepilogo storico

Tra il 1803 e il 1959 gli Stati Uniti ampliarono il proprio territorio da 13 Stati a 50. Ciò fu ottenuto acquistando ampi tratti di terra come la Louisiana dalla Francia, nel 1803 e l’Alaska dalla Russia zarista nel 1867. Altre espansioni si ebbero con conquiste, come l’annessione (alcuni dicono il furto) di quasi metà del territorio del Messico nella guerra messicano-statunitense del 1848.

L’ultimo Stato ad essere annesso all’unione furono le Hawaii nel 1959 e ci sono spesso voci secondo cui Porto Rico potrebbe un giorno diventare il 51° Stato dell’unione. L’espansionismo statunitense negli USA fu sostenuto dalla Dottrina Monroe del 1823 il cui primo principio è “l’America agli americani”. Intendendo minacciosamente i nordamericani e non i 652 milioni coll’America Latina, e può essere considerato oggi come corollario del destino manifesto degli Stati Uniti tale frase coniata nel 1845, ed è l’idea che gli Stati Uniti sono destinati, da Dio, come i suoi sostenitori credevano, ad espandere il proprio dominio e diffondere democrazia e capitalismo nel continente nordamericano. Nel XX e XXI secolo molte nazioni a sud del Rio Grande fanno anche parte di tale credenza divina, considerando la quantità di interferenze negli affari interni delle nazioni castiglianofone nello stesso emisfero, direttamente o utilizzando il fantoccio OAS per eseguirne i piani.

Questo è il “cortile di casa” degli Stati Uniti e comprende anche molte piccole nazioni dei Caraibi che, solo con immaginazione malata, sarebbero una “minaccia alla sicurezza nazionale” degli Stati Uniti Cuba e Grenada! Una di queste nazioni che non rappresenta una “minaccia” per gli Stati Uniti nella regione è la Repubblica Cooperativa della Guyana sulle coste nord-orientali del Sud America tra Venezuela e Suriname.

La questione della Guyana

C’è una disputa tra Venezuela e quella che era la Guyana britannica dal 1895 sul territorio a ovest del fiume Essequibo rivendicato dal Venezuela, in quanto faceva parte del territorio liberato dall’Impero spagnolo dopo la decisiva battaglia di Carabobo del 24 giugno 1821. La Guyana moderna che ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1966 ereditò la parte orientale grazie ai Paesi Bassi (allora Guyana olandese, ora Suriname) e la parte occidentale dell’Essequibo annessa illegalmente dalla Gran Bretagna durante le guerre di indipendenza contro l’impero spagnolo dal 1811 al 1821. Questa controversia non fu mai risolta in modo soddisfacente con una sentenza in stallo dalla firma dell’Accordo di Ginevra. Questo è un accordo per risolvere la controversia sulla frontiera tra Venezuela e Guyana britannica (ora Repubblica cooperativa della Guyana), meglio noto come Accordo di Ginevra, trattato firmato a Ginevra, in Svizzera, il 17 febbraio 1966. Il primo principio di questo accordo è che le parti dovrebbero uscire soddisfatte da un accordo negoziato. Tuttavia, come si potrebbe sospettare, gli Stati Uniti furono coinvolti indirettamente in questa controversia tramite le azioni di Exxon-Mobil che inviò una piattaforma di perforazione su invito del governo della Guyana, per esplorare petrolio e gas nelle acque contese al largo delle coste di Guyana-Venezuelana nel maggio 2015. Ora la situazione per impedire la legittima rivendicazione del Venezuela della regione di Essequibo è destinata a un’altra svolta in tale lunga saga, poiché i potenti avvocati di New York iniziavano a proporre che la Guyana, che aspettava questo, faccia parte integrante degli Stati Uniti d’America.

Non appaltatori militari ma appaltatori legali

Il sito Guyana-USA è “dedicato all’annessione legale della Guyana negli Stati Uniti e presta particolare attenzione ai vantaggi che affluirebbero a Stati Uniti e Guyana se diventasse territorio o possesso degli Stati Uniti”. Il sito è sponsorizzato dagli uffici legali per l’immigrazione e la nazionalità di Robert Sidi, Esq., avvocato di New York che fomenta la fine della sovranità della Guyana e l’espansione degli interessi associati nell’emisfero. Esiste persino il Comitato per una Guyana statunitense. La Guyana è ricca di minerali, energia, biodiversità e dal punto di vista geopolitico darebbe agli Stati Uniti una testa di ponte nel nord-est del Sud America adiacente a Cuba e al Venezuela. Viene in mente il concetto della base militare come Palmerola Air Base in Honduras. La giustificazione democratica a tale proposta è la seguente: “Più di 350000 guyanesi sono già immigrati negli Stati Uniti. Veramente una massiccia immigrazione. Oltre 100000 guyanesi sono cittadini degli Stati Uniti. Gli altri 250000 possono diventarlo se soddisfano i requisiti legali di naturalizzazione. La stragrande parte di costoro sostiene l’annessione legale della Guyana negli Stati Uniti sotto forma di Commonwealth o territorio degli Stati Uniti, come persona giuridica di nuova creazione conosciuta come Guyana, USA”. Sebbene tale sito sponsorizzato da Robert Sidi affermi di non avere affiliazioni politiche, non serve poiché gli Stati Uniti sono davvero gestiti da aziende, non partiti politici che formano i governi. Ecco perché dopo la sua avventura nel 2015 nelle acque contese della Guyana-Venezuela, Exxon-Mobil è ora ben consolidata a Georgetown con uffici e produzione petrolifera dalla fine del 2019. Non è una domanda stupida chiedere se i soldi della Exxon-Mobil siano dietro tale iniziativa per l’espansione degli Stati Uniti?

I Caraibi prossima tappa?

La Guyana potrebbe essere la prima piccola nazione a cadere sotto l’egemonia degli Stati Uniti, ma esaminando ulteriormente il sito Guyana-USA, ci sono altre sorprese che evidenziano le ambizioni del piano sponsorizzato da Robert Sisi. Non solo fu progettata la nuova bandiera per la Guyana-USA, ma sono progettate e pubblicate altre 27 nuove bandiere nazionali per le piccole nazioni e dipendenze caraibiche, indicando che la Guyana è solo il trampolino di lancio verso il completo dominio degli Stati Uniti del bacino caraibico. Traete le vostre conclusioni, ma certamente sembra che le forze aziendali facciano gli straordinari per espandere gli interessi degli Stati Uniti e recintare completamente il Bacino dei Caraibi come parte geografica legale del leggendario “Back Yard” statunitense.

*Arturo Rosales scrive da Caracas per Axis of Logic.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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