Come opera la guerra mediatica?

Patrizia Villegas   www.cubadebate.cu

Convertiti in esperti di una cosa e dell’altra, a causa del sovraccarico di informazioni, che ci dà quella sensazione di sazietà, ma che in pratica costituisce un meccanismo efficace per farci avere la posizione che l’egemone ha costruito per essere consumata da milioni di persone.

Mentre scrivo, ascolto il reportage del nostro collega in Perù.

Ancora una volta, il Presidente Pedro Castillo affronta una richiesta di  vacanza per rimuoverlo dal potere. Uno dei motivi ha a che fare con una dichiarazione al Canale CNN in spagnolo; in essa, secondo quel media, il Presidente si sarebbe impegnato a dare una sorta di soluzione affinché la Bolivia ottenga uno sbocco sul mare.

Ricordo che giorni dopo quel dialogo ho avuto l’opportunità di conversare con l’ormai ex Ministro delle Donne di quel Paese e di chiederle se conoscesse le ragioni per cui si era svolto quell’incontro televisivo e le ho mostrato una nota, recentemente pubblicata, in cui si indicava come proprio la CNN nella sua versione originale avesse perso l’80% dei suoi telespettatori.

Racconto questo episodio, perché ancora oggi ci sono settori nella nostra regione che non credono allo scenario di guerra che si sta svolgendo nei media e concedono, come in questo esempio, un ruolo giornalistico a chi ha da tempo abbandonato la professione ma in essa si rifugiano, e sono, in realtà, agenti di destabilizzazione di tutto ciò che è al di fuori della strategia del POTERE. I media, quindi, NON sono solo armi da guerra, sono lo scenario stesso della guerra.

Ricordo ancora quello stesso “giornalista” (con cui ha parlato il Presidente Castillo che, tra l’altro, è riuscito per una minima differenza a sconfiggere questo episodio destituente), ricevendo riconoscimenti dai golpisti boliviani, dopo aver ottenuto un cambio di regime in quel paese, nell’anno 2019.

Quindi, la prima cosa da dire, senza dubitare, è che su quel canale televisivo che a lei piace, quel giornale che lei legge di solito, quella radio che trasmette la musica che la trasporta, è stato scelto affinché lei difenda quegli interessi e faccia parte della strategia di sommarlo a un lato della storia, in un determinato momento.

Dire questo in un paese come il Venezuela sembra un’ingenuità, poiché, insieme a Cuba e recentemente Nicaragua, Bolivia (dopo il colpo di stato), la cittadinanza presume che i media facciano parte della rete di interessi e, quindi, già li ha spogliato quell’idea di obiettività e persino neutralità che storicamente ci è stato detto che hanno. Di recente in Bolivia è uscito uno studio promosso da una fondazione tedesca, in cui 8 su 10 consultati ritengono che i media siano attori politici e il 72% delle persone ritiene che i media “informano secondo i propri interessi”.

In altri paesi dove, fino a pochi anni fa, questo dibattito veniva descritto come il prodotto delle idee complottiste della sinistra, si cominciano ad avere prove che ampi settori della popolazione dubitano dei media egemonici e quindi hanno cercato altre fonti di informazione. Caso Colombia, in piena esplosione sociale, nel 2020, o Cile nello stesso processo sociale, politico e culturale, nel 2019.

Infatti, queste inchieste del CELAG (Centro Strategico di Pensiero Latinoamericano), realizzate in diversi paesi della regione, mostrano come stia procedendo questo discredito dei media tradizionali, sempre più incapaci di mascherare le proprie posizioni e la crescita del consumo di informazioni in altri media, principalmente reti sociali.

Come opera questa guerra?

Questo è un tentativo tassonomico. È lo sforzo di fare una dissezione di un fatto convertito in notizia. Naturalmente, come in un organismo, una parte dipende dal tutto. Siamo di fronte ad un sistema, quindi una caratteristica si mischia con un’altra.

  1. SOVRAINFORMAZIONE.

Assistiamo a un bombardamento di dati. È essere nel mezzo di una giungla, scappando dalle bombe che cadono una dopo l’altra. Ogni sguardo al telefono si converte in uno tsunami di immagini, colori, parole, idiomi. Foto spettacolari con testo stampato: elefanti morti, balene morte… il perché, il per cosa… non compaiono.

Forse, come nessun’altra generazione che ci ha preceduto, abbiamo la capacità di accedere alle informazioni in qualsiasi lingua, in qualsiasi momento, sugli argomenti più diversi. Oggi i bambini di qualsiasi città con Internet di base parlano in Siria e trovano le più rapide risposte. Lo stesso accade con le informazioni sulla situazione e l’attualità. Ma questa capacità di accesso non significa che otteniamo la conoscenza.

Le storie devono stare in pochi caratteri, è il privilegio dell’immagine sui testi, la stessa immagine, lo stesso testo, messo in vari colori, presentato in vari formati, da vari presentatori, in varie lingue, che ti dicono lo stesso, ogni ora, senza aggiungere un dato, un angolo, un contesto, un contributo alla memoria. Sono fabbriche di contenuti, che sfornando notizie “calde”, come il pane, ogni secondo. Tik, tak, tik, tak, ogni secondo.

Da un momento all’altro, gli schermi TV, allora le reti sociali erano meno influenti, si sono riempite di immagini che, fondamentalmente, erano luci rosse, sfocate. Che cos’era? La prova del bombardamento del governo di Gheddafi del proprio popolo nella piazza verde di Tripoli. Quelle immagini erano la prova di quell’attacco contrario al diritto internazionale.

Tutti le hanno date per realizzate, ma dopo pochi giorni una società multimediale latinoamericana (teleSUR) trasmetteva in diretta, da quello stesso luogo, dimostrando che non c’erano prove di un attacco e meno ancora di vittime. 20 anni dopo, un rapporto realizzato per il parlamento britannico conferma che, effettivamente, non ci sono stati attacchi su larga scala contro civili libici e che Gheddafi aveva riconquistato città dai cosiddetti “ribelli” senza attaccare i civili, all’inizio di febbraio 2011.

Mesi dopo, un’influente catena araba ricreava l’attacco a quella stessa capitale che, in seguito, è caduta, ore dopo, quando tutti i media la davano per fatto, qualcosa che in pratica era già stato annunciato, senza che fosse accaduto.

In questo stesso momento, siamo diventati tutti esperti di schiaffi e percosse, dopo gli eventi dell’ultimo gala degli Oscar e sembra che, per poche ore, questo evento si sia lasciato alle spalle la guerra in Ucraina.

Si passa dalla pandemia alla guerra, dalla guerra alla notte del cinema, convertiti in esperti di una cosa e dell’altra, a causa del sovraccarico di informazioni, che ci dà quella sensazione di sazietà, ma che in pratica costituisce un meccanismo efficace affinché teniamo la posizione che l’egemone ha costruito per essere consumato da milioni di persone.

  1. Frammentazione

Legato a questo fenomeno è la frammentazione delle informazioni. Sembra che abbiamo molte conoscenze su un argomento ma, in realtà, abbiamo solo potuto accedere  ad una piccola parte di essa. Ci sono molti esempi di questo, ma proprio il COVID è una stella di esempio!

Perché? Quando il COVID arriva in Europa, piuttosto che prima in Cina, tutti i media si sono rivolti ad informarci ed educarci al riguardo. In pochi giorni siamo diventati epidemiologi, abbiamo imparato termini come curva, esponenziale, PCR, test rapidi, biosicurezza. Chiunque direbbe che alla fine il giornalismo scientifico e il giornalismo sanitario saliva sul podio con una medaglia d’oro, ma NO.

Le informazioni vere e serie sono state lasciate alle spalle ed i titoli si sono concentrati sulla morte e la malattia come numero.

Ogni report era atteso da milioni di persone per sapere quante vittime e potenziali malati cadevano nei paesi del blocco. E questa stessa malattia si è spostata in AL che, ovviamente, continua ad ereditare i mali.

In Cile, ad esempio, il ministro della salute è apparso all’inizio della pandemia, dicendo che AUGURO CHE IL VIRUS DIVENTI UNA BUONA PERSONA.

E mentre lui era il protagonista dei titoli, il Paese non aveva una quarantena generale, i suoi casi sono diventati, per l’epoca, la percentuale più alta per 100000 abitanti ed i media titolavano con il ministro e non ci raccontavano di come la popolazione si stesse ammalando e morendo e come la malattia che era prima dei ricchi, è divenuta di poveri e carenti finanziariamente.

Importava realmente ciò che aveva detto il ministro, lo diceva perché ci credeva? Non abbiamo le risposte, poiché lui lo ha ratificato più volte, ma mentre tutti si concentravano su di lui, il COVID ha ucciso migliaia di cileni.

  1. Occultamento

La valanga di notizie sulla malattia (COVID), Guerra (Ucraina) Violenza agli Oscar, ci ha impedito il racconto di altre agende.

Nel caso della pandemia, uno dei fatti più rilevanti è che si è occultato deliberatamente le cause strutturali che ci hanno portato a questo scenario e gli effetti sui settori più vulnerabili delle nostre società.

In Colombia, il presidente Duque ha fatto un programma di non meno di un’ora al giorno, dove parla di COVID, ma neppure un solo riferimento agli altri problemi sociali del Paese. I massacri avvengono quotidianamente, l’assassinio dei dirigenti e la smobilitazione delle FARC, non sono mai andati in quarantena.

Il Paese è ritornato alla guerra, mentre i media riportavano numeri di malati, morti e il falso dibattito tra economia e salute.

Secondo INDEPAZ, quest’anno si sono verificati 31 massacri, con un saldo di 103 vittime.

Il Brasile perde una parte importante della sua ricchezza naturale a El Platanal, ma a differenza dell’anno precedente i media non ne titolano.

Neppure con gli incendi in Bolivia, la cui copertura, due anni addietro, ha costituito l’inizio del processo destituente dell’allora presidente Evo Morales. E che quest’anno, come i precedenti, ha ricevuto l’attenzione prioritaria da parte dello Stato.

Ma anche il COVID, o il suo abuso informativo, ha permesso ora di non sovraesporre la realtà venezuelana, che prima occupava i titoli dei giornali di tutto il mondo, bensì ora di occultarla deliberatamente, renderla invisibile.

Gli abitanti di questo paese latinoamericano hanno dovuto sopportare la recrudescenza della guerra economica, i guasti nei suoi sistemi di servizio pubblico, la mancanza di benzina e la tentata invasione mercenaria, quasi nel silenzio delle tombe. Per non parlare delle centinaia di persone che sono tornate nel Paese, espulse per le condizioni sanitarie ed economiche dei Paesi della regione dove erano emigrate per motivi economici.

Come reso invisibile è stato, con piccolissime eccezioni, il lavoro della medicina cubana, che non solo ha inviato brigate in più di 60 paesi a sostegno dei sistemi sanitari locali, ma ha anche generato l’UNICO vaccino latinoamericano contro la malattia.

La guerra in Ucraina ci ha lasciato centinaia di immagini di profughi che attraversano il confine tra quel paese e la Polonia. Un sacco di giornalisti che in diretta, da quel crocevia e molto pochi, dalle zone di scontro e conflitto. Abbiamo visto una famosa giornalista, sullo sfondo della Torre Eiffel, a Parigi, vestita in mimetica. Parigi dista 2382 km da Kiev.

Ma solo ora, un mese dopo, timidamente, i media occidentali ci mostrano le azioni di violazione dei diritti umani ai combattenti russi. Sorprende, dolorosamente, vedere un video di un soldato ucraino, che chiama la madre di un soldato russo, che era caduto e si burlava di quel fatto di guerra. Quel video ha tutti gli elementi per convertirsi in titolo dei grandi media, ma non ci è arrivato, perché non fa parte della storia ufficiale della guerra.

O le famiglie legate ai pali, nell’area del Donbass, da parte dell’esercito ucraino e dal battaglione nazista.

Nulla di nuovo, Orlando Figuera, avvolto dalle fiamme nei pressi di Plaza Francia nella capitale venezuelana, non è riuscito ad apparire sulle stesse copertine dei “guarimberos”, nel pieno degli eventi del 2017.

Le ore prima del colpo di stato contro Evo Morales, ci hanno lasciato nella nostra memoria, gli abusi a cui è stata sottoposta Patricia Arce, sindaca di un piccolo paese chiamato Vinto. Le telecamere non lo hanno mostrato, in quanto si sono concentrate, intenzionalmente, sull’irruzione dell’attuale governatore di Santa Cruz, dirigente pubblico dei golpisti, arrivato a La Paz con una bandiera e una bibbia.

  1. Spettacolarizzazione

Le chiavi della scrittura giornalistica sono oggi basate sullo stesso schema di scrittura della fonte dello spettacolo. Con l’idea di agganciare, attivare l’interesse nell’emotivo, nell’ottenere informazioni riservate o ricette semplici e utili, assistiamo ad alcune “cornici” o guide generali, per la redazione di testi e la presentazione di informazioni, qualunque sia l’argomento che affrontiamo.

Non importa se ciò di cui abbiamo bisogno è sapere dell’economia polacca o dei colori di moda degli abiti estivi a Buenos Aires, perché tutto è scritto allo stesso modo.

I 10 punti per capire come comprendere tua suocera o i 10 motivi per amare il tuo gatto o i 10 esercizi di Zendaya per avere la pancia piatta.

Vi rendete conto?

In 10 passaggi, ci danno la chiave per risolvere qualsiasi problema. Quindi non indietreggiare, perché indossare scarpe col tacco alto è facile come sviluppare una campagna contro la discriminazione razziale.

In questa logica, l’informazione è scritta in una struttura drammatica da telenovela. Un protagonista e un antagonista. Un buono, un cattivo. Putin è senza dubbio il cattivo del momento, ma il presidente Nicolás Maduro lo era già, così come Miguel Díaz-Canel e persino Evo Morales, mentre cercava di spegnere l’incendio in Amazzonia, era il cattivo del film.

Non ci sono sfumature o grigi. Si costruiscono personaggi e su quei ruoli si sviluppano le storie. Se questo fosse nel genere della fiction, non ci sarebbero problemi, ma quando la storia è il racconto della realtà, siamo in pericolo.

Una nota

Nell’attuale congiuntura, Putin è passato dall’essere un grande dirigente globale ad essere uno psicologicamente squilibrato, con tratti autoritari, incapace di controllare le sue emozioni.

Psicologi, psichiatri, esperti di comportamento umano sono stati interpellati per dare il parere, per ratificare l’ipotesi della squalifica dell’avversario. È necessario, in questo schema, ridurre il “nemico pubblico” in tutte le sue capacità.

Che fare?

Due azioni:

  1. Genera più media e più autostrade di distribuzione

I media pubblici sono, oggi più che mai, necessari. Lo sforzo deliberato del neoliberismo, in America Latina, e dei governi di destra, negli ultimi anni, ha lasciato nella nostra regione gravi debolezze nella produzione di contenuti informativi.

I media pubblici, lo testimoniano le prove, sono in buona parte del continente dediti alla consegna di prodotti di straordinaria qualità e valore, ma lontani dalla disputa della costruzione della storia quotidiana e congiunturale. Cioè, della notizia.

L’emblematico quotidiano El Telégrafo dell’Ecuador, nato nella rivoluzione cittadina, affronta oggi lo svuotamento, per via della vendita delle sue rotative, da parte dell’attuale governo.

Abbiamo visto la TV pubblica argentina cancellare il suo notiziario di fine settimana, perché il governo di Mauricio Macri “non poteva pagare” gli stipendi che si generavano per il lavoro nei giorni festivi.

La tv pubblica boliviana e il Canale cittadino, Abya Yala, sono stati chiusi durante il colpo di stato contro il Presidente Evo Morales, mentre i media corporativi, uniti alla strategia, svolgevano il compito richiesto: riuscire nel golpe.

Non c’è altra via, dobbiamo avere più media e più opzioni informative. Il giornalismo comunitario, cittadino, operaio, sindacale, di quartiere, parrocchia, università, scolastico. È tempo di moltiplicare gli impegni informativi su distinta scala. Dobbiamo rafforzare ciò che abbiamo creato, far sì che i nostri media parlino vari idiomi, producano su ogni piattaforma secondo le regole imposte e sfidarle con etica, creatività e rigore giornalistico.

Dobbiamo anche lavorare su più autostrade per distribuire questi contenuti. La recente azione contro la catena russa RT e una delle agenzie di notizie di quel Paese: Sputnik, dimostra che non solo si deve consolidare schemi efficaci di produzione di contenuti, bensì anche spazi propri per distribuirli.

In un piano pilota lo hanno fatto con i blocchi al segnale teleSUR in America Latina. Fin dalla nascita stessa del multimedia, ci sono stati territori vietati per il suo segnale. Dalla prima grande copertura, da quel lontano 2009, l’Honduras rimaneva senza il segnale del Canale che aveva ottenuto le immagini, prova regina, del golpe che aveva scosso il suo Paese e delle successive azioni di repressione.

La stessa strategia è stata seguita da un operatore di TV satellitare in Ecuador, in piena convulsione sociale nell’ottobre 2019. E il governo de facto della Bolivia ha eliminato da tutte le piattaforme, tanto pubbliche come private, il nostro segnale una volta che è riuscito consumare il colpo di stato. Inspiegabilmente sono spariti gli account di Instagram, i tweet dei giornalisti, presentatori e dello stesso Canale, perdendo milioni di utenti in un colpo solo.

Il percorso intrapreso da Venezuela, Cuba, Nicaragua, Bolivia, paesi membri di teleSUR oggi, 16 anni fa, ha permesso alla regione e, in non poche occasioni, al mondo, di conoscere gli eventi che avrebbero dovuto essere nascosti a un vasto pubblico. Questo impegno audace si è convertito in un modello per non poche iniziative di comunicazione alternative e contro-egemoniche. Ha svolto un ruolo stellare nella creazione di una comunità di cittadini critici, che non disponeva di un punto di incontro, dove condividere e contrastare visioni sulla congiuntura globale. teleSUR è stata una grande fabbrica di contenuti latinoamericani e ha lavorato duramente per recuperare la memoria della nostra regione. Oggi teleSUR parla inglese, spagnolo e produce contenuti in portoghese. Il suo impatto è proporzionale agli attacchi ricevuti in questi ardui anni di consolidamento.

  1. ALFABETIZZARE IL CITTADINO.

Non solo abbiamo il compito urgente di democratizzare l’informazione, di costruire più media e più autostrade proprie per distribuirli.

Se non ci formiamo, facendo un parallelo con il vaccino COVID, non avremo gli anticorpi minimi necessari per affrontare questa guerra che conduciamo quotidianamente e che è molto efficace, come il virus, perché è onnipresente e in molti casi continua ad essere molto sottile.

Urge creare, dalle scuole primarie, spazi accademici per costruirci soggetti critici di fronte alle storie mediatiche.

Un soggetto istruito sarà meno difficile da cooptare da questi meccanismi sempre più sofisticati. Le reti sociali generano dipendenze. Così come il mondo ha sviluppato campagne per prevenire il consumo di sostanze illecite, deve costruirle affinché comprendiamo i meccanismi come funzionano e possiamo proteggerci.

La stessa proliferazione di autostrade dei contenuti rende più complesso il lavoro di insegnanti e genitori.

L’OMS ha indicato che viviamo in una INFODEMIA. Condividendo questa diagnosi, non possiamo assistere, senza agire, di fronte all’angosciante situazione che dobbiamo affrontare.

È imperativo lavorare sui processi di formazione di pubblici critici, che dopo aver letto che il cloro può curare il COVID, non gli viene in mente di provarlo!

(Tratto da Telesur)


¿Cómo opera la guerra mediática?

Por: Patricia Villegas

Convertidos en expertos de una y otra cosa, a cuenta de la sobre información, que nos entrega esa sensación de saciedad, pero que en la práctica constituye un mecanismo efectivo para que tengamos la posición que el hegemón ha construido para ser consumida por millones.

Mientras escribo, escucho el reporte de nuestro colega en Perú.

Nuevamente el Presidente Pedro Castillo enfrenta un pedido de vacancia para sacarlo del poder. Una de las razones, tiene que ver con una declaración al Canal CNN en español; en ella, según ese medio, el Presidente se habría comprometido a dar algún tipo de solución para que Bolivia logre una salida al mar.

Recuerdo que días después de ese diálogo, tuve la oportunidad de conversar con la ahora, exministra de la Mujer de ese país y preguntarle si conocía las razones por las cuales se había dado ese encuentro televisivo y le mostré una nota recientemente publicada en la que se indicaba cómo justo CNN en su versión original, había perdido 80 % de sus espectadores.

Cuento este episodio, porque aún hoy, hay algunos sectores en nuestra región que caminan descreídos del escenario de guerra que se libra en los medios de Comunicación y otorgan, como en este ejemplo, un rol de periodismo, a quienes desde hace rato abandonaron la profesión, pero se amparan en ella, y son en realidad agentes de desestabilización de todo lo que esté por fuera de la estrategia del PODER. Los medios pues, NO solo son armas de guerra, son el escenario mismo de la guerra.

Aún recuerdo a ese mismo “periodista” (con el que habló el Presidente Castillo, que, por cierto, logró por mínima diferencia, vencer este episodio destituyente), recibiendo premios de los golpistas bolivianos, tras haber logrado un cambio de régimen en ese país en el año 2019.

Por tanto, lo primero que hay que decir, sin que lo dudemos, es que en ese Canal de TV que a Ud. le gusta, ese periódico que Ud. suele leer, esa radio en la que ponen la música que le transporta, ha sido escogido para que Ud. defienda esos intereses y haga parte de la estrategia de sumarlo a un bando de la historia en determinada coyuntura.

Decir esto en un país como Venezuela, pareciera una ingenuidad, pues, junto a Cuba y recientemente a Nicaragua, Bolivia (tras el golpe de Estado), la ciudadanía asume que los medios son parte del entramado de intereses y, por tanto, ya los despojó de esa idea de objetividad e incluso neutralidad que históricamente nos han dicho que tienen. Recientemente en Bolivia se dio a conocer el estudio patrocinado por una fundación alemana, en el que 8 de cada 10 de los consultados, consideran que los medios son actores políticos y el 72 % de las personas consideran que los medios “informan de acuerdo a sus intereses”.

En otros países, donde hasta hace unos años, este debate era calificado como producto de las ideas conspiranoicas de los izquierdistas, empezamos a tener evidencias que amplios sectores ciudadanos dudan de los medios hegemónicos y por tanto han buscado otras fuentes de información. Caso Colombia, en pleno estallido social en 2020 o Chile en el mismo proceso social, político y cultural en el año 2019.

De hecho, estas encuestas de CELAG (Centro Estratégico de Pensamiento Latino Americano), realizadas en distintitos países de la región, muestran cómo avanza ese descrédito de los medios tradicionales, cada vez más incapaces de maquillar sus posiciones y el crecimiento del consumo de información en otros medios, fundamentalmente redes sociales.

¿Cómo opera esta guerra?

Este es un intento taxonómico. Es el esfuerzo por hacer una disección de un hecho convertido en noticia. Por supuesto, como en un organismo, una parte depende del todo. Estamos ante un sistema, por tanto, una característica se entremezcla con otra.

  1. SOBREINFORMACIÓN.

Asistimos a un bombardeo de datos. Es estar en medio de una selva, escapando de las bombas que caen una tras otra, una tras otra. Cada mirada al teléfono se convierte en un tsunami de imágenes, colores, palabras, idiomas. Fotos espectaculares con un texto sobre impreso: elefantes muertos, ballenas muertas… los por qué, los para qué… no aparecen.

Quizá, como ninguna otra generación que nos precedió, tenemos una capacidad de acceder a información en cualquier idioma, en cualquier momento, sobre los temas más diversos. Hoy los niños de cualquier ciudad con un internet básico, le hablan a Siria y encuentran las más rápidas respuestas. Igual pasa con la información de la coyuntura y la actualidad. Pero esta capacidad de acceder, no significa que obtengamos el conocimiento.

Las historias deben caber en pocos caracteres, es el privilegio de la imagen sobre los textos, la misma imagen, el mismo texto, puesto en varios colores, presentado en varios formatos, por diversos presentadores, en varios idiomas, que te dicen lo mismo, cada hora, sin añadir un dato, un ángulo, un contexto, una contribución a la memoria. Son fábricas de contenidos, sacando noticias “calientes”, como el pan, cada segundo. Tik, tak, tik, tak, cada segundo.

De un momento a otro, las pantallas de la tele, en esa época eran menos influyentes las redes sociales, se llenaron de unas imágenes que fundamentalmente eran luces rojas, desenfocadas. ¿Qué era aquello? La prueba del bombardeo del gobierno de Gadafi a su pueblo en plaza verde de Trípoli. Esas imágenes eran la evidencia de ese ataque contrario al derecho internacional.

Todos lo dieron por hecho, pero pasados unos días, un multimedio latinoamericano (teleSUR) emitía en vivo, en directo, desde ese mismo lugar, mostrando que no había evidencias de ataque y menos víctimas. 20 años después, un informe realizado para el Parlamento Británico, corrobora que efectivamente no hubo ataques a gran escala contra civiles libios y que Gadafi había recuperado ciudades de los denominados “rebeldes” sin atacar a los civiles a principios de Febrero de 2011.

Meses después una influyente cadena árabe recreaba el ataque a esa misma capital, que a la postre, terminó cayendo, horas después, cuándo todos los medios daban por hecho, algo que en la práctica ya habían anunciado, sin que ocurriera.

Ahora mismo, todos nos hemos vuelto expertos en bofetadas y golpes, tras los sucesos de la pasada gala de los Premios Oscar y pareciera, que por unas horas, este hecho, dejó atrás la guerra en Ucrania.

Vamos de la pandemia a la guerra, de la guerra a la noche del cine, convertidos en expertos de una y otra cosa, a cuenta de la sobre información, que nos entrega esa sensación de saciedad, pero que en la práctica constituye un mecanismo efectivo para que tengamos la posición que el hegemón ha construido para ser consumida por millones.

  1. Fragmentación

Vinculado a este fenómeno está la fragmentación de la información. Parece que tenemos mucho conocimiento de un tema, pero realmente solo hemos podido acceder a una partecita de él. Hay muchos ejemplos para esto, pero justo COVID es una estrella de ejemplo!

¿Por qué? Cuándo el COVID llega a Europa, que no antes en China, todos los medios se volcaron a informarnos y educarnos sobre el particular. En pocos días nos volvimos epidemiólogos, aprendimos términos como curva, exponencial, PCR, Pruebas rápidas, bioseguridad. Cualquiera diría que por fin el periodismo científico y el periodismo de salud, llegaba al pódium con medalla de oro, pero NO.

La información cierta y seria se quedó atrás y los titulares se concentraron en la muerte y la enfermedad como número.

Cada parte era esperado por millones para saber cuántas víctimas y potenciales enfermos caían en los países del bloque. Y esta misma enfermedad se trasladó a AL que cómo no, sigue heredando los males.

En Chile, por ejemplo, el ministro de Salud apareció a principios de la pandemia, diciendo que OJALÁ EL VIRUS SE VOLVIERA BUENA PERSONA.

Y mientras él era la estrella de los titulares, el país no tenía cuarentena general, sus casos se convirtieron para la época en el mayor por ciento por 100 mil habitantes y los medios andaban titulando con el ministro y no contándonos de cómo la población iba enfermando y muriendo y cómo la enfermedad que primero fue de ricos, se volvió de pobres y carenciados económicamente.

¿Importaba realmente lo que el ministro había dicho, lo dijo porque lo creía? Las respuestas no las tenemos, pues él varias veces lo ratificó, pero mientras todos se concentraron en él, el COVID mató a miles de chilenos.

  1. Ocultamiento

La avalancha de noticias sobre la enfermedad (COVID), Guerra (Ucrania) Violencia en Los Oscar,  nos ha impedido el relato de las otras agendas.

En el caso de la pandemia, de los hechos más relevantes es que se ha ocultado deliberadamente las causas estructurales que nos trajeron a este escenario y la afectación de los sectores más vulnerables de nuestras sociedades.

En Colombia el Presidente Duque hacía un programa de no menos de una hora diaria, donde habla del COVID, pero ni una sola referencia a los otros problemas sociales del país. Las masacres ocurren diariamente, el asesinato de líderes y desmovilizados de las FARC, nunca entró en cuarentena.

El país retornó a la guerra, mientras los medios reportaban números de enfermos, muertos y el falso debate entre economía y salud.

Según INDEPAZ, este año van 31 masacres, con un saldo de 103 víctimas.

Brasil pierde parte importante de su riqueza natural en El Platanal, pero a diferencia del año anterior, los medios no titulan con ello.

Tampoco con los incendios en Bolivia, cuya cobertura, dos años atrás constituyó el inicio del proceso destituyente del entonces Presidente Evo Morales. Y que este año, como los anteriores, ha recibido la atención priorizada del Estado.

Pero también el COVID, o el abuso informativo del mismo, ha permitido ya no sobre exponer la realidad venezolana, que antes ocupaba los titulares de los noticieros del mundo entero, sino ahora deliberadamente ocultarla, invisibilizarla.

Los habitantes de este país latinoamericano tuvieron que soportar el recrudecimiento de la guerra económica, las fallas en sus sistemas de servicios públicos, carencia de gasolina, e intento de invasión mercenaria, casi que en el silencio de los sepulcros. Ni que decir de los cientos que regresaron al país, expulsados por las condiciones sanitarias y económicas de los países de la región a dónde habían emigrado por razones económicas.

Como invisibilizada ha estado, con pequeñísimas excepciones, la labor de la medicina cubana, que no solo envió brigadas a más de 60 países para apoyar los sistemas de salud locales, sino que también ha generado la ÚNICA vacuna latinoamericana contra la enfermedad.

La Guerra en Ucrania, nos ha dejado cientos de imágenes de refugiados cruzando la frontera entre ese país y Polonia. Montones de periodistas despachando en vivo, desde ese cruce y bastante pocos, desde las zonas de confrontación y conflicto. Vimos a una famosa reportera, con el fondo de la Torre Eiffel, en París, vestida de camuflado. París queda a 2.382 km, de Kiev.

Pero apenas ahora, un mes después, tímidamente, los medios occidentales nos muestran las acciones de violación de los Derechos Humanos a los combatientes rusos. Sorprende dolorosamente, ver un video de un soldado ucraniano, llamando a una mamá de uno ruso, a quién habían dado de baja y se burlaba en video, de ese hecho de guerra. Ese video, tiene todos los elementos para haberse convertido en titular de los grandes medios, pero no llegó allí, porque no hace parte de la historia oficial de la guerra.

O las familias amarradas a postes, en zona de Donbass, por cuenta del ejército Ucraniano y del batallón Nazi.

No es nuevo, Orlando Figuera, envuelto en llamas en las cercanías de la plaza Francia de la capital venezolana, no logró estar en las mismas portadas que los “guarimberos” en plenos hechos de 2017.

Las horas previas al golpe a Evo Morales, nos dejaron en nuestra memoria, los vejámenes a los que fue sometida, Patricia Arce, alcaldesa de un pueblito llamado Vinto. Las cámaras no lo mostraron, pues enfocaban con intencionalidad, la correría del hoy gobernador de Santa Cruz, líder público de los golpistas, llegando a La Paz con una bandera y una biblia.

  1. Farandulización

Las claves de la escritura periodística están hoy basadas en el mismo esquema de escritura de la fuente de farándula. Con la idea de enganchar, activar el interés en lo emocional, en obtener información confidencial o recetas sencillas y útiles, asistimos a unos “marcos” o guías generales, para la redacción de textos y presentación de la información, cualquiera que sea el tópico que abordemos.

Da igual si lo que necesitamos es saber sobre la economía polaca o los colores de moda en los trajes de verano en Buenos Aires, porque todo viene escrito de la misma forma.

Los 10 puntos para comprender cómo entender a tu suegra o las 10 razones para amar a tu gato o los 10 ejercicios de Zendaya para tener un vientre plano.

¿Se da cuenta?

En 10 pasos, nos dan la clave para arreglar cualquier problema. Así que ni se inmute, que llevar zapatos de tacón, resulta tan fácil como desarrollar una campaña contra la discriminación racial.

En esta lógica la información está escrita en una estructura dramática de telenovela. Un protagonista y un antagonista. Un bueno, un malo. Putin es sin lugar a dudas el malo del momento, pero ya lo fue el Presidente Nicolás Maduro, así cómo Miguel Díaz-Canel y hasta Evo Morales, intentando apagar el fuego de la Amazonía, era el villano de la película.

NO hay matices, ni grises. Se construyen personajes y sobre esos roles, se desarrollan las historias. Si esto fuera en el género de ficción, no habría problema, pero cuándo la historia es el relato de la realidad, estamos en peligro.

Un apunte

En la coyuntura actual, Putin pasó de ser un gran líder global a ser un desequilibrado psicológico, con rasgos autoritarios, incapaz de controlar sus emociones.

Psicólogos, psiquiatras, expertos en comportamiento humano han sido consultados para dar con el dictamen, para ratificar la hipótesis de la descalificación del adversario. Es necesario, en este esquema disminuir al “enemigo público” en todas sus capacidades.

¿Qué hacer?

Dos acciones:

  1. Generar más medios y más autopistas de distribución

Hoy más que nunca son necesarios los medios públicos. El esfuerzo deliberado del neoliberalismo en América Latina y de los gobiernos de derecha de los últimos años, dejaron a nuestra región con serias debilidades en la producción de contenidos informativos.

Los medios públicos, la evidencia así lo expresa, están en buena parte del continente dedicados a entregar productos de extraordinaria calidad y valor, pero alejados de la disputa de la construcción del relato diario, coyuntural. Es decir, de la noticia.

El emblemático diario El Telégrafo de Ecuador, nacido en la revolución ciudadana, hoy enfrenta el vaciamiento, vía venta de sus imprentas, por parte del gobierno actual.

Vimos a la TV pública argentina cancelar sus noticieros de fin de semana, porque el gobierno de Mauricio Macri “no podía pagar” los salarios que se generaban por trabajo en días festivos.

La TV pública de Bolivia y el Canal ciudadano, Abya Yala, fueron cerrados durante el golpe de Estado al Presidente Evo Morales, mientras los medios corporativos, unidos a la estrategia, hacían el trabajo solicitado: Lograr el golpe.

No hay otro camino, hay que tener más medios y más opciones informativas. El periodismo comunitario, ciudadano, obrero, sindical, de barrio, de parroquia, de universidad, de escuela. Es el momento de la multiplicación de los emprendimientos informativos a distinta escala. Hay que fortalecer lo que hemos creado, hacer que nuestros medios hablen varios idiomas, produzcan en cada plataforma bajo las reglas impuestas y desafiándolas con ética, creatividad y rigor periodístico.

También hay que trabajar en más autopistas para distribuir estos contenidos. La reciente acción contra la cadena rusa RT y una de las agencias de noticias de ese país: Sputnik, demuestra que no solo hay que consolidar esquemas efectivos de producción de contenidos, sino espacios propios para distribuirlos.

En plan piloto lo hicieron con los bloqueos a la señal de teleSUR en América Latina. Ya desde el propio nacimiento del multimedio, hubo territorios vetados para su señal. Desde la primera gran cobertura, por aquel lejano 2009, Honduras se quedaba sin la señal del Canal que había logrado obtener las imágenes, prueba reina, del golpe que había sacudido a su país y las acciones posteriores de represión.

La misma estrategia la siguió un operador de TV satelital en Ecuador, en plena convulsión social en Octubre de 2019. Y el gobierno de facto de Bolivia eliminó de todas las plataformas, tanto públicas como privadas, nuestra señal, una vez logró consumar el golpe de Estado. Inexplicablemente desaparecen cuentas de Instagram, tuiter de periodistas, presentadores y del propio Canal, perdiendo millones de usuarios de un solo golpe.

El camino emprendido por Venezuela, Cuba, Nicaragua, Bolivia, países miembros de teleSUR en la actualidad, hace 16 años, ha permitido a la región y en no pocas ocasiones, al mundo, enterarse de acontecimientos que debían haber quedado ocultos ante las grandes audiencias. Esta apuesta audaz se ha convertido en un modelo, para no pocos emprendimientos comunicacionales alternativos y contra hegemónicos. Ha jugado un rol estelar en la creación de una comunidad de ciudadanos críticos, que no tenían un punto de encuentro, dónde compartir y contrastar visiones sobre la coyuntura global. teleSUR ha sido una gran factoría de contenidos latinoamericanos y ha trabajado arduamente en la recuperación de la memoria de nuestra región. Hoy teleSUR habla inglés, español y produce contenidos en portugués. Su impacto es proporcional a los ataques recibidos en estos arduos años de consolidación.

  1. ALFABETIZAR AL CIUDADANO.

No solo tenemos la tarea urgente de democratizar la información, de construir más medios y más autopistas propias para distribuirlos.

Sino nos formamos, haciendo un paralelismo con la vacuna contra el COVID, no tendremos los mínimos anticuerpos necesarios para enfrentar esta guerra que libramos diariamente y que es muy efectiva, como el virus, porque está omnipresente y en muchísimos casos sigue siendo muy sutil.

Urge que creemos desde las escuelas primarias, espacios académicos para construirnos sujetos críticos frente a los relatos de los medios.

Un sujeto con formación, será menos difícil de cooptar por estos mecanismos, cada vez más sofisticados. Las redes sociales generan adicciones. Así como el mundo ha desarrollado campañas para prevenir el consumo de sustancias ilícitas, debe construirlas para que entendamos los mecanismos cómo funcionan y podamos protegernos.

La propia proliferación de autopistas de contenidos hace más complejo el trabajo de docentes y padres.

La OMS ha indicado que vivimos una INFODEMIA. Compartiendo este diagnóstico, no podemos asistir, sin actuar, ante la angustiante situación que enfrentamos.

Es imperativo trabajar en los procesos de formación de audiencias críticas, que al leer que el cloro, puede curar el COVID, ¡no se les ocurra, probarlo!

(Tomado de Telesur)

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