Le Nuove Relazioni Internazionali dell’America Latina

Kawsachun News, Internationalist 360°, 30 agosto 2021

Abbiamo parlato con il ministro degli Esteri boliviano Rogelio Mayta che guida l’incarico per un processo democratico d’integrazione regionale. Il Paese alza la voce contro Luis Almagro, capo dell’Organizzazione degli Stati americani, sia per il suo ruolo nel golpe del 2019, sia per le sue più azioni politiche, in nome degli Stati Uniti, negli affari interni degli Stati membri.

Grazie Ministro per il suo tempo, qual è stata la risposta degli altri quando la Bolivia critica Luis Almagro e la direzione in cui ha spinto l’OSA?
Nelle Americhe, stiamo tutti riflettendo sul ruolo dell’OSA e penso che ci siano due risposte principali, due livelli in cui questa riflessione avviene. In primo luogo, c’è chi crede che l’OSA va nella direzione sbagliata perché la leadership di Luis Almagro non facilita l’integrazione dei nostri Paesi, ma invece li divide mettendoli gli uni contro gli altri. Per quei Paesi, la rimozione di Almagro è una soluzione da esaminare. Tuttavia, ci sono quelli che critica più profondamente e che riflettono sull’utilità o meno dell’OSA. Possiamo vedere come l’OSA, piuttosto che essere un forum per riunire diversi Paesi, sia un’arma degli interessi di pochi. Possiamo vedere come l’OSA, piuttosto che essere un’istituzione che avvantaggia i membri, li metta di fatto a grande rischio. Vediamo le circostanze in cui fu fondata l’OSA, alla fine degli anni ’40, un periodo in cui il potere degli Stati Uniti era in ascesa, usandolo per forgiare questa istituzione secondo i propri disegni. Per promuoverlo usarono narrazioni sull’integrazione regionale, ma in realtà è un meccanismo di un Paese, gli Stati Uniti, per promuovere i propri interessi nella nostra regione. L’OSA ha sempre giocato un ruolo nel proteggere le dittature di destra utili agli interessi degli Stati Uniti, accogliendole, ma Cuba è esclusa per i “diritti umani”. Tale approccio è continuato conAlmagro. Quando ci sono proteste sociali brutalmente represse in un Paese alleato, come successo di recente in Colombia, è considerato un bene e nulla viene intrapreso parlando della necessità di difendere l’istituzionalità e il governo esistente. Tuttavia, se ci sono proteste in Venezuela, improvvisamente tutti i manifestanti hanno assolutamente ragione e i loro diritti sono violati. È l’OSA che vogliamo? Perché è l’OSA che abbiamo ed è l’OSA che continuiamo ad avere, quindi pensiamo di poter, se vogliamo, rifondarla. Questo è il dibattito, ed è necessario in questi tempi di cambiamento perché in questi tempi si costruisce un nuovo ordine globale, quindi dobbiamo pensare se tali vecchie istituzioni siano adatte ai nuovi tempi.

Quali sono alcune delle proposte promettenti per alternative all’OSA?
Abbiamo avuto molte alternative all’OSA, abbiamo avuto l’UNASUR che era un meccanismo incredibilmente importante ma che fu sabotato dalla destra. Ora presentiamo la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC), il processo è complesso ma ci avviamo con molto entusiasmo. È nato solo come forum politico, ma in questi tempi nuovi assume un taglio molto più interessante e ripensiamo al suo ruolo di istituzione, iniziando a lavorare per affrontare problemi concreti e soluzioni concrete. Ad esempio, nella pandemia, l’OSA è stata inutile, la sue linea è ognun per sé, ma nella CELAC abbiamo lavorato a una risposta regionale rafforzando la capacità di produrre i nostri vaccini ed attrezzature mediche. Sulla questione della tecnologia e spazio, l’America Latina non vuole rimanere indietro, quindi attraverso la CELAC costruiamo l’Agenzia spaziale latinoamericana e caraibica, condividendo risorse, conoscenze ed esperienze, articoliamo un accordo su questo. Senza fanfara o discorsi verbosi, il CELAC si afferma e, si spera in futuro, sia l’arena di cui abbiamo bisogno. Speriamo anche che possa essere uno spazio per la comunicazione equa tra i Paesi perché l’OSA è costruito solo dagli Stati Uniti. Speriamo che la CELAC possa essere luogo per parlare e affrontare la superpotenza che abbiamo a nord, gli Stati Uniti, su un piano di parità.

In quale Stato ha trovato il Ministero degli Esteri quando ha ottenuto la carica dopo il golpe? Come ha trovato il recupero dell’ufficio come istituzione per la Bolivia piuttosto che per altri interessi?
Riprendere il Ministero degli Esteri affinché serva il Paese è stato un processo graduale, in primo luogo perché il golpe ha distrutto i nostri buoni rapporti con numerosi Paesi e ora abbiamo dovuto riprenderli, come con Argentina e Messico. In alcuni casi, ci sono stati Paesi i cui diplomatici furono aggrediti e minacciati. Abbiamo ricostruito il nostro rapporto con Cuba, questo è molto importante. Abbiamo anche lavorato per ripristinare ottimi rapporti con paesi come Russia e Cina, rapporti che furono congelati dal governo golpista. Ricostruire queste relazioni ci ha aiutato enormemente in particolare durante la pandemia perché sono quei Paesi che riforniscono il mondo di attrezzature mediche e vaccini. Siamo anche profondamente consapevoli che il mondo non è più unipolare, non c’è più un solo egemone, ora ci sono diversi poli di potere e vogliamo buoni rapporti con essi. Vogliamo anche un buon rapporto, se possibile, cogli Stati Uniti. Le relazioni cogli Stati Uniti sono complicate per i Paesi della regione perché sono una potenza che cerca la subordinazione per prendere il controllo delle risorse naturali. La Bolivia ha con essi un rapporto ragionevole, non stretto. Per quanto riguarda il ministero, beh, vi siamo entrati che non aveva voce e presenza a livello internazionale. Il suo unico “risultato” che Añez propagandò fu aver ottenuto qualche minuto di telefonate con Donald Trump. La Bolivia è scomparsa dalle organizzazioni multilaterali. Ora riprendiamo il nostro posto nella comunità internazionale, CELAC, MERCOSUR, ONU e altri.

Come vede la situazione politica nella regione? Ci sono segnali positivi per la proposta del rafforzamento della sovranità?
Questi sono tempi favorevoli. Questo processo di de-globalizzazione e la fine di vari miti neoliberisti hanno dato un’apertura ai movimenti sociali nel nostro continente, movimenti con forte coscienza nazionale, che vengono dal basso e che combattono per gli interessi del popolo. Sono movimenti saldamente di sinistra, un fattore che accomuna i movimenti oltre confine. Tuttavia, quando i processi d’integrazione si svolgono esclusivamente sulla base di un’ideologia condivisa tra i governi, allora possono essere indeboliti se un governo con visione diversa interviene e interrompendo il processo, quindi l’integrazione va basata su interessi e questioni condivisi e concreti. Ad esempio, l’UE si basava originariamente su un’alleanza su carbone e acciaio, due domande concrete che furono la base per l’Europa per visionare passo dopo passo la propria particolare visione. Possiamo imparare da queste esperienze, ma ciò non cambia il fatto che in America Latina questi sono tempi di governi progressisti, la cui visione avanza in posti nuovi come Perù, Cile, Brasile, e possiamo vedere tutto questo ogni giorno , c’è una chiara forza dietro i movimenti in America Latina e Caraibi.

Grazie Ministro per il suo tempo.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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