Pedro Castillo: l’uomo del Perù invisibile

di Marco Teruggi – Pagina|12

Il Perù vive ore storiche. Pedro Castillo, un uomo del paese invisibile, rurale, povero, con il sombrero bianco e una leadership in ascesa, potrebbe diventare il prossimo presidente. Lo indicano i numeri che l’Ufficio nazionale dei processi elettorali (Onpe) pubblica ogni mezz’ora e che tutti seguono su radio, televisioni, social network, vedendo come Castillo progressivamente è davanti la sua avversaria, Keiko Fujimori a cui restano poche possibilità di vittoria.

La tendenza sembra difficile da invertire. Fujimori ha affermato lunedì sera che i voti dei residenti all’estero potrebbero “pareggiare” il risultato, e denunciato l’esistenza di “indizi di brogli ai seggi (…) pianificati e sistematici”. L’annuncio della candidata di Fuerza Popular è arrivato quando Castillo l’ha superata di 90.000 voti, con il 94,47% delle schede scrutinate, sia dal Perù che dall’estero.

Non si tratta solo di un’elezione: il risultato dirà non solo chi sarà il prossimo presidente, ma che tipo di modello economico e politico si cercherà di costruire e quali conflitti ci saranno in un Paese in prolungata crisi politica. Castillo, che durante il primo turno elettorale era relegato nella categoria “altri” nei sondaggi elettorali ed era conosciuto principalmente per la sua leadership nello sciopero degli insegnanti del 2017, è emerso come risultato di quella crisi e dei suoi successi.

Il significato dell’elezione è stato chiaro da quando si è appreso che il maestro contadino, candidato del partito Peru Libre, ma senza venire dalla sua struttura, avrebbe affrontato Fujimori. La minaccia percepita dallo status quo peruviano, dai poteri economici, dai media, dai partiti di destra, è stata proporzionale alla campagna di paura, spesso di terrore, messa in campo contro Castillo e quello che significherebbe un governo sotto la sua presidenza.

Lo schieramento contro il candidato di sinistra è stato schiacciante, nel contesto di un paese con una forte concentrazione mediatica nelle mani del gruppo El Comercio e dei media alleati. I principali giornali e televisioni hanno affermato giorno dopo giorno che la sua vittoria avrebbe portato il Paese al comunismo, alla crisi economica, con aumento del dollaro, disoccupazione, furto di risparmi, espropri di massa. Questa minaccia, nel quadro di un paese colpito dalla pandemia e dalla recessione, si è unita a un’altra: i legami che esisterebbero tra Castillo e il terrorismo.

Quest’ultimo ha cercato di attivare le molle di paura, trauma e dolore nella società peruviana, in modo diverso all’interno del Paese rispetto alla capitale, Lima. Castillo è stato ‘terruqueado’, una parola usata nella politica peruviana per accusare qualcuno di ‘terruco’, essere cioè un terrorista o vicino a quello che era Sendero Luminoso. Il dispositivo della paura ha quindi cercato di collegare il candidato presidenziale alla crisi economica e alla violenza, due fantasmi profondi della recente storia peruviana.

La campagna mediatica della paura è stata accompagnata da un processo di costruzione di un’immagine democratica e materna di Keiko Fujimori. Una delle espressioni più simboliche di questa operazione è stato il ruolo che Mario Vargas Llosa ha svolto nel sostenere attivamente Fujimori. Il premio Nobel per la letteratura ha completamente ribaltato la sua posizione trentennale. Nel 2016, ad esempio, quando Keiko Fujimori arrivò al secondo turno e alla fine perse per 40.000 voti contro Pedro Pablo Kuczynski, aveva dichiarato: “Keiko Fujimori è Fujimori, tutto ciò che Fujimori rappresentava è vivo nella candidatura di Keiko Fujimori e sarebbe una grande rivendicazione di una delle dittature più corrotte e sanguinose che abbiamo avuto nella storia del Perù”.

Uno dei momenti culminanti di questa svolta si è verificato durante la cerimonia di chiusura di Fujimori giovedì prima delle elezioni. Lì, tra le ripetizioni del ritornello della campagna “oggi affrontiamo una seria minaccia, dobbiamo vincere contro il comunismo”, Álvaro Vargas Llosa, il figlio di Mario, è salito sul palco per abbracciare Keiko e affermare che “la causa della libertà è oggi Keiko Fujimori”.

La violenza mediatica, così come l’unificazione di attori storicamente opposti, è il riflesso della minaccia percepita di fronte a una possibile vittoria di Castillo, che arriva con una proposta centrale: rifondare la patria attraverso un processo costituente. Il candidato di Peru Libre ha messo sul tavolo la necessità di smantellare la Costituzione redatta nel 1993 sotto Alberto Fujimori e riconquistare la sovranità sulle risorse strategiche minerarie ed energetiche centrali per l’economia peruviana.

La velocità con cui è emersa la sua leadership può essere spiegata dall’esistenza di un profondo malcontento sociale verso l’ordine economico e politico. Uno degli ultimi eventi che hanno evidenziato questa situazione sono state le massicce mobilitazioni di novembre, che si sono verificate prima della destituzione del presidente Martín Vizcarra effettuato dal Congresso, seguita dalla nomina di Manuel Merino a capo dell’Esecutivo. Quest’ultimo è rimasto alla presidenza per cinque giorni fino a quando non si è dimesso a causa dell’entità delle proteste.

Quell’evento ha mostrato tre elementi centrali. In primo luogo la decomposizione politica, partitica, istituzionale, in un Paese dove tutti i presidenti dal 2001 sono accusati di corruzione – come Keiko Fujimori – e prima, Alberto Fujimori, è stato condannato a 25 anni di carcere per crimini contro l’umanità. In secondo luogo, l’entità di una mobilitazione che non si vedeva a Lima dalla ‘marcha de los cuatro suyos’ nel 2000 contro Fujimori. Terzo, la poca organizzazione di chi si è mobilitato, la poca capacità nel Paese di sindacati, partiti e movimenti.

La leadership della persona che attualmente è in testa e potrebbe essere il prossimo presidente emerge da quel contesto politico, e in una situazione di profonda disuguaglianza sociale tra le province e la capitale, e all’interno della stessa Lima, come dimostra, ad esempio, il contrasto nella zona di Miraflores e le colline di Villa María del Triunfo.

La dimensione della posta in gioco potrebbe influenzare i tempi per l’annuncio di un risultato ufficiale. La denuncia di brogli da parte di Fujimori, prevedibile in caso di esito negativo come ha fatto già durante il conteggio, potrebbe influenzare tale processo. Quanto a Castillo, che è a Lima, ha dimostrato di aver mobilitato il sostegno popolare, cosa che potrebbe essere decisiva in caso di braccio di ferro per l’annuncio del risultato finale.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

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