Come si chiama l’opera?

Meme di La Ciberclaria.

Si alza il sipario.  Un drammaturgo crea un grupo in Facebook e lì comincia ad articolare un «movimento». Il fine? Convocare una marcia «lecita e pacifica» per protestare per cose molto nobili e profonde, come la libertà, la giustizia, la prosperità…

Guadagna molti adepti nelle reti  sociali. La gente comincia a condividere le sue pubblicazioni, comincia ad avere molti likes, si parla di lui.

Già leader del «movimento», fa la sua «giocata maestra»: chiedere l’autorizzazione alle decisioni perché permettano la marcia. Forse chiedere non è il termine migliore, è meglio esigere. È una situazione di vincere-vincere che il governo la permetta o meno. Non c’è sconfitta possibile.

Cala il sipario, si apre di nuovo.

Gli intendenti di ogni municipio dov’è stato chiesto il permesso per la manifestazione che si progettava in tutto il paese, rifiutano di rilasciarlo.

La marcia nascondeva alcuni fini non tanto nobili: pretendevano d’utilizzarla come piattaforma di cambio per trasformare il sistema secondo i loro interessi. Invocavano insomma un diritto regolato nella Costituzione per andare contro la Costituzione, contro  lo status quo socialista avallato nell’ordine giuridico vigente  E poi c’erano le compagnie.

Risulta che il gruppo creato dal drammaturgo aveva alleanze con altri «movimenti» che apertamente incitavano al ritorno capitalista e anche per l’intervento militare in Cuba.  Certo che «l’artista leader» negava tutto questo: loro ringraziavano per l’appoggio di chiunque senza alcun impegno.

Cala il sipario, si apre di nuovo.

Il Governo cubano contrattacca. Il primo colpo devastante avviene con la rivelazione di una telefonata tra il drammaturgo e un noto terrorista radicado a Miami. L’artista nega che quella era una relazione seria.

E arriva il secondo colpo: uno di quelli che aveva partecipato con il drammaturgo a un seminario di formazione per «leaders della transizione  democratica in Cuba» è risultato un agente della Sicurezza di Stato.

Al terzo colpo, il «movimento» dopo la marcia «lecita e pacifica» vacilla come un pugile al punto di un ko: si mostrano prove nella televisione nazionale del finanziamento dall’estero con rimesse o ricariche di saldo.

L’«artista leader» aveva molte madrine e lo consentivano.

Cala il sipario, si apre di nuovo.

Il drammaturgo già non vuole più marciare. Ora dice che camminerà solo, per un paio d’isolati, con un fiore nella mano.

Alla fine non esce perchè secondo lui la polizia glielo impedisce.

«La mi casa è bloccata (SIC)», scrive in un cartello che pone alla finestra. Senza dubbio un corrispondente straniero si avvicina a casa sua nel giorno convenuto per la marcia «lecita e pacifica». La suocera dell’artista  informa che il leader del «movimento» dorme, che non uscirà, è molto stanco.

I suoi accoliti disperati convocano a un «cacerolazo», a un applauso simultaneo, a vestirsi di bianco: nessuna iniziativa ha successo. Il «movimento» non ha popolo.

Cala il sipario, si apre di nuovo.

Il drammaturgo è morto, dicono alcuni.  Sequestrato, dicono altri.

La dittatura lo ha fatto sparire.  «Assassini! Repressori!  Vogliamo il nostro leader vivo!».

E lo scomparso appare. È in Spagna, sano e salvo, con le sue idee «intatte», a prudente distanza dal paese che pretendeva conquistare con una «potente azione civica».  I suoi seguaci non sanno cosa dire: alcuni non credono nemmeno alla notizia.

I suoi colleghi dell’affare contro il governo lo attaccano per farlo apparire male. È un cadavere politico quello che percorre l’Europa.
Dietro le quinte  i padroni dell’affare cominciano a pianificare un nuovo casting.

Serve un altro leader. Se è artista, meglio.

Cala il sipario. Come si chiama l’opera?

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