Venezuela. Come liberare le forze produttive in uno schema di economia di guerra

Geraldina Colotti

È noto che, nei confronti del Venezuela bolivariano, è compito della guerra mediatica, che accompagna la guerra economico-finanziaria decisa dall’imperialismo, distorcere o nascondere i risultati positivi.

Lo abbiamo visto per quanto riguarda la lotta al covid-19: per non ammettere il successo delle politiche sanitarie in un paese che deve sempre essere definito “fallito”, il Venezuela è sparito dalle statistiche internazionali oppure, se citato, è sempre stato preceduto dall’avvertimento circa la falsificazione dei dati forniti. Tanto che, chi rientra in Italia dall’Argentina, dove le percentuali di decessi sono in aumento, deve rimanere in quarantena solo per 5 giorni. Se torna dal Venezuela, che è riuscito a raggiungere uno dei tassi di contagi e decessi più bassi della regione, dovrà sottoporsi a una quarantena di 10 giorni.

Tuttavia, anche i peggiori critici hanno dovuto registrare dati positivi relativi alla ripresa dell’economia, al contenimento dell’iperinflazione e agli indicatori della produzione nazionale. Certo, se prima quei detrattori attribuivano la crisi economica all'”incapacità di Maduro” e al “fallimento” del socialismo, ora non si spingono fino ad ammettere che i risultati positivi siano il prodotto delle scelte di politica economica del presidente e del suo governo. Ciò nonostante, è chiaro che, senza strangolare l’attività produttiva interna, né applicare la ricetta del Fondo Monetario Internazionale, il governo bolivariano è riuscito ad abbassare il tasso di inflazione per il quarto mese consecutivo alla fine del 2021. Secondo la Banca Centrale (BCV), il livello dell’inflazione nel 2021 si è attestato al 686%, con picchi mensili inferiori al 50%, che indicano un’uscita dall’iper-inflazione.

Il primo indicatore positivo si riferisce alla situazione economica delle classi popolari. “Siamo riusciti – ha detto il presidente Maduro nel suo messaggio annuale al Parlamento, il 15 gennaio scorso – a ridurre la povertà dal 18,4 al 17,7%, mentre la povertà estrema si è mantenuta allo stesso livello del 4,1%. Entro il 2025 ci proponiamo povertà estrema zero”. Il governo bolivariano continua a destinare il 76% del bilancio nazionale ai programmi sociali. Per compensare lo stipendio che, soprattutto nella pubblica amministrazione, fatica a stare al passo della speculazione e dell’inflazione, vengono erogati vari bonus attraverso la Piattaforma Patria. Un metodo – ha indicato il presidente – “che abbiamo appreso dalla Cina”.

Dopo cinque anni di feroce guerra economica, il Venezuela ha raggiunto una crescita del 7,5% per il terzo trimestre. Che l’economia cresca – ha detto Maduro – “conviene all’imprenditore, alla classe operaia, al maestro, al medico, all’imprenditore, alle famiglie…”. Il primo indicatore è dato dall’industria petrolifera. Nonostante le misure coercitive unilaterali imposte dal governo Usa e dall’Unione europea, che hanno sanzionato 192 persone, 150 compagnie, 69 navi mercantili, 30 petroliere e 58 aerei. Nonostante i 7 decreti esecutivi emessi per bloccare l’industria petrolifera, il Paese ha prodotto ancora una volta più di un milione di barili al giorno. Un record, visto che ha raddoppiato i 500.000 barili al giorno estratti a fine 2020 e ha anche superato la produzione media di fine novembre scorso, che si attestava a 876.100 barili al giorno. Entro il 2022, il presidente ha fissato l’obiettivo di 2 milioni di barili al giorno.

Un risultato possibile – ha affermato anche il ministro del Petrolio, Tareck El Aissami -, grazie all’impegno degli operai del settore e dell’azienda statale PDVSA, in particolare del personale di prospezione e produzione, oltre che di quello dell’impresa mista: vale a dire quella classe operaia petrolifera che è in prima linea nel processo di ripresa economica, basato sullo sviluppo dell’industria nazionale, sulla sua modernizzazione. Con l’industrializzazione – ha ricordato l’economista Jesús Faría in un bilancio di fine anno – cresce il proletariato, la classe sociale che ha il compito di costruire una società libera dallo sfruttamento capitalista.

Per liberare le forze produttive in uno schema di economia di guerra, Maduro ha stabilito un piano basato su 17 motori. Nella prospettiva dello sviluppo di una nuova economia post-rentista, nell’ambito del programma di sostituzione delle importazioni, la produzione agricola è stata determinante nel 2021. Maduro ha spiegato che “il 96% dei CLAP (Comitati locali per il rifornimento e la produzione) che raggiungono le case venezuelane, sono prodotti dall’industria agricola del paese”.

Uno dei motori principali è il turismo, che mostra una promettente ripresa, nonostante la crisi globale causata dalla pandemia. Il Venezuela è tra i primi 10 paesi al mondo, tra i 17 con la maggiore diversità paesaggistica. Nonostante il blocco economico-finanziario, nel 2021 sono stati formati nel settore turistico più di 522.000 venezuelani. In alcuni Stati, come quello di Carabobo, l’attività è cresciuta dal 12 al 15% rispetto al 2020. “Il turismo, ci ha detto il ministro Ali Padrón in una recente intervista, è il petrolio che non finisce”.

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