Articoli sulla figura di Fidel Castro

Chi semina luce e futuro non muore mai

 

Chi dice che è morto? Cinque anni dopo la sua partenza -solo fisica- verso l’eternità, egli rimane scolpito nella memoria dei popoli riconoscenti del mondo. Egli rinasce in ogni battaglia quotidiana che difende la pace, la conservazione del pianeta e il progresso della scienza per il benessere comune.

Il tempo infinito di Fidel

 

Ci sono fuochi che non si spengono mai. E ci sono verità che non hanno bisogno di essere evocate. Ecco perché ogni volta che una vittoria suscita le emozioni di quest’isola, c’è lui, vivo che rende la sua presenza immortale ancora più grande.

Ogni volta che una nuova sfida ci invita a reinventarci di fronte a tanti ostacoli imperiali, lui è lì, un torrente di azione e di pensiero per ricordarci che il lavoro non è perfetto, ma autentico, e soprattutto nostro.

Ogni volta che una campagna d’odio cerca di eclissare il nostro orizzonte, eccolo lì, vestito di verde oliva, con il suo gilet morale e la sua barba ribelle per avvertirci dei maggiori pericoli che vengono con la parola “interferenza”.

È il nostro Fidel, lo sappiamo tutti. E se lo sentiamo ancora presente, è perché non c’è stato un addio definitivo in quei giorni plumbei in cui un paese intero ha invaso marciapiedi, strade e vie per abbracciarlo, per l’ultima volta. Nel suo energico passaggio dall’Avana a Santiago de Cuba, ci ha confermato che “tutta la gloria del mondo sta in un chicco di mais“.

Chi dice che è morto? Cinque anni dopo la sua partenza -solo fisica- verso l’eternità, egli rimane scolpito nella memoria dei popoli riconoscenti del mondo. Rinasce in ogni battaglia quotidiana che difende la pace, la conservazione del pianeta e il progresso della scienza per il bene comune. Palpita, con il suo esempio collaudato, nella cultura che non si vende né si spegne. Continua, semplicemente, a fare la storia.

Altri lo hanno visto nella felicità dei bambini che sono tornati nelle loro classi, nel risultato di tre dosi salvavita di fronte a un’enorme pandemia e negli sforzi commoventi di medici, scienziati, insegnanti, lavoratori e studenti.

L’hanno visto pure nella necessaria trasformazione intrapresa nei quartieri poveri, nel volo libero di una colomba, nel pugno vincente di un pugile “senza padrone”, negli accordi di una canzone poetica… e nella resistenza stoica di una nazione.

La sua eredità – come ha detto Abel Prieto, presidente della Casa de las Américas – appartiene al presente, al futuro; “abbiamo bisogno di lui come dell’ossigeno perché in Fidel ci sono sempre risposte folgoranti, illuminate su ciò che sta accadendo e può accadere“.

Tale certezza è stata un colpo diretto al mento di coloro che, dal nord, hanno cercato di promuovere sulle reti sociali, ciò che non sono mai stati in grado di conquistare sul terreno. La prova: un 11 luglio che non si è concluso con l’esplosione sociale che sognavano, e un 15 novembre con una messa in scena, senza marcia e senza applausi.

È così che gli schiavi del denaro vanno di fallimento in fallimento, mentre l’impronta di Fidel brilla in coloro che preferiscono amare e fondare, in coloro che non hanno paura di nessuna tempesta, in coloro che non si scoraggiano, e in coloro che sostengono cambiamenti interni, sì, ma nati dallo sforzo collettivo e non da un servilismo a buon mercato senza patria e senza bandiera.

Questa è la forza morale di un leader che ispira sempre, l’inesauribile eredità intellettuale di un “uomo insolito” che è diventato un seme fertile nella mente di milioni di persone, la leggenda vivente di un gigante che, in realtà, non ha bisogno di altri qualificativi che il suo stesso nome, Fidel.

Sotto la protezione della sua straordinaria esistenza, la Rivoluzione Cubana avrà sempre una bandiera di luce e decoro che non possiamo lasciar cadere. Non per niente il nostro Primo Segretario e Presidente Miguel Díaz-Canel Bermúdez, ci ha esortato a “(…) pensare a Fidel, alle sue idee, alla sua imponente, feconda e indispensabile eredità, come un modo per alimentare quel sentimento genuino di perpetuare per sempre la sua presenza tra noi“.

Fidel Castro, l’ultimo cavaliere del XX secolo

 

Entravamo nel tunnel oscuro e incerto degli anni ’90 del secolo scorso e si parlava esclusivamente dell’ineluttabile destino di Cuba che, secondo i teorici della fine della Storia, non sarebbe sopravvissuta al collasso socialista dell’URSS e dell’Est Europa.

Cronisti interessati a decifrare il mistero della resistenza dell’isola provenivano da ogni parte del mondo. I più seri. Gli altri volevano solo foto degli edifici distrutti e della povertà materiale che avanzava, spaventando più loro che tutti noi, anche se la storia era condita da testimonianze ‘creole’ sull’impatto delle carenze.

A due anni dall’inizio del decennio, fu firmata la Legge Torricelli e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite iniziò ad approvare condanne del blocco con le sue risoluzioni non vincolanti, che per quanto ne sappiamo restano inefficaci: agli Stati Uniti non importa se gli altri governi sono d’accordo con le loro politiche.

Fu in quegli anni che lessi una cronaca di cui non dimentico il titolo: “Fidel Castro: l’ultimo cavaliere del Novecento“. Così l’autore definiva il Leader della Rivoluzione Cubana, apprezzando le sue maniere raffinate e il modo in cui affrontava e rispondeva ai suoi più grandi critici (che erano quasi tutti i politici dell’epoca), senza mai cadere in volgarità o denigrazioni.

Una notte di settembre del 1990 visitò la redazione di Juventud Rebelde per spiegarci che ci sarebbe stato un forte taglio nella stampa cartacea. La carta diventava enormemente costosa e le priorità erano indiscutibili: il latte, per esempio. Non inviò emissari, tantomeno lettere su carta intestata. Si sedette per spiegare cosa stava per succedere: nel nostro caso la trasformazione da quotidiano a settimanale con metà delle pagine e tirature minori.

Non lo ricordo turbato o triste. Ci raccomandò di inviare il personale in eccesso ai media audiovisivi e di non licenziarli. Avrebbero continuato a essere pagati da JR perché un giorno, non troppo lontano, sarebbero tornati nella redazione centrale per riprendere le dinamiche del giornale.

“Se resistiamo cinque anni, siamo fuori. Cinque anni…”, ricordo che disse. Il giornale deve ancora conservare la busta gialla su cui disegnò gli schizzi dei progetti per il Parque Metropolitano e altri programmi che lo incoraggiavano a pensare con un ottimismo che mancava agli altri.

Sono centinaia le foto della sua intensa attività in quegli anni. Ci sono stati giorni di tre o più discorsi o interventi da parte sua, esplicativi e stimolanti. Divenne un assiduo frequentatore di Blas Roca, dei campi agricoli con persone mobilitate, dei terrapieni, dei centri scientifici, degli hotel in costruzione per il turismo internazionale. Niente è più iconico di una sua immagine mentre condivide il pranzo in vassoio con un gruppo di persone mobilitate nell’allora molto popolare Paraíso (campo) dell’UJC.

Ha girato quartieri, luoghi di lavoro e cantieri, chiedendo e rispondendo. Tutta Cuba era la sua truppa. E con le sue truppe discuteva gli argomenti più dissimili, includendo sempre una domanda su ciò che stavamo leggendo.

Poneva in risalto le donne, non accettava lo scherno professionale, e pose immediatamente fine a qualsiasi tentativo di minare pubblicamente il lavoro di qualcuno assente. E nelle sue conversazioni c’era spazio per un muratore così come per un famoso intellettuale o artista. Con un’attenzione particolare per donne, anziani e bambini.

L’ho visto una volta cucinare per i dirigenti della FEU, dopo un intenso Consiglio Nazionale. Controllava che gli spaghetti fossero al dente e toglieva i coltelli dai tavoli per non essere tentati dal tagliarli. Per spiegare perché, andava tavolo per tavolo, come un padre o un nonno che si ostina a trasmettere buone maniere.

Sì, Fidel Castro Ruz era un vero gentiluomo. Cavaliere nel senso più rispettabile del termine. La verità prima di tutto. E sapeva dirla nel modo meno duro possibile, a meno che non si riferisse all’avversario storico della nazione cubana. Quelli, li accusava senza tregua e senza paura. Con le parole più censurabili e nei termini più duri. Nello stile di quel cubano di Nuez che dice ai “signori imperialisti (che) non abbiamo assolutamente nessuna paura”.

Era oltraggiato dalle bugie e dalla vanità, dalla codardia e dal vassallaggio. Lo sanno bene tutti i messaggeri dell’impero che hanno cercato di trascinare Cuba nell’onda neoliberista che negli anni ’90 avrebbe devastato l’America Latina, aggravando le disuguaglianze sociali.

Dopo aver partecipato come giornalista a due Vertici Iberoamericani in cui il protagonista era Fidel (Madrid 92 e Salvador de Bahía 93), ho capito meglio perché quel giornalista europeo che in quel periodo visitò Cuba descrisse Fidel come l’ultimo gentiluomo.

Diversi capi di Stato e di governo della regione hanno agito come semplici “staffette” della vecchia metropoli e del nuovo impero, dando raccomandazioni a Cuba. Fidel, senza clamore, ma con fermezza, ha parlato loro di coraggio, impegno ed etica rivoluzionaria. Non potevano capirlo.

Il 20° secolo è passato, siamo entrati nel 21°, quasi tutte le previsioni e gli avvertimenti di Fidel si sono avverati o si stanno avverando. Ha lasciato questo mondo politicamente e moralmente invitto, ma non sarà l’ultimo cavaliere, purché la sua arte di fare politica sia apprezzata e presa come una delle eredità fondamentali di Fidel.

Fonte: CUBADEBATE

Traduzione: l’AntiDiplomatico


Cuba, Fidel e la sua presenza

Resumen latinoamericano, 25 novembre 2021

Un essere umano eccezionale che ha “viaggiato” nel futuro e ci ha detto cosa sarebbe successo in modo che potessimo prepararci o risolverlo. Una persona insostituibile. Un uomo in anticipo sui tempi. Che privilegio essere contemporanei di questo grande uomo e che fortuna che il popolo cubano l’abbia avuto rappresentante del proprio Paese.

Fidel Castro è stato lo statista latinoamericano che diede dignità a tutta la nostra regione, cessando di essere un “cortile di casa” di un altro Paese per essere il subcontinente riconosciuto come attualmente la parte del pianeta che non smette di lottare per i propri diritti e dove può essere visto resistere. Immaginate l’America Latina senza Cuba rivoluzionaria, come se fosse uno degli altri paesetti che ci circondano. Basta immaginare l’assenza di Cuba rivoluzionaria per dimostrare l’importanza della Rivoluzione cubana nella regione. E il “cattivo” esempio che rappresenta per il capitale. Ecco perché l’impero mantiene il blocco, perché non può permettere che un Paese sovrano e “il primo territorio libero d’America” crescano, raggiungano livelli ancora più alti di sviluppo umano. Sarebbe il fallimento del capitalismo, la dimostrazione completa che un altro mondo è davvero possibile. Qui e ora.

José Martí, altro genio, sognava l’indipendenza, l’autonomia e la sovranità di Cuba. Fidel ha costruito, ha realizzato il sogno di Martí e del popolo. In altre parole, non fu solo un’utopia e mostrò che era possibile, insieme al popolo cubano. Per tutto questo abbiamo un enorme debito di gratitudine verso Fidel e il popolo cubano. Entrambi ci hanno mostrato che sì può! La resistenza e l’eroismo del popolo cubano sono impressionanti! Ci mostrano giorno per giorno, coi sacrifici che devono affrontare a causa delle pressioni estere, che la loro libertà non è in vendita, che il Paese non si negozia. Gran parte di questa resistenza è dovuta agli insegnamenti di questi leader: Martí e Fidel. Gli dobbiamo molto. Ma oggi il ricordo e l’omaggio sono per il Comandante in Capo che ci ha lasciato fisicamente il 25 novembre per passare alla storia. La stessa storia che aveva previsto l’avrebbe assolto dopo l’arresto per l’assalto di Moncada. Il tentativo di linciaggio si trasformò in vittoria del Movimento del 26 luglio.

Le parole già dette su Fidel non bastano a dimostrarne la sua grandezza di statista che ha trasformato la mappa del mondo e la geopolitica mondiale; la personalità del secolo, soprattutto per aver mantenuto coerenza, umiltà, umanità e trasparenza. La sua onestà coi compatrioti è un emblema del perché queste persone l’amano così tanto. Fidel è più di una persona. È una sensazione. Un sentimento di solidarietà, umanità, internazionalismo che non si vede in altri luoghi o governi. L’eredità che lascia non si divide, si moltiplica per tutti. La storia l’ha assolto. E gli ha concesso l’eternità.

GRAZIE, FIDEL.

Traduzione di Alessandro Lattanzio


Fidel è Cuba, Cuba è Fidel

 

Il Comandante, il Capo, il Cavallo, il Caguairán: ci riferiamo così a chi non concepiva la sconfitta mentre aveva la possibilità di lottare, che ci ha insegnato a resistere e soprattutto ci ha insegnato a vincere.

Dalle sue lotte nell’Università de L’Avana e sino all’ultimo respiro, Fidel si caratterizzò per dire quello che pensava e fare quello che diceva; l’8 gennaio del 1959 aveva segnalato, nello storico discorso pronunciato nell’accampamento Columbia: «So inoltre che mai più nelle nostre vite vrdremo di nuovo una folla simile, eccetto che in un’altra occasione (…) che sarà il giorno in cui moriremo, perche noi (…) non defrauderemo mai il nostro popolo!»

E quelle folle si riunirono di nuovo in tutta Cuba per accommiatarsi e rendere omaggio al loro leader nel momento della sua partenza fisica, perchè Fidel non ha mai tradito la fiducia del suo popolo.

Prima di morire aveva dettato la sue ultima volontà: non voleva né strade né monumenti con il suo nome, tutta una lezione di vita e un’espressione della qualità più straordinaria che può avere in sè un rivoluzionario: la semplicità in cui riposa la vera grandezza.

Mesi prima, il 19 aprile, aveva offerto il suo ultimo intervento pubblico nel 7º Congresso del Partito, parole che ancora oggi ci fanno fremere leggendole o ascoltandole.

Fu una specie di commiato, ma nulla di luttuoso; un nuovo squillo al combattimento carico di spirito di vittoria.

«Presto dovrò compiere 90 anni, e non mi era mai passata per la mente questa idea, e non è stato frutto di uno sforzo ma il capriccio del caso.

Presto sarò già come tutti gli altri. A tutti giungerà il nostro turno ma resteranno le idee dei comunisti cubani come prova che in questo pianeta, se si lavora con fervore e dignità si possono produrre i beni materiali e culturali che gli esseri umani necessitano, e dobbiamo lottare senza tregua per ottenerli.

Ai nostri fratelli dell’America Latina e del mondo dobbiamo trasmettere che il popolo cubano vincerà (…).

«Intraprenderemo la marcia e perfezioneremo quello che dovremo perfezionare con chiara lealtà e la forza unita, come Martí, Maceo e Gómez, in una marcia inarrestabile.

Fidel era così, un combattente instancabile del pensiero e nell’azione, disposto a dedicare tutta la sua esistenza alla causa degli umili di questo mondo e all’emancipazione umana da tutte le dominazioni e le discriminazioni possibili.

Martiano sino al midollo assunse il marxismo e il leninismo da questa profonda radice cubanissima e l’arricchì da una pratica politica originale e anti dogmatica. Divenne un guerrigliero anche in questo campo.

Fu uno statista politico di taglia universale, ma anche un essere con un’enorme sensibilità umana.

Valutava sempre la singolarità di ogni essere umano, con i suoi difetti e le virtù, ma potenziando sempre queste ultime in funzione della Rivoluzione.

Seppe essere etico anche con l’avversario, dalle sue lotte nella Sierra Maestra, e non concepiva la politica senza etica.

Fidel è stato inoltre il massimo fomentatore della solidarietà e dell’internazionalismo cubani, con una visione sempre chiara che la solidarietà non solo aiuta e libera chi la riceve, ma anche – e in molte occasioni anche di più – aiuta quello che la offre.

Non è casuale che in uno dei suoi brillanti discorsi aveva segnalato che : «La libertà si conquista con la solidarietà».

Ha collocato Cuba nella mappa mondiale e nello stesso tempo con la sua guida ha contribuito a modificare a favore dell’indipendenza e delle idee progressiste, la geografia di altre importanti regioni del mondo.

La sua capacità di tessere con pazienza e sapienza l’unità delle forze rivoluzionarie prima e dopo il trionfo, dal cui frutto è nato il nostro glorioso Partito Comunista di Cuba.

Fidel si ribellò e praticò l’eresia di fronte all’imperialismo, ma anche di fronte agli impossibili, i dogmi, le verità stabilite e il disfattismo.

Irradiava fiducia e ottimismo nella vittoria. Più difficili erano le circostanze, più ferrea si mostrava la sua volontà di lotta. Sapeva trasformare una sconfitta in una vittoria e l’impossibile in infinite possibilità.

Il senso dell’onore, il patriottismo e i rispetto dei principi per lui erano questione di vita o di morte.

Concepiva il socialismo come la scienza dell’esempio personale.

Sapeva affrontare ogni congiuntura con flessibilità tattica, ma senza perdere la rotta verso il destino strategico

Manegg9va tutti i temi e le situazioni considerando anche il minimo dettaglio.

È stato senza dubbio un maestro anche nell’arte di fare politica.

Il Comandante, il Capo, il Cavallo, il Caguairán: ci riferiamo così a chi non concepiva la sconfitta mentre aveva la possibilità di lottare, che ci ha insegnato a resistere e soprattutto ci ha insegnato a vincere.

Tutto questo e anche di più è il legato di Fidel e da lì possiamo spiegarci perchè è quasi impossibile parlare di Cuba oggi senza parlare di Fidel, com’è impossibile incontrare alcuna sfera della vita interna e della proiezione internazionale dell’Isola grande delle Antille nella quale non ci sia l’impronta di Fidel.

Come ha detto il più fidelista dei cubani, il Generale d’Esercito Raúl Castro, dal 1959: «Fidel è in ogni posto dove si lavora; Fidel è spiritualmente in ogni posto dove avanza la Rivoluzione .

Fidel è in ogni luogo dove si distrugge un intrigo, dove un cubano lavora onestamente, dove uno qualsiasi sta facendo il bene; e in qualsiasi posto dove un cubano qualunque sta difendendo la Rivoluzione, lì ci sarà Fidel».

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