Haiti e Cuba nell’ora della crisi dei Caraibi

Vijay Prashad, Internationalist 360°, 27 luglio 2021

Nel 1963, lo scrittore trinidadiano CLR James pubblicò una seconda edizione del suo classico studio del 1938 sulla rivoluzione haitiana, The Black Jacobins: Toussaint L’Ouverture and the San Domingo Revolution. Per la nuova edizione, James scrisse un’appendice dal titolo suggestivo “Da Toussaint L’Ouverture a Fidel Castro”.

Nella pagina di apertura dell’appendice, colloca le rivoluzioni gemelle di Haiti (1804) e Cuba (1959) nel contesto delle Indie Occidentali: “I popoli che le crearono, i problemi e i tentativi per risolverli, sono particolarmente Indiani occidentali, prodotto di un’origine peculiare e storia peculiare’. Tre volte James usa la parola “peculiare”, che emerge dal latino peculiaris per “proprietà privata” (pecu è la parola latina per “bestiame”, l’essenza della proprietà antica). La proprietà è al centro dell’origine e della storia delle moderne Indie Occidentali. Alla fine del 17° secolo, i conquistadores e i colonialisti europei avevano massacrato gli abitanti delle Indie Occidentali. A St. Kitts nel 1626, colonialisti inglesi e francesi massacrarono due-quattromila caraibici, incluso il capo Tegremond, nel genocidio di Kalinago, descritto da Jean-Baptiste Du Tertrecirca nel 1654. Dopo aver annientato i nativi dell’isola, gli europei portarono uomini e donne africani catturati e ridotti in schiavitù. Ciò che unisce le isole delle Indie occidentali non è la lingua e la cultura, ma la miseria della schiavitù, radicata in un’oppressiva economia delle piantagioni. Sia Haiti che Cuba sono il prodotto di tale “peculiarità”, l’una abbastanza audace da rompere le catene nel 1804, e l’altra in grado di seguirla un secolo e mezzo dopo. Oggi è l’ora della crisi nei Caraibi.

Il 7 luglio, appena fuori dalla capitale di Haiti, Port-au-Prince, degli armati fecero irruzione nella casa del presidente Jovenel Moïse, l’assassinarono a sangue freddo e poi fuggirono. Il Paese, già devastato dagli sconvolgimenti sociali innescati dalle politiche del defunto presidente, è ora sprofondato ancora più profondamente nella crisi. Moïse aveva già esteso con forza il suo mandato presidenziale oltre il mandato mentre il Paese lottava cogli oneri di essere dipendente dalle agenzie internazionali, intrappolato da una crisi economica secolare e colpito duramente dalla pandemia. Le proteste erano all’ordine del giorno in tutta Haiti mentre i prezzi salivano alle stelle e poiché alcun governo efficace veniva in aiuto della popolazione disperata. Ma Moïse non fu ucciso a causa di tale crisi. Forze misteriose erano al lavoro: capi religiosi haitiani negli Stati Uniti, narcotrafficanti e mercenari colombiani. Questa è una saga meglio scritta di un thriller immaginario. Quattro giorni dopo l’assassinio di Moïse, Cuba subì una serie di proteste da chi esprimeva frustrazione per la carenza di merci e il picco di infezioni da COVID-19. Poche ore dopo aver ricevuto la notizia che le proteste erano emerse, il Presidente Miguel Díaz-Canel scese nelle strade di San Antonio de los Baños, a sud dell’Avana, per marciare coi manifestanti. Díaz-Canel e il suo governo ricordavamo agli 11 milioni di cubani che il Paese ha sofferto molto a causa del blocco illegale degli Stati Uniti lungo sei decenni, in preda alle 243 “misure coercitive” aggiuntive di Trump e che combatterà contro i problemi gemelli del COVID-19 e crisi del debito con la sua caratteristica risoluzione. Tuttavia, una esiziale campagna sui social media tentava di utilizzare queste proteste come segno che il governo di Díaz-Canel e la Rivoluzione cubana andavano rovesciati. Fu chiarito pochi giorni dopo che tale campagna era condotta da Miami, in Florida, negli Stati Uniti. Da Washington, DC, i tamburi del cambio di regime rullavano forte. Ma non trovavano eco a Cuba. Cuba ha i suoi ritmi rivoluzionari.

Nel 1804, la Rivoluzione haitiana, ribellione del proletariato delle piantagioni che si scagliò contro le fabbriche agricole che producevano zucchero e profitto, lanciò un bagliore di libertà nel mondo colonizzato. Un secolo e mezzo dopo, i cubani spararono il loro. La risposta a ciascuna di tali rivoluzioni dei magnati fossilizzati di Parigi e Washington è la stessa: soffocare le agitazioni della libertà con indennità e blocchi. Nel 1825, i Francesi chiesero con la forza che gli haitiani pagassero 150 milioni di franchi per la perdita delle proprietà (cioè degli schiavi). Soli, gli haitiani non ebbero altra scelta che pagare, cosa che fecero alla Francia (fino al 1893) e poi agli USA (fino al 1947). Il conto totale dei 122 anni ammontò a 21 miliardi di dollari. Quando il presidente di Haiti Jean-Bertrand Aristide cercà di recuperare quei miliardi dalla Francia nel 2003, fu rimosso con un colpo di Stato. Dopo che gli USA occuparono Cuba nel 1898, gestirono l’isola come il parco giochi dei gangster. Qualsiasi tentativo dei cubani di esercitare sovranità fu schiacciato con una forza terribile, comprese le invasioni statunitensi nel 1906-1909, 1912, 1917-1922 e 1933. Gli USA appoggiarono il generale Fulgencio Batista (1940-1944 e 1952-1959) nonostante la sua brutalità. Dopotutto, Batista proteggeva gli interessi degli USA e le aziende statunitensi possedevano i due terzi dell’industria dello zucchero del Paese e l’intero settore dei servizi. La rivoluzione cubana del 1959 si oppose a tale storia miserabile, storia di schiavitù e dominio imperiale. Come reagirono gli USA? Imponendo un blocco economico al Paese dal 19 ottobre 1960 ad oggi, che ha preso di mira tutto, dall’accesso a forniture mediche, cibo e finanziamenti al blocco delle importazioni cubane e costringendo Paesi terzi a fare lo stesso. È un attacco vendicativo contro un popolo che, come gli haitiani, cerca la propria sovranità. Lo riferiva il Ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez che tra aprile 2019 e dicembre 2020 il governo ha perso 9,1 miliardi di dollari a causa del blocco (436 milioni di dollari al mese). “Ai prezzi attuali”, disse, “i danni accumulati in sei decenni ammontano a oltre 147,8 miliardi di dollari e, in oro ammontano a oltre 1,3 trilioni di dollari”.

Il 17 luglio, decine di migliaia di cubani scesero in piazza per difendere la Rivoluzione e chiedere la fine del blocco USA. Il Presidente Díaz-Canel affermò che la Cuba di “amore, pace, unità, [e] solidarietà” si affermava. (In solidarietà con questa incrollabile affermazione, noi del Tricontinental invitammo a partecipare alla mostra Let Cuba Live lanciata il 26 luglio, anniversario del movimento rivoluzionario che portò a Cuba alla Rivoluzione nel 1959. Artisti e militanti internazionali alla mostra per amplificare la campagna #LetCubaLive per porre fine al blocco).

Poche settimane prima dell’ultimo attacco a Cuba e dell’assassinio ad Haiti, le forze armate USA condussero un’importante esercitazione militare in Guyana chiamata Tradewinds 2021 e un’altra esercitazione a Panama chiamata Panamax 2021. Sotto l’autorità degli USA, un insieme di eserciti europei (Francia, Paesi Bassi e Regno Unito), ciascuno con colonie nella regione, si univano a Brasile e Canada per condurre Tradewinds con sette Paesi caraibici (Bahamas, Belize, Bermuda, Repubblica Dominicana, Guyana, Giamaica e Trinidad e Tobago). In una dimostrazione di forza, gli USA chiesero all’Iran di non inviare le sue navi in Venezuela, prima dell’esercitazione militare sponsorizzata dagli Stati Uniti.

Gli USA sono ansiosi di trasformare i Caraibi nel loro mare, subordinando la sovranità delle isole. È curioso che il primo ministro della Guyana Mark Phillips affermasse che tali manovre degli USA rafforzino il “sistema di sicurezza regionale dei Caraibi”. Quello che fanno, come mostra il nostro recente dossier sulle basi militari nordamericane e francesi in Africa, è subordinare gli Stati dei Caraibi agli interessi nordamericani. Gli USA usano la loro maggiore presenza militare in Colombia e Guyana per aumentare la pressione sul Venezuela.

Il regionalismo sovrano non è estraneo ai Caraibi, che fecero quattro tentativi di costruire una piattaforma regionale: Federazione delle Indie occidentali (1958-1962), Caribbean Free Trade Association (1965-1973), Comunità caraibica (1973-1989) e CARICOM (dal 1989). Quella che era iniziata come unione antimperialista si è trasformata in un’associazione che tenta di integrare la regione nel commercio mondiale. La politica dei Caraibi è sempre più trascinata nell’orbita degli Stati Uniti. Nel 2010, gli Stati Uniti crearono la Caribbean Basin Security Initiative, la cui agenda è plasmata da Washington. Nel 2011, il nostro vecchio amico Shridath Ramphal, Ministro degli Esteri della Guyana dal 1972 al 1975, ripeté le parole del grande radicale frenadiano T. A. Marryshow: “Le Indie Occidentali devono essere delle Indie Occidentali”. Nel suo articolo “Is West Indies West Indian?”, insisteva sul fatto che l’ortografia consapevole di “The West Indies” con una “T” maiuscola mira a significare l’unità della regione. Senza unità, le vecchie pressioni imperialiste prevarranno come spesso avviene. Nel 1975, la poetessa cubana Nancy Morejón pubblicò la storica poesia Mujer Negra. Il poema si apre con la terribile tratta degli esseri umani da parte dei colonialisti europei, tocca la guerra d’indipendenza e poi si concentra sulla rivoluzione cubana del 1959:

Sono scesa dalla Sierra
per porre fine al capitale e all’usuraio,
ai generali e alla borghesia.
Adesso esisto: solo oggi possediamo, creiamo.
Niente ci è estraneo.
La terra è nostra.
Nostri sono il mare e il cielo,
la magia e la visione. Fratelli miei, qui vi vedo danzare
intorno all’albero che stiamo piantando per il comunismo.
Il suo legno prodigioso già risuona.

La terra è nostra. La sovranità è anche nostra. Il nostro destino non è vivere da subordinati ad altri. Questo è il messaggio di Morejón e del popolo cubano che costruisce la propria vita sovrana, ed è il messaggio del popolo haitiano che vuole attuare la sua grande Rivoluzione del 1804.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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