La guerra rivoluzionaria è una scienza (anche) della comunicazione

Il capitalismo e le sue cupole di potere sviluppano, permanentemente, mezzi e modi per anestetizzarci, disorganizzarci e umiliarci senza pietà

Fernando Buen Abad  www.granma.cu

Potremmo ben sfruttare la forza simbolica ereditata dal deragliamento del treno a Santa Clara, ordinato dal Comando Rivoluzionario del Che, e fare lo stesso con il “binario” mediatico imperiale infestato da munizioni semiotiche oligarchiche.

Usate le «ruspe», «escavatori» o  «bulldozer» che le lotte emancipatrici dei popoli hanno prodotto nella battaglia contro la concentrazione monopolistica dei media e dei messaggi alienanti.

Potremmo ben seguire l’esempio tattico e strategico della Rivoluzione Cubana per, tra l’altro, impedire che arrivino, come arrivano, le armi di guerra ideologica del capitalismo, per installarci i suoi missili tossici ed i suoi campi minati con notizie false.

Viviamo una guerra ibrida e senza limiti che si muove, anche, su “rotaie” tecnologiche.

Viviamo sotto il fuoco di una guerra dispiegata su tre fronti simultanei: un fronte economico, uno terrestre e uno mediatico, quest’ultimo specializzato nell’anestetizzarci e nel criminalizzare le lotte sociali e i loro dirigenti. Tre fuochi che operano in modo combinato, dalle mafie finanziarie globali, dall’industria bellica e dal rieditato «Piano Condor comunicativo», determinati nel mettere a tacere i popoli.

Il tutto con la complicità di non pochi governi servili, specialisti nel gestire i peggiori disegni contro l’umanità.

Guerre scatenate contro il popolo lavoratore, di tutto il pianeta, senza pietà; guerre che non si accontentano di imporre il loro stivale di sfruttamento perché vogliono, inoltre, che li ringraziamo; che riconosciamo che questo è bene, che ci fa bene; che li applaudiamo e che ereditiamo alla nostra progenie i valori dello sfruttamento e dell’umiliazione, come se si trattasse di un trionfo morale di tutta l’umanità. Guerra oligarchica contro i popoli che non è solo materiale e concreta, bensì anche ideologica e soggettiva. Niente di tutto questo è nuovo.

Secondo i padroni di quella guerra, noi dobbiamo essere pacifisti, comprendere i loro interessi sovra, trans e intra nazionali; il loro potere economico-politico e il loro bisogno di dominio. Ci vogliono seduti e plaudenti, godendo un’escalation multipla di articolazioni alienanti. Che rispettiamo le loro leggi e identità di classe mentre la bilancia del capitale s’inclina contro il lavoro.

Vogliono che lottiamo per la pace in un sistema di affari militari, strategici e transnazionali operati dalle centrali imperiali con aiuti di giullari. Ci vogliono pacifisti, ignoranti e demoralizzati; niente di questo è nuovo, lo sapevamo e lo sappiamo.

La sua industria militare ha dispiegato armi bancarie-finanziarie di indebitamento, inflazione e dipendenza monetaria, ispirati dalla retrocessione del ruolo dello Stato, per ridurre e sospendere diritti storici acquisiti. Moltiplicano le loro basi militari con obiettivi repressivi mascherati con ogni tipo di travestimento. Le loro fabbriche di guerra producono anche alleanze con i “media”, che conformano un unico piano discorsivo per camuffare, anche, le guerre giudiziarie, le guerre economiche e i tanti episodi di repressione, tatticamente e tecnologicamente aggiornati.

Il nostro presente è contaminato da una mafia militare-industriale che si rafforza travestita da democrazia, regna per la sua stoltezza e per i peggiori esempi criminali in tutte le sue definizioni… dispiega, denuda, mille e un sopruso di giudici e tribunali che, controcorrente rispetto alla giustizia, scatenano persecuzioni, carcerazioni e condanne fondate sul nulla stesso o, detto in altro modo, basate sulla cura degli interessi e dei poteri minuziosamente disegnati per la triplice offensiva qui descritta. La guerra senza limiti è condita di tutti i tipi di sporchi trucchi per attaccare i popoli. La loro guerra è un grande affare.

La loro guerra contiene un piano specifico per farci abituare al macabro in ogni forma possibile… persino quelle del divertimento. Non sono divertimenti asessuati o “immacolati”, chi li consuma è soggetto a una schizofrenia “piacevole”, che ci ferisce con voluta e incomprensibile ironia.

Ci vogliono anestetizzati, parlando, comportandoci come loro, ci vogliono, anche senza renderci conto, imitando i loro referenti mercantili dei mass media, con il pretesto che “questo è divertente”, che “così la gente capisce”, che “questo vende” … ; ci insegnano a ripetere una trappola logica in cui corriamo rischi di ogni genere, a cominciare dalla legittimazione del modo dominante di produzione di forme espressive.

Ciò non significa che non si possa deragliare (coscientemente e criticamente) il treno dei media per porli al servizio di una trasformazione culturale e comunicativa, ma è indispensabile definire cosa sia realmente utile. Bisogna studiare ogni caso minuziosamente e questo è qualcosa che viene fatto molto poco.

Trasferiamo all’apparato imprenditoriale bellico, bancario e mediatico -senza freni e senza controlli- somme incalcolabili di denaro.  Abbiamo fatto leggi che non rispettiamo, abbiamo acquisito tecnologia senza sovranità, non abbiamo consolidato le nostre scuole di quadri, non abbiamo creato una corrente internazionalista per una comunicazione emancipatrice organizzata e supportata dall’essenziale, non abbiamo creato i motori semiotici per l’emancipazione e l’ascesa delle coscienze verso la prassi trasformatrice, non abbiamo creato un bastione etico e morale per il controllo politico del discorso mediatico e lo sviluppo del pensiero critico… o, almeno, quello che abbiamo fatto è realmente insufficiente.

E non è che manchino talenti o esperti, non è che manchi denaro o che manchino i bisogni con i loro scenari. Ha fatto scompigli, ancora una volta, la crisi della direzione politica trasformatrice. Abbiamo parlato molto, abbiamo fatto poco. Nemmeno il MacBride Report (1980) abbiamo saputo ascoltare e usare, come si deve.

A peggiorare le cose, la classe dominante sviluppa, permanentemente, mezzi e metodi per anestetizzarci, disorganizzarci e umiliarci senza pietà.

Inventa infide menzogne che circolano impunemente, e senza risposta, in lungo ed in largo del pianeta, sempre con un potere di ubiquità e velocità che noi non possiamo nemmeno misurare o tipificare in tempo reale. E la stragrande maggioranza delle volte lo guardiamo dalle nostre case (comprese le camere da letto) sotto forma di notiziari, intrattenimento o reality show.

Consumiamo i suoi prodotti, ingrassiamo i suoi rating e ruminiamo, la nostra impotenza, facciamo catarsi indignati e aggrovigliati in frasi fatte, per lo più inutili e irrilevanti.

E’ urgente far deragliare il treno semantico e porci a costruire (cioè far avanzare) il senso emancipatorio che ci urge.

Questo è parte della guerra.


La guerra revolucionaria es una ciencia (también) de la comunicación 

El capitalismo y sus cúpulas de poder desarrollan, permanentemente, medios y modos para anestesiarnos, desorganizarnos y humillarnos sin clemencia

Autor: Fernando Buen Abad

Bien pudiéramos aprovechar la fuerza simbólica que nos hereda el descarrilamiento del tren en Santa Clara, ordenado por la Comandancia revolucionaria del Che, y hacer lo mismo con el «ferrocarril» mediático imperial infestado con municiones semióticas oligarcas.

Usar las «topadoras», «excavadoras» o «buldóceres» que las luchas emancipadoras de los pueblos han producido en la batalla contra la concentración monopólica de medios y de mensajes alienantes.

Bien pudiéramos seguir el ejemplo táctico y estratégico de la Revolución Cubana para, entre otras cosas, impedir que lleguen, como llegan, las armas de guerra ideológica del capitalismo, para instalarnos sus misiles tóxicos y sus campos minados con fake news.

Vivimos una guerra híbrida e irrestricta que se desplaza sobre «rieles» tecnológicos, también.

Vivimos bajo el fuego de una guerra desplegada en tres frentes simultáneos: un frente económico, un frente terrestre y un frente mediático, este último especializado en anestesiarnos y en criminalizar las luchas sociales y sus líderes. Tres fuegos que operan de manera combinada, desde las mafias financieras globales, la industria bélica y el reeditado «plan Cóndor comunicacional», empecinados en silenciar a los pueblos.

Todo con la complicidad de no pocos gobiernos serviles, especialistas en gerenciar los peores designios contra la humanidad.

Guerras desatadas contra el pueblo trabajador, de todo el planeta, sin clemencia; guerras que no se contentan con imponer su bota explotadora porque quieren, además, que lo agradezcamos; que reconozcamos que eso está bien, que nos hace bien; que les aplaudamos y que heredemos a nuestra prole los valores de la explotación y la humillación, como si se tratara de un triunfo moral de toda la humanidad. Guerra oligarca contra los pueblos que no solo es material y concreta, sino que es también ideológica y subjetiva. Nada de esto es nuevo.

Según los dueños de esa guerra, nosotros debemos ser pacifistas, entender sus intereses supra, trans e intranacionales; su poder económico-político y su necesidad de dominio. Ellos nos quieren sedados y aplaudidores, disfrutando una escalada múltiple de articulaciones alienantes. Que respetemos sus leyes e identidades de clase mientras se inclina la balanza del capital contra el trabajo.

Quieren que luchemos por la paz en un sistema de negocios militares, estratégicos y transnacionales operados desde las centrales imperiales con ayudas vernáculas. Nos quieren pacifistas, ignorantes y desmoralizados; nada de esto es nuevo, lo supimos y lo sabemos.

Su industria militar ha desplegado armas bancario-financieras de endeudamiento, inflación y dependencia monetaria, inspirados en la retracción del papel del Estado para reducir y suspender derechos históricos adquiridos. Multiplican sus bases militares con objetivos represores enmascarados bajo todo tipo de disfraces. Sus fábricas de guerra también producen alianzas con los «medios de comunicación», que conforman un plan de discurso único para camuflar, incluso, las guerras judiciales, las guerras económicas y los muchos episodios de represión, táctica y tecnológicamente actualizados.

Nuestro presente está teñido por una mafia industrial militar que se fortalece disfrazada de democracia, reina por su estulticia y por los peores ejemplos criminales en todas sus definiciones… despliega, desnudas, mil y una tropelías de jueces y tribunales que, a contrapelo de toda justicia, desatan persecuciones, encarcelamientos y condenas basadas en la nada misma, o dicho de otro modo, basadas en cuidar los intereses y poderes diseñados minuciosamente para la ofensiva triple que aquí se describe. La guerra irrestricta es ensalada de todo tipo de canalladas para atacar a los pueblos. Su guerra es un gran negocio.

Su guerra contiene un plan específico para acostumbrarnos a lo macabro de todas las formas posibles… incluso las del entretenimiento. No son diversiones asexuadas o «inmaculadas», quien las consume es sometido a una esquizofrenia «placentera», que nos hiere con ironía intencional e inentendible.

Nos quieren anestesiados, hablando, actuando como ellos, nos quieren, incluso sin darnos cuenta, imitando sus referentes mercantiles de los mass media, con el pretexto de que «eso sí es divertido», de que «así la gente entiende», de que «esto vende»…; nos enseñan a repetir una trampa lógica en la que corremos riesgos de todo tipo, comenzando por legitimar el modo dominante para la producción de formas expresivas.

No quiere decir esto que no se pueda descarrilar (consciente y críticamente) el tren de los medios para ponerlos al servicio de una transformación cultural y comunicacional, pero es indispensable definir qué realmente es útil. Hay que estudiar cada caso minuciosamente y eso es algo que muy poco se hace.

Transferimos al aparato empresarial bélico, bancario y mediático –sin frenos y sin auditorías– sumas de dinero incalculables. Hicimos leyes que no cumplimos, adquirimos tecnología sin soberanía, no consolidamos nuestras escuelas de cuadros, no creamos una corriente internacionalista para una comunicación emancipadora organizada y apoyada con lo indispensable, no creamos los motores semióticos para la emancipación y el ascenso de las conciencias hacia la praxis transformadora, no creamos un bastión ético y moral para el control político del discurso mediático y el desarrollo del pensamiento crítico… o, al menos, lo que hicimos es realmente insuficiente.

Y no es que falten talentos o expertos, no es que falte dinero ni que falten las necesidades con sus escenarios. Hizo estragos, nuevamente, la crisis de dirección política transformadora. Hablamos mucho, hicimos poco. Ni el Informe MacBride (1980) supimos escuchar y usar, como se debe.

Para colmo, la clase dominante desarrolla, permanentemente, medios y modos para anestesiarnos, desorganizarnos y humillarnos sin clemencia.

Inventa falsedades alevosas que transitan con impunidad, y sin respuesta, a lo largo y ancho del planeta, siempre con un poder de ubicuidad y de velocidad que nosotros no podemos siquiera medir ni tipificar en tiempo real. Y la inmensa mayoría de las veces lo miramos desde nuestras casas (dormitorios incluso) en forma de noticieros, entretenimiento o reality show.

Consumimos sus productos, engordamos sus rating y rumiamos, nuestra impotencia, hacemos catarsis indignados y enredados en frases hechas, mayormente inútiles e intrascendentes.

Es urgente descarrilarles el tren semántico y ponernos a construir (es decir avanzar) el sentido emancipador que nos urge.

Eso es parte de la guerra.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.